30/01/14

NEBRASKA E QUEL MERAVIGLIOSO VECCHIO RIDICOLO di Gianni Caverni

Lui é un vecchio coglione cocciuto che vuole andare a Lincoln, nel Nebraska, per ritirare un milione di dollari. Li ha vinti e li vuole, e non sente ragioni. A piedi, vuole andarci; dal Montana dove abita che non so bene dove sia e nemmeno dove sia il Nebraska ma si capisce subito che é roba da pazzi volersela fare a piedi, e da vecchio poi. Lui é Woody Grant, il personaggio dico, magnifico, con una nuvola scoordinata di capelli bianchi in testa e uno sguardo stralunato e da oscar.
Uno sguardo, anzi proprio quello sguardo che hanno certi vecchi, vivi come gli pare a loro e come gli é parso alla vita. Uno sguardo che in fondo è quello che vorresti avere quando toccherà a te magari voler andare a piedi a Barletta.
A fare Woody Grant il regista di Nebraska, Alexander Payne, ha chiamato un magnifico Bruce Dern che personalmente non mi ricordo di avere mai visto prima, ma certo dipende da me. E non è vero poi che non lho mai visto prima: questo Bruce Dern che fa Woody somiglia, secondo me ma fidatevi, a Lee Marvin,
a Gerry Mulligan
(che dopo Serge Chaloff ha fatto cantare il sax baritono con la voce di un vecchio brontolone ma capace di coniugare il verbo amare), al mio amico Marzio 
 (che, tesoro di un uomo, ha scritto delle gran belle Microsie per questo blog) ed a Nick Nolte
che è rimasto lunico vivo di questo quartetto, accidenti.
E stato dopo un bel po dallinizio che mi sono accorto che il film è in bianco e nero: può dipendere dal fatto che sono rincoglionito, ma credo proprio che invece i colori dellanima siano sgargianti in questo bianco e nero.
E poi vi siete accorti finora che anche questo articolo è in bianco e nero? No eh? Per il resto è uno straordinario road movie, uno straordinario film su un figlio e un padre,
su una moglie di un vecchio e il vecchio ( lui è allospedale lei gli sistema i capelli e gli dice Stupido idiota, duramente le parole, dolcemente il gesto), sulla fortuna che prende per il culo, sull America dei freaks (in tutti i sensi) e della crisi devastante come la nostra, sulla pochezza e la grandezza della vita.
Un film come questo che a vederlo si piange e si ride è una garanzia e un regalo appassionato che ognuno in sala e poi fuori si gestisce come vuole. Credetemi, straordinaria è linterpretazione di Bruce Dern (e con lui di Lee Marvin, di Gerry Mulligan, di Marzio, di Nick Nolte), di Bob Odenkirk (la moglie), di Will Forte (il figlio minore) e di tutti gli altri,
di Lincoln (la città), del Nebraska (lo stato).
Poi quel passaggio lento e trionfale, e meravigliosamente ridicolo, di Woody nel paese natale alla guida del furgone nuovo e fiammante, con un compressore nuovo nel cassone, con il cappello appena vinto davvero, col figlio rintanato perché non lo vedano vale molto di più di un milione di dollari! Valeva davvero la pena andare fino a Lincoln per vincere un premio così, il vecchio coglione cocciuto aveva ragione!
Ah, mi piace tanto fare foto al cinema.

 

23/01/14

ASPETTANDO PONTORMO E ROSSO

ASPETTANDO PONTORMO E ROSSO

STORIE (VERE) DI BIMBI 1: IL COMUNISMO E' DIVERTENTE di Domenico Coviello


Mamma Giulia: “Zio Ivan, spiega ai bimbi cos’è il comunismo”
Ivan: “Mah..bof…veramente starei mangiando il baccalà…è anche bono…”
Mamma Giulia: “Ovvìa, te sei bravo a spiegare, datti da fare!”

Ivan: “Non è proprio semplice… inoltre siamo a cena… (Ivan intanto cerca di raccattare nel suo cervello qualche reminescenza di vecchissimi studi di Storia delle Dottrine Politiche, Università di Pisa, anno 1991-92, professor Domenico Settembrini Tagliaventi, corso monografico “La parabola del marxismo”)…sicché, però, mah…ecco bambini…dunque il comunismo…”

Mamma Giulia: “Oioi! Lo farò io allora! Bimbi in Parlamento ci sono i banchi di destra e quelli di sinistra: i fascisti sedevano a destra, i comunisti a sinistra, se le davano di santa ragione”

Ivan: “Aspetta, però,…  bimbi è così: siccome si tratta di un emiciclo, è guardando dal punto di vista della presidenza che si stabilì quali fossero i banchi di destra e di sinistra… sennò non si capisce”
Mamma Giulia: “Sei palloso! Emiciclo è una parola difficile, bimbi lasciate perdere… sicché dicevo…”

Francesco (9 anni, illuminandosi in volto e cominciando a sorridere come, appunto, un bambino): “Mamma, babbo, zio! Fantozzi gli dice al mega direttore: ‘Mi scusi il termine, ma anche lei è comunista?’” (e giù risate)

Babbo Antonio: “Ahahah…è vero! E il megadirettore gli risponde: ‘No Fantozzi, sono socialdemocratico’, mentre gli allunga una carezza” (e giù risate)

Luca (7 anni, ridendo come, appunto, un bambino e salendo quasi in piedi sulla seggiola dall’entusiasmo): “No! Il megadirettore gli dice: ‘Sono un medioprogressista!’ (e giù risate generali)

Babbo Antonio: “Bravo! E’ la battuta esatta!”

Mamma Giulia: “Uffa, ‘un si po’ fa un discorso serio!”

Anche Ivan ride. Gli è rimasto il baccalà infilzato sulla forchetta, a mezz’aria. Si ricorda di quando aveva l’età dei suoi nipoti e sentiva parlare dei comunisti, “buoni”. Ma anche delle brigate rosse, i terroristi, “cattivi”. Il piccolo Ivan seguiva il Tg della sera come se fosse la Messa e s’incaricò una volta di riferire al babbo le notizie. Si mise a far la spola con la cucina: “Babbo te lo dico io il Tg, ecco… hanno detto ‘Marco Pannella’…”, “Oh nooo!”, gli rispose il babbo (Ivan ebbe la certezza che in casa non c’erano simpatie radicali).
Si era addirittura fabbricato uno striscione di carta con scritto in rosso “Solidarnosc” e se l’era appeso in camera, perché si era esaltato per quell’elettricista rivoluzionario dei cantieri Lenin di Danzica, con quei baffoni lunghi. Adesso, nel 2014, a 25 anni dal crollo del Muro di Berlino, il comunismo suscita l’ilarità dei suoi nipotini, i quali non sanno assolutamente cosa sia. Fra pochi anni lo impareranno.
Forse dai cinesi, più che dai cubani.

16/01/14

ALLORA RISPONDO ANCHE IO di Gianni Caverni

Miei cari, Silvia e Ivan D., non vorrei sembrare il più bischero e vi rispondo anche io. Solo per dire che nel bellissimo film di Sorrentino il caso vuole che Toni Servillo impersoni Jep Gambardella, scrittore e GIORNALISTA. E si da il caso che decida di massacrare bene bene le incerte e stortignaccole elucubrazioni di una squalliduccia epigona di Marina Abramovic, se non ricordo male ripetendo come un disco rotto"che cosa vuol dire vibrazioni?", parola dietro la quale l'avvenente "artista" si era rifugiata dalla difficoltà di spiegare il suo lavoro. Insomma proprio Servillo fa vivere sullo schermo un giornalista inopportuno (almeno dal punto di vista della similabramovic) che se ne fotte se la sua intervista cade in un momento di "vittoria" relativa della tipa (alla sua performance avevano assistito un certo numero di persone).
Se concordo con Silvia che il personaggio della "Santa", e tutto quello che le sta attorno, sono la parte più debole del film non certo forte è la parentesi quasi caricaturale che il regista dedica al mondo dell'arte contemporanea forse nella realtà non così zeppo solo di artisti imbroglioni, di critici ignoranti, di mercanti e galleristi da operetta nazional popolare. Detto questo voglio dire la mia anche sul "vaffanculo": non mi sentirei di avere molti dubbi sulla non volontà del divino Servillo di colpire con questa verace indicazione di dove dirigersi la giornalista di RaiNews 24; ergo (voglio fare un figurone!) non mi sembra di poter condividere nemmeno l'affermazione di Stefano che si tratti di cafonaggine (pur riconoscendogli, a Stefano, come verità quello che ha scritto su Maradona e testimoniando in favore della sua affermazione di essere cintura nera di calcino). Secondo me in culo Servillo voleva mandarci il tunnel all'origine della caduta della telefonata, ma posso sbagliarmi, sia ben chiaro. E le foto a questo pezzullo rispostivo non ce le metto nemmeno.

L'IMPUTATO HOLLANDE SI ALZI IN PIEDI! di Domenico Coviello


 
Vostro Onore, signori della Corte, signori Giurati. Ho il gratificante fardello di difendere qui, davanti a questa augusta assemblea, la persona del mio assistito, il presidente della Repubblica Francese François Hollande.
 
Egli sarebbe reo, secondo le disposizioni del Tribunale Mediatico Internazionale che lo ha rinviato a giudizio, di aver trescato con una giovane amante, la signorina Julie, di professione attrice; mettendo a repentaglio la sicurezza sua personale, privandosi, in quanto Capo dello Stato, della dovuta sorveglianza di polizia; andando a effettuare verosimili atti sessuali e gozzovigli vari in un appartamento appartenuto a un affiliato alla mafia còrsa e situato ben in vista, in pienissimo centro a Parigi, a poche centinaia di metri dall’Eliseo.

Ebbene il mio assistito, signori, si proclama, ed è, innocente. Come è noto vi è un incontrovertibile principio universale sempiternamente valido per le persone umane di sesso maschile. Esso è condensato nella sia pur non casta formula: “Tira più un pelo di… che un carro di buoi”. Tale regola che si tramanda dall’origine di questo mondo vale a più forte ragione, signori miei, per gli uomini politici di alto rango quali, appunto, Monsieur Hollande.


La non particolare avvenenza psico-fisica del presidente di Francia non tragga in inganno: egli è uomo all’antica, semplice ma fascinoso, di buone maniere eppure focoso, abbacinato dalla luce del potere ma capace di distinguere perfettamente la bellezza, la grazia e - mi si passi il termine - la ficaggine delle donne dai 40 in su. Vi è in lui una pragmatica forma di saggezza: conoscendo la sua natura matrigna che lo volge progressivamente verso femmine di lui più giovani, si è guardato bene dal contrarre il sacro vincolo del matrimonio, (istituzione ormai desueta, signori cari) e perciò non si è mai sposato. In tal modo ha potuto intrecciare feconde relazioni amorose, con una certa, sana, disinvoltura!  

Tutto ciò premesso, eccoci al dunque. Per qual serio motivo il mio assistito dovrebbe essere condannato? Perché ha un’amante? Suvvia signori… beh, certo c’andava in scooter come un ragazzino adolescente appena innamorato… e allora? L’amore è cieco e scaglia i suoi dardi che non ammettono difese!
 
A sessant’anni si è ancora adolescenti! “Ha messo in pericolo la propria vita di Capo dello Stato esponendosi a possibili attentati facili da compiere” si è detto. Ma vi prego! Vorreste voi che un uomo come Hollande sfuggisse all’ebbrezza degli incontri clandestini con l’amata perché potrebbe esserci l’eventualità che un clandestino della banlieue lo insegua in moto per tamponarlo? “L’alcova dell’amore tra François e Julie era stata nella disponibilità di un criminale”, si è aggiunto. Eh beh… sì… ma perché il presidente avrebbe potuto essere ricattabile allora? La mafia còrsa, a cui apparterrebbe il soggetto, potrebbe cogliere l’occasione e intavolare buoni affari con la Repubblica.

Guardiamo infatti a ciò che da circa 150 anni avviene in Italia! Là di mafie ne hanno almeno quattro: siciliana, campana, pugliese e calabrese, e gli affari vanno a gonfie vele! I nostri cugini d’Oltralpe ci sono maestri.
 
Da loro un ex premier, la notte dell’elezione del presidente degli Stati Uniti, si trovava affaccendato a trafficare – per quanto ciò potesse riuscirgli – sotto le lenzuola di un cosiddetto “lettone di Putin”, nel tentativo di placare a pagamento vecchie pulsioni da erotomane, e ove una femmina in cerca di favori e prebende si concedeva registrando segretamente conversazioni e quant’altro per essere poi pronta a ricattarlo in un secondo momento.
E come commentare la vicenda della “nipote di Mubarak”, una minorenne finita anch’essa sotto le lenzuola presidenziali e pronta anch’essa, giustamente, a ricattare con richieste milionarie il blasonato ex premier in preda a bollori, pompette e siringhe per raggiungere almeno un’erezione? No, signori. Non potremo mai raggiungere il livello di superba, fantastica scenografia teatrale degli italiani!

E voi vorreste invece condannare François Hollande! Un’anima candida al confronto dei politici spaghetti e mandolino! In fondo il mio assistito ha soltanto ripetutamente cornificato la compagna Valérie, con la quale, a suo tempo, aveva già cornificato la precedente compagna Segolène da cui ebbe 4 figli. Ma è niente al confronto di quell’ex premier italiano, la cui moglie Veronica è stata da lui cornificata perfino con delle ragazzette di 17 anni!
Dunque concludo, signori della Corte, signori Giurati. Il presidente della Repubblica francese, François Hollande, sia assolto per insufficienza di prove. Anzi, di più. Perché il fatto non sussiste. Non sussiste, nella realtà, che un comune mortale vada dall’amante in motorino sotto gli occhi della compagna a pochi metri da casa, dandosi la zappa sui piedi da solo! Non sussiste nella realtà che un comune mortale non si curi che l’alcova del tradimento sia protetta e al riparo da occhi indiscreti! Non sussiste nella realtà che un comune mortale si sbracci a dichiarare “Valèrie è la donna della mia vita”, quando fino a poco prima lo era un’altra e ben presto lo sarà un’altra ancora!

Il presidente Hollande rivendica la privacy su questa sua vicenda. E ha ragione! Per lui la realtà non è quella dei comuni mortali. E’ quella dei re. Dove tutto e il contrario di tutto si tengono sempre insieme!    

CARA SILVIA: LA RISPOSTA ALLA RISPOSTA di Domenico Coviello


Cara Silvia, ho parlato con Ivan e gli ho fatto leggere la tua risposta. E’ tutto contento, nella sua inguaribile stralunataggine. Pensava di beccarsi un servilliano “vafangulo”, invece si è ritrovato una critica e una difesa di Servillo davvero serrate e ottimamente presentate.
A lui non interessava criticare “La grande bellezza”, ma un grandissimo attore che, di fronte a un, per altro molto pacato, rilievo finale di una giornalista al telefono, circa critiche che sono state fatte al film in Italia (senza neanche entrare nel merito delle stesse), perde le staffe molto banalmente – come un Ivan qualunque, insomma – e invece di rispondere, magari con una semplice battuta, proclama, con una certa prosopopea attoriale, che “le critiche sono inopportune in questo momento e alla maggioranza degli italiani non interessano” (dopodiché procede al “vaffa”).
Perché criticare qualcosa dovrebbe essere un atto “inopportuno”? Di solito così rispondevano i censori, anche quelli delle pellicole cinematografiche (come Andreotti negli anni ’50). Se qualcuno fa delle critiche, “La grande bellezza” rischia di perdere pubblico nelle sale oppure l’Oscar? Perché Servillo stabilisce inderogabilmente che le critiche “non interessano alla maggioranza degli italiani”? E se anche così fosse, un giornalista deve obbedire alle maggioranze?
Povero Ivan, cara Silvia, cerca di capirlo. Si fa delle domande che ai nostri tempi appaiono da moralizzatore un po’ parruccone. Però alla fine di tutto - mi ha detto -, non bastava che Servillo rispondesse alla giornalista ponendole quei quesiti che Silvia pone così bene circa le critiche preconcette al film? E, ha concluso, speriamo comunque che il film vinca l’Oscar! 
 

CARO IVAN D.: LA RISPOSTA A DOMENICO COVIELLO di Silvia Nardi Dei

Caro Ivan D., vorrei fare del mio meglio per risollevare il tuo umore, ora ci provo. E ci provo tentando di rispondere io alla giornalista al posto di Servillo, dato che la linea telefonica era disturbata e, se ascolti attentamente la registrazione, capirai che Servillo ha sussurrato l'imprecazione pensando che non ci fosse più nessuno in linea ad ascoltarlo.

 Mi sono informata parecchio, e ho scoperto che giornali americani del calibro di Variety, Los Angeles Times, New Yorker hanno parlato di un capolavoro, di un film straordinario, di un film magnifico, di un magistero registico. Il New Yorker ha iniziato addirittura la recensione con queste parole "Il volto di Toni Servillo è un tesoro del cinema contemporaneo" e quindi ha apprezzato la regia di Sorrentino, l'interpretazione di Servillo e tutto quello che rende questo film così potente, così ambizioso.

Come mai allora un film così bello, in Italia ha avuto delle recensioni molto meno significative? Era questa la domanda a cui la giornalista voleva assolutamente che Servillo, nel giorno della notizia del Golden Globe, rispondesse? Proviamo: come mai appena uscito dai nostri confini le recensioni sono diventate così belle? Io faccio una riflessione un po' amara, ma la prima cosa è che NEMO PROPHETA IN PATRIA , la qualità non viene riconosciuta immediatamente nel suolo patrio, non è la prima volta che succede e chissà quante altre volte succederà. Ma c'è di più: Sorrentino fa un film estremamente ambizioso, visto che in molti (in Italia) hanno gridato allo scandalo per aver lui usato come riferimento Fellini, il Fellini de La dolce vita, in particolare, ma anche di Roma e di Otto e mezzo, e questa è una prima cosa che turba; come osa questo regista paragonarsi a uno dei più immensi registi italiani? E ancora: come può mettersi a competere con uno dei film più iconici più belli di tutti i tempi, La dolce vita?
Molti critici italiani ci sono rimasti di stucco. Ma io voglio però puntare il dito anche sulle differenze: La dolce vita raccontava un inferno travestito da paradiso, a vedere da vicino quello che diceva Fellini, il mondo raccontato in quel film è un mondo debosciato, decadente, stanco, cinico; eppure la superficie è affascinante, si è creato il mito della dolce vita, grazie a quel film. Cinquant'anni dopo, Sorrentino racconta un mondo molto più debosciato, molto più decadente, molto più corrotto, che non ha più neanche quell'apparenza di glamour e di bellezza, per trovare quella bellezza che c'è ed è eterna come quella città, bisogna trovarla all'alba, in alcuni palazzi, e in alcuni scorci della città stessa. Ma non è soltanto questo. Cosa fa? Cosa dice Sorrentino? Sorrentino ci racconta che questo mondo è non solo stanco, corrotto, debosciato ma è totalmente provinciale, inutile. Il regista ha il coraggio, la forza di puntare il dito accusatore verso il mondo che sembra dominare la cultura italiana. C'è una scena memorabile  in cui il protagonista attacca, anzi massacra un'esponente di quel mondo radical chic che frequenta molto le terrazze romane.
Lui dice a questa donna che è fasulla, che è disperata come lui stesso e come tutti i personaggi di quel mondo, ma soprattutto che ha costruito con prosopopea una vita e un'esistenza basata sul nulla, su nessun tipo di qualità reale. E' un attacco durissimo, forte e abbastanza inedito nel mondo del cinema italiano. E secondo me attacca proprio una parte di quel mondo che quando uscì si trovò a recensire il film stesso. Forse può esser capitato che  queste recensioni così tiepide o addirittura risentite nascano da un problema ideologico:  che i recensori si siano sentiti tirati in ballo? E non è l'unico mondo che Sorrentino attacca, ad esempio una parte del mondo dell'arte, un mondo fatto di collezionisti opulenti e volgari, di artisti che non sanno neanche spiegare che cosa fanno, di povere bambine magari geniali ma costrette con violenza ad esprimere la propria arte, racconta il mondo dei nobili decaduti che addirittura si possono affittare per una cena, racconta una Curia superficiale e vanesia e di quel cardinale che continua a ripetere soltanto delle ricette, e racconta anche la voglia e la necessità di trovare la bellezza e la grazia nella figura di una santa, forse la parte un po' meno riuscita del film stesso.
Insomma Sorrentino non ha paura, e questo non gli viene perdonato.
Ma questo stesso approccio così ambizioso, così forte, supportato poi da immagini meravigliose, viene celebrato appena il film esce dai nostri confini. Anche in Inghilterra, ad esempio, ha ottenuto un successo clamoroso di pubblico e di critica. E allora, nel giorno del trionfo a parer mio meritatissimo, se una giornalista punta il dito proprio sulle critiche di casa nostra, un bel vaffa fuori onda, secondo me, è quanto di più sano e genuino poteva scappare da quella bocca, ma insisto: si capisce perfettamente che il malandrino pensava di non esser sentito. Quanto al bisogno di farsi notare di Grillo, il nostro, a chi gli chiese se gli piacesse Grillo, rispose così:  " Devo essere sincero, no. Mi sembra che riproponga un'immagine di leaderismo che è molto vecchia, passa per Rienzi (tiranno wagneriano, ndr),  per Masaniello, arriva a Berlusconi e adesso diventa lui, c'è molta protesta che è anche vera ma molto poca proposta. Il palcoscenico mi ha insegnato una moralità, ad esempio il camminare insieme e lo stare ad ascoltare chi ha più esperienza di te, a fare tesoro del passato a non gettare tutto in un cestino, mi ha insegnato anche a non distruggere soltanto. Mi rendo conto che mi faccio dei nemici ma me li faccio volentieri, ma insomma che le devo dire? Grillo non mi piace".
Sicchè, caro Ivan D., io non me la prenderei troppo, anzi ci farei una bella risata e speriamo vinca pure l'Oscar!

15/01/14

SUA ECCELLENZA IL SERVILLO CENSORE di Domenico Coviello


http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/toni-servillo-alla-giornalista-in-diretta-critiche-ma-vaff/152551/151058?ref=HRESS-1

 

Ma che bella città –a –a –a –a…sento l’acqua alla gola a –a –a –a…C’è un elenco di buoni –i – i – i –i… i cattivi di là –a – a –a –a… Un vecchio sardonico rock di Edoardo Bennato ondeggia nella testa di Ivan D. Stamani s’è svegliato bene. Poi l’umore gli si è guastato.

Per una cosa da poco, per carità. O forse no. Scorrendo rapidamente la prima pagina di un giornale online ha trovato una notizia curiosa; più triste che divertente; più amara che dolce; più agghiacciante che rassicurante: il file audio di un minuto di intervista telefonica al grande attore italiano Toni Servillo, protagonista de “La grande bellezza”, il film di Paolo Sorrentino che, premiato ai Golden Globes, è lanciatissimo verso un possibile Oscar.

Non accadeva da anni. E ciò che si prepara sarebbe un evento assoluto; uno spolvero di stelle; una resurrezione per il Nostro Paese, “crazy but beautiful” come lo ha definito Sorrentino. Ecco perché non è adesso il momento di dividersi circa il giudizio sul film (e che cavolo).

Inutile che l’intervistatrice di RaiNews24 abbia posto garbatamente a Servillo una domanda sulle critiche alla pellicola che qualcuno ha avanzato. La pazienza ha un limite: “In questo momento agli italiani ciò non interessa”, ha dichiarato il Grande Toni, facendo capire che dobbiamo essere compatti come un sol uomo e orgogliosi della gloria cinematografica nazionale. La sola che può darci ancora luce nel mondo.

Perciò nulla osta – deve aver pensato il celeberrimo Servillo – a dedicare alla giornalista – forse credendo di non essere ascoltato - un bel “ma vattene afangulo va…”. Toni il Censore non ammette critiche e sventola il tricolore dell’italianità agli Oscar, che, ovviamente, non può essere messo in discussione. E’ “La grande bellezza”, bellezza. Vietato fare domande fastidiose. Che razza di giornalismo è.
Del resto recentemente ce lo ha insegnato un ex comico buttatosi in politica, ragiona fra sé Ivan: un bel “vaffa” non si nega mai. Anzi se non mandi qualcuno “affa..” non sei nessuno. E sembra strano ma anche i servilli a volte hanno bisogno di farsi notare. In questa nostra Italia che è tanto una bella città –a –a –a –a, Ma Che Bella Cittàààà!!!            

11/01/14

IN "IL CAPITALE UMANO" NON C'è PROPRIO NIENTE DA RIDERE di Gaia Rau

L'altra sera, tornando a casa dopo il cinema e un paio di birre, peraltro assolutamente necessarie per allentare la morsa dell'ansia, ripensavo alla polemica dei politici brianzoli su "Il capitale umano" di Paolo Virzì, e mi veniva da ridere. Tralasciando il fatto che il film è tratto dal romanzo di uno scrittore americano, Stephen Amidon, le cui vicende si svolgono in Connecticut, e dubito che il regista, in cerca in Italia di "un paesaggio gelido, ostile e minaccioso" in cui trasportarle, lo avrebbe trovato nella sua Livorno o magari nella costiera Amalfitana, ma soprattutto, se proprio qualcuno doveva offendersi, sono convinta che quel "qualcuno" avrebbe dovuto coincidere con 61 milioni di italiani, e probabilmente con l'interno genere umano.
Per il suo primo noir, Virzì disegna una serie di ritratti sconfortanti di personaggi meschini e deboli, peraltro interpretati magistralmente, tutti a loro modo colpevoli, per quanto a vari livelli (e guardando il film non sono riuscita a trattenermi dal recitare, dentro di me, il "pensieri, parole, opere e omissioni" di cattolica memoria). Nessuna assoluzione è possibile e forse non è un caso che l'unica vittima, in mezzo a tanti carnefici, faccia solo una brevissima comparsata nei primi minuti del lungometraggio, perché c'è da star certi che come minimo, a scavare un po', almeno uno scheletro sarebbe comparso anche nel suo armadio.
 
Insomma, ne "Il capitale umano" tutti peccano: i ricchi, forse, un po' di più, ma solo perché hanno maggiori mezzi e possibilità; i poveri, forse, un po' meno, ma sognano di farlo almeno quanto i ricchi. Tutti hanno in comune la disonestà: chi non è disonesto col prossimo, lo è con se stesso, con le proprie aspirazioni lasciate per strada e le proprie verità non cercate. E se l'amore e l'ingenuità possono apparire un'attenuante almeno per certi personaggi, il regista è sempre pronto a ricordare che anche di questo amore, e di questa ingenuità, qualcuno ha fatto le spese, e senza lo sconto.
Avevamo davvero bisogno di sentirci dire quanto facciamo schifo? Chissà. Di sicuro, c'è che a vedere "Il capitale umano" si sta male dall'inizio alla fine, un male che è a tratti disagio, a tratti immedesimazione, a tratti rabbia, ma che è male comunque, e senza cachet per alleviarlo distribuito all'ingresso. C'è anche, però, un piccolo sollievo, la conferma della grandezza di un autore italiano che invece di adagiarsi sugli allori di generi e successi consolidati - successi, tra l'altro, sempre meritatissimi, compreso il penultimo, piccolo, gioiello, "Tutti i santi giorni" - ha deciso di andare oltre, di osare con un grande cast e una grande trama, e soprattutto di lasciare da parte, per una volta, l'onnipresente, italico sorriso amaro, per ricordarci che, ora come ora, da ridere non c'è proprio un bel niente.