L’alluvione? Certo che me la ricordo. Ma se mi
chiedi quale è la prima cosa che mi viene in mente ti dico la scuola.
I miei mi avevano iscritto al Galileo, alla IV
ginnasio, nella sezione più dura perché c’era una prof
bravissima, che guarda caso era amica della mia nonna, anche lei
insegnante a Firenze qualche anno prima.
Sì, era un po’ severa, ma
bravissima e perfetta per far maturare un ragazzino – un bambino
via – immaturo come me. Che tra l’altro, secondo la moda del
tempo della borghesia ero un anno avanti; il mio primo anno con “le
femmine” ché alle medie ero in una classe solo maschile, fatta di
bambini come me ma anche di ragazzotti arroganti e cresciuti; mi
ricordo di uno che alla lezione della prof di scienze si metteva al
primo banchino, quelli vediazzurro di formica, lo spingeva fin sotto
la cattedra che era ancora sulla pedana di legno, e da lì non visto
passava tutta la lezione con l’uccello di fuori appoggiato sul
ripiano inferiore del banco.
Beh, ma torniamo alle femmine. Mi invaghii subito di
una con il caschetto biondo alla Caterina Caselli; le assomigliava
anche, stessi caratteri del viso un po’ marcati. Solo da adulto
anziano ho capito che mi attirava perché stimolava il mio lato
sado-maso.
La prof, oltre che bravissima e severa, era
terribilmente tetra, forse anche la recente perdita di un figlio. A
me ricordava uno scheletro e passavo il tempo delle lezioni a
lavorare dei gessetti formando dei piccoli teschi bianchi. Vi
giuro bellissimi, vere opere d’arte. Ne ero così affezionato che
solo molto tempo dopo li regalai con grande enfasi e spirito di
sacrificio alla mia prima ragazza. Credo che li abbia persi il giorno
dopo.
Anche considerato l’impegno si può immaginare
quali fossero i miei risultati scolatici. Latino, greco, italiano,
tutto un disastro. Ma ero in buona compagnia. Con un gruppetto di
amici tornavamo dopo scuola a piedi verso casa e si commentavano tra
noi i voti. Arrivammo a fare una schedina del totocalcio, dove gli x
erano i voti da 3 in sù e vi garantisco che di pareggi nel nostro
campionato ce ne erano davvero pochi. E che risate ci facevamo, che
meravigliosa allegria. Ma appena svoltavo l’angolo della strada di
casa mia facevo subito una faccia seria ed afflitta per il rischio di
incocciare nei miei.
Dunque questa era la mia situazione il 4 novembre
1966 dopo quasi due mesi di scuola.
Quando le notizie dell’alluvione cominciarono a
diventare più definite – l’acqua si fermò a trenta metri dal
portone di casa mia – parve chiaro che la zona centro, quella di
via Cavour, fosse stata completamente allagata. Con mia sorella si
immaginava di come fosse ridotta la scuola e, in particolare, in che
condizione potessero essere gli odiati registri che contenevano la
mia schedina, molto povera di pareggi. In cuor mio, considerata la
mota che aveva riempito tutta la città, facevo un tifo sfegatato e
molto motivato per l’Arno.
Non mi deluse.
Al rientro alle lezioni, oltre un mese
dopo l’alluvione la prof ci confermò che tutto era andato perso.
Una incredibile amnistia generale. Sì certo la prof bravissima e
severa un’idea di me se l’era fatta, ma non aveva prove! Si
ripartiva da zero con un registro completamente vergine, bianco.
Questo è il primo ricordo che mi viene in mente
quando mi si chiede dell’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966.
Ah dimenticavo. A giugno mi dettero 5 materie,
aggiunsero anche Educazione Fisica, ginnastica insomma, per
essere proprio sicuri che non potessi riprovarci a settembre.
Insomma il sacrificio dell’Arno per me fu del tutto
inutile.
Ma fu un anno scolastico bellissimo.
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