06/11/16

LA MIA ALLUVIONE di Riccardo Catola

Porca puttana, avevo solo vent’anni. Mezzo secolo fa. Fatemi dire quel che si dice in questi casi: cazzo, come passa il tempo, triplo punto esclamativo. 
Però qualche rotella gira ancora per il verso e dunque ricordo perfettamente dov’ero quel 6 di novembre. O era il 4? Comunque ero senz’altro a Milano. No, fammi pensare: forse ero a Lamporecchio. Anzi no, ero proprio a Pisa sull’alzaia dell’Arno con mio babbo a guardar la piena che qua e là dava un po’ di fuori, e i tanti pesci, anche di bella stazza, che boccheggiavano a fior d’acqua vicino a riva rincitrulliti dal ribollio della corrente. 
Com’era largo quel giorno l’Arno. Pareva il Rio delle Amazzoni.
Giusto: stavo a Pisa perché, proprio il giorno prima, ero tornato a trovare i miei (son pisano, allora?). C’è che avevo preso il treno, col che la mia rombante Guzzi Airone 250, comprata usata e lasciata in piazza Beccaria, non l’ho rivista mai più. In quella zona l’inondazione aveva sfiorato i tre metri e la mia amata moto era stata trascinata chissà dove insieme a tante altre e a parecchie auto.
All’epoca abitavo in affitto lì a due passi, in via Pietrapiana, una stanzetta da studente (primo piano, salvo per un pelo), scienze politiche affrontate con calma e lingue da clandestino, quattrini punti più che pochi e ora, mannaggia, anche senza moto. 
Tornai a Firenze il 5 appunto per vedere di recuperarla, ma furono solo rimpianti, santi e madonne.
Non so come mi capitò di intrupparmi con la banda che sguazzava agli Uffizi nel pantano dell’Archivio di Stato (al tempo era lì e occupava tutto il piano terra con gli scantinati). Forse mi portò qualche amico, forse ci arrivai per caso. Comunque fui anch’io uno dei tanti angeli del fango. E dico la verità: se ho sempre evitato di vantare la medaglia è perché quel nome non mi va giù per niente. Angelo a me? Con le idee malvissute di cui già allora mi vantavo? Parli come bada, por favor!
Resta comunque il fatto che per qualche settimana lavorai lì dove da casa era anche più lungo e complicato arrivare. Mai vista tanta mota al mondo. Firenze è già grigia di suo, ma così infangata e umida pareva di vivere un film in bianco e nero. 
Mi sembra di ricordare, ma non ci giuro, che qualcuno m’invitò anche in Santa Croce o alla Biblioteca nazionale dove c’erano cose più belle e preziose da salvare. Più belle di sicuro, perché all’archivio di stato si trattava solo di faldoni melmosi di documenti impregnati d’acqua e gasolio, dunque anche puzzolenti oltre che pesanti. Se fossero più preziosi del Cristo di Cimabue probabilmente no, ma avevano comunque un loro sicuro valore. Altrimenti perché conservarli e faticare a salvarli?
Si spalava melma dentro e fuori, si faceva il passamano e s’ammucchiavano i faldoni sotto il porticato del Vasari. Poi si caricavano su un camion che se li portava non so dove. Direi una bugia se dicessi che li abbiamo recuperati tutti sani e integri. Quei faldoni si sbriciolavano, scivolavano dalle mani, cadendo esplodevano, le pagine si strappavano e non so quante son finite spalate via con la melma. Danni incalcolabili, credo. Angeli un tubo.
Però ci si dava da fare, si stava in compagna, si rideva. Ogni tanto arrivava qualche troupe che ci filmava e noi, quindi, a recitare la parte dei faticatori. A pranzo qualcuno portava panini e acqua, perfino dolci. Si stava bene, insomma, e non costava niente. C’era anche un gran traffico e vari reparti dell’esercito e dei pompieri con autopompe e vari macchinari. Lo dico perché l’ho visto al cinema e in reportage dell’epoca. Però non lo ricordo. Cinquant’anni dopo rammento semmai la presenza di parecchie bimbe e che dopo il lavoro, ma credo anche durante, siano andati in porto tanti incontri ravvicinati d’ogni tipo.
Io, per la verità, c’avevo la mia americana bella e bionda, 19 anni, fresca come una rosa fresca spruzzata di rugiada. L’avevo conosciuta neanche una settimana prima dell’alluvione e da allora avevamo fatto società. Studiava in uno di quei college per ricche signorine estere, che all’epoca (la rivoluzione sessuale era ancora molto futuribile) rappresentavano l’unica vera risorsa per noi ragazzacci sempre in cerca di prede. In sostanza ci si divertiva, credo. Se non altro, eravamo giovani. Minchia se eravamo giovani!

Ecco qua in soldoni tutta la mia alluvione. Però devo essere sincero: non lo so mica se quello che ho scritto è davvero capitato a me. Mi viene il sospetto che qualcuno possa avermelo raccontato. Oppure di averlo letto, forse sognato. Sento la testa un po’ confusa. Forse ho mangiato troppo. Però angelo no. 
Angeli sarete voi.

Nessun commento:

Posta un commento