Porca puttana, avevo solo vent’anni.
Mezzo secolo fa. Fatemi dire quel che si dice in questi casi: cazzo,
come passa il tempo, triplo punto esclamativo.
Però qualche rotella
gira ancora per il verso e dunque ricordo perfettamente dov’ero
quel 6 di novembre. O era il 4? Comunque ero senz’altro a Milano.
No, fammi pensare: forse ero a Lamporecchio. Anzi no, ero proprio a
Pisa sull’alzaia dell’Arno con mio babbo a guardar la piena che
qua e là dava un po’ di fuori, e i tanti pesci, anche di bella
stazza, che boccheggiavano a fior d’acqua vicino a riva
rincitrulliti dal ribollio della corrente.
Com’era largo quel
giorno l’Arno. Pareva il Rio delle Amazzoni.
Giusto: stavo a Pisa perché, proprio
il giorno prima, ero tornato a trovare i miei (son pisano, allora?).
C’è che avevo preso il treno, col che la mia rombante Guzzi Airone
250, comprata usata e lasciata in piazza Beccaria, non l’ho rivista
mai più. In quella zona l’inondazione aveva sfiorato i tre metri e
la mia amata moto era stata trascinata chissà dove insieme a tante
altre e a parecchie auto.
All’epoca abitavo in affitto lì a
due passi, in via Pietrapiana, una stanzetta da studente (primo
piano, salvo per un pelo), scienze politiche affrontate con calma e
lingue da clandestino, quattrini punti più che pochi e ora,
mannaggia, anche senza moto.
Tornai a Firenze il 5 appunto per vedere
di recuperarla, ma furono solo rimpianti, santi e madonne.
Non so come mi capitò di intrupparmi
con la banda che sguazzava agli Uffizi nel pantano dell’Archivio di
Stato (al tempo era lì e occupava tutto il piano terra con gli
scantinati). Forse mi portò qualche amico, forse ci arrivai per
caso. Comunque fui anch’io uno dei tanti angeli del fango. E dico
la verità: se ho sempre evitato di vantare la medaglia è perché
quel nome non mi va giù per niente. Angelo a me? Con le idee
malvissute di cui già allora mi vantavo? Parli come bada, por favor!
Resta comunque il fatto che per qualche
settimana lavorai lì dove da casa era anche più lungo e complicato
arrivare. Mai vista tanta mota al mondo. Firenze è già grigia di
suo, ma così infangata e umida pareva di vivere un film in bianco e
nero.
Mi sembra di ricordare, ma non ci giuro, che qualcuno m’invitò
anche in Santa Croce o alla Biblioteca nazionale dove c’erano cose
più belle e preziose da salvare. Più belle di sicuro, perché
all’archivio di stato si trattava solo di faldoni melmosi di
documenti impregnati d’acqua e gasolio, dunque anche puzzolenti
oltre che pesanti. Se fossero più preziosi del Cristo di Cimabue
probabilmente no, ma avevano comunque un loro sicuro valore.
Altrimenti perché conservarli e faticare a salvarli?
Si spalava melma dentro e fuori, si
faceva il passamano e s’ammucchiavano i faldoni sotto il porticato
del Vasari. Poi si caricavano su un camion che se li portava non so
dove. Direi una bugia se dicessi che li abbiamo recuperati tutti sani
e integri. Quei faldoni si sbriciolavano, scivolavano dalle mani,
cadendo esplodevano, le pagine si strappavano e non so quante son
finite spalate via con la melma. Danni incalcolabili, credo. Angeli
un tubo.
Però ci si dava da fare, si stava in
compagna, si rideva. Ogni tanto arrivava qualche troupe che ci
filmava e noi, quindi, a recitare la parte dei faticatori. A pranzo
qualcuno portava panini e acqua, perfino dolci. Si stava bene,
insomma, e non costava niente. C’era anche un gran traffico e vari
reparti dell’esercito e dei pompieri con autopompe e vari
macchinari. Lo dico perché l’ho visto al cinema e in reportage
dell’epoca. Però non lo ricordo. Cinquant’anni dopo rammento
semmai la presenza di parecchie bimbe e che dopo il lavoro, ma credo
anche durante, siano andati in porto tanti incontri ravvicinati
d’ogni tipo.
Io, per la verità, c’avevo la mia
americana bella e bionda, 19 anni, fresca come una rosa fresca
spruzzata di rugiada. L’avevo conosciuta neanche una settimana
prima dell’alluvione e da allora avevamo fatto società. Studiava
in uno di quei college per ricche signorine estere, che all’epoca
(la rivoluzione sessuale era ancora molto futuribile) rappresentavano
l’unica vera risorsa per noi ragazzacci sempre in cerca di prede.
In sostanza ci si divertiva, credo. Se non altro, eravamo giovani.
Minchia se eravamo giovani!
Ecco qua in soldoni tutta la mia
alluvione. Però devo essere sincero: non lo so mica se quello che ho
scritto è davvero capitato a me. Mi viene il sospetto che qualcuno
possa avermelo raccontato. Oppure di averlo letto, forse sognato.
Sento la testa un po’ confusa. Forse ho mangiato troppo. Però
angelo no.
Angeli sarete voi.
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