31/10/13

ARCHEOLOGI (PRIMA PARTE) di Stilicone

E' sempre più difficile scansarli. Sono dappertutto. Si muovono con fare circospetto, ma in maniera tenace. Non mollano mai, anche se si ripetono. Pontificano su tutto. Ci tengono a dar l'impressione di saper tutto, di avere la soluzione per tutto. Si sentono più informati di Hal 9000 e più giusti di Santi Licheri.

Sono gli archeologi, una generazione di fenomeni. 
Il primo della lista è Louis Godart, confermato nel ruolo di Consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico del Presidente della Repubblica Italiana.


Oltre a essere archeologo, è filologo miceneo nonché autore di ben 170 tra monografie e articoli scientifici sulle civiltà del Mediterraneo, in particolare quelle egee. Un superesperto in materia, non si discute, tant'è che questa sua notorietà gli ha valso, tra l'altro, l'adesione alla prestigiosa Accademia dei Lincei, la stessa che ha organizzato la conferenza che  Godart tenne il 30 novembre 2012 presso la Palazzina dell’Auditorio a Roma, dal titolo "Sulle tracce di Leonardo da Vinci e della Battaglia di Anghiari". E qui si entra in un turbillon di coincidenze. La conferenza arrivò infatti a soli 4 giorni dalla presentazione, al Quirinale (alla presenza del gotha del giornalismo culturale italiano), della Tavola Doria,

 

il dipinto di cui si erano perdute le tracce dal 1941 e che raffigura "La battaglia per lo stendardo", scena topica della Battaglia di Anghiari, la grande pittura murale che Leonardo da Vinci avrebbe dipinto sulla parete est del Salone dei 500 in Palazzo Vecchio a Firenze. La seconda coincidenza è che proprio quella conferenza venne organizzata 48 ore dopo la pubblicazione de La Tavola Doria, il nuovo libro di Louis Godart edito da Mondadori. Quindi la presentazione urbi et orbi del recupero dell'opera - curiosa, perfino affascinante, ma non certo bella - così come la conferenza del giorno successivo vanno considerate come un doppio mega-spot al libro scritto dal Consigliere del Presidente della Repubblica. E pensare che Godart, se uno si scorre con pazienza i 170 titoli del suo curriculum, non ha una sola pubblicazione dedicata a Leonardo da Vinci. Quindi non dà l'idea di essere un esperto di questa materia.



 

Ma il fatto di essere un archeologo evidentemente lo mette al riparo da qualsiasi critica. Gli fa "eco" Salvatore Settis, ex-responsabile della Normale di Pisa ed ex-presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali.

 

Insieme al suo pretoriano, Tomaso Montanari, presenziò alla conferenza di Godart ai Lincei, con facoltà di parola (e di critica). Ma anche in questo caso bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Settis è tra coloro che più strenuamente ha criticato, per esempio, l'acquisto del Crocifisso in legno di tiglio (oggi al Museo Nazionale del Bargello, a Firenze) attribuito a Michelangelo.

 

Da quell'episodio, alla fine del 2008,  a oggi ne ha dette di tutti i colori, proprio lui che esperto di Michelangelo certo non è. Controllare il suo curriculum per credere. Però i canali attraverso i quali esprime le sue critiche alla gestione dei beni culturali in Italia, sono appannaggio di persone per le quali l'autorevolezza dell'archeologo di Rosarno non va discussa. Neanche se le sue affermazioni hanno le fondamenta di sabbia. Senza contare che Settis più di una volta ha dimostrato che l'unica dottrina in cui crede è la politica, quella sfacciatamente di sinistra, s'intende. Nel 2009 infatti si scagliò - a ragione - contro il governo Berlusconi che voleva traslare temporaneamente i Bronzi di Riace alla Maddalena in occasione del G8. Un'idea balzana.

(CONTINUA)


30/10/13

WOLF e DEPERTHES - PRENDERE DUE PICCIONI con Aroldo Marinai


Aroldo comincia la sua collaborazione con Inganni Veraci proponendo, quando lo ritiene opportuno, una coppia di libri da leggere. Con l'ironia che lo contraddistingue la "rubrichetta" si intitola I Due Piccioni e al contrario delle altre ospitate volentieri qui non è "di" ma "con" perché è risaputo, e se lo conferma da solo, che due piccioni si prendono CON qualcosa.

gc

 

Mettiamola così: un pullman riporta a casa, da Dresda a Berlino, un rumoroso gruppo di anziani turisti. L’autista preferirebbe il silenzio ai canti e agli schiamazzi, ma il suo carattere tranquillo lo protegge e intanto con la mente ripercorre l’intera vita in brevi lampi di memoria. Questo racconto di Christa Wolf, dedicato al marito, è l’ultimo pubblicato quando già lei era scomparsa (2011).

L’anziano autista, August, rivive l’infanzia, l’arrivo da fuggiasco e orfano dalla Prussia al tubercolosario che lo vedrà innamorarsi, lui di otto anni – ma come altrimenti dire – di una adolescente che poi come lui guarirà. Il clima e l’ambiente, si è capito, sono quelli della Davos della Montagna Incantata.

 

Altrove: un marinaio scozzese di nome Alessandro Selkirk sceglie di essere abbandonato nell’isola di Juan Fernandes per aspre controversie col capitano della sua nave, il Cinque Porti del capitano Stradling (siamo nel 1704).

 

 

Selkirk rimane sull’isola quattro anni e quattro mesi, anche se in quel frattempo alcune navi hanno dato fondo per provvedersi di acqua dolce e capre di cui cibarsi.

 

 

Ma, o perché si tratta di spagnoli (e qui si sprecano le schioppettate contro il nostro), o francesi, o di nazionalità incerta e la prudenza consiglia il riserbo. Quando viene abbandonato possiede abiti, un letto, un fucile, una libbra di polvere, palle, tabacco, una scure, un coltello, una pentola, una Bibbia ed altri libri di devozione più i suoi strumenti di marina.

 

Frattanto August si rivela ragazzino con serie difficoltà intellettive. Non è fatto per la scuola (eufemismo).

 

Eppure cresce fra malattie e morti fino a trovare un lavoro (quello che ha sempre sognato: autista di camion), una moglie paziente e devota (credo, dice lei decidendo di sposarlo, che tu sia una persona perbene). Alla fine: ho avuto una buona vita. Christa Wolf usa una economia espressiva eccezionale, quasi asciutta cronaca lirica.

A Juan Fernandes dopo i primi mesi subentra la solitudine, poi emerge la difficoltà del fuoco (superata con lo sfregare due legnetti di mirto-pepe). Alessandro mangia pesce, rape, cavoli, gamberi di fiume, cattura le capre correndo, le marchia all’orecchio (nel 1741 verranno trovate ancora capre marchiate). Logorati gli abiti si fa un giustacuore e una berretta di pelle di capra. Durerà fatica, dopo il salvataggio sulla nave inglese, a portare di nuovo le scarpe. La storia è argomento del romanzo di Robinson Crusoè.



 

 

I due piccioni:

Christa Wolf, August, edizioni e/o, 2012 - Consigliato

Deperthes, Storie di naufragi, Martello editore, 1968 - Introvabile

 

27/10/13

LIU XIAO BO: IO NON HO NEMICI - POST SCRIPTUM di Domenico Coviello

Immaginario Post scriptum da vivo, e non autorizzato, del professor Liu Xiaobo, cinese, premio Nobel per la Pace 2010 “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”, del quale non si hanno più notizie. Detenuto dal dicembre 2008 e poi condannato a 11 anni di carcere per “incitamento alla sovversione del potere dello Stato”. 

Se non vado errato, se ho ancora la forza di pensare, e se non ho del tutto perduto la cognizione del tempo, dirò che a dicembre di questo 2013 saranno trascorsi 5 anni di questa mia detenzione in carcere. Non so neppure esattamente dove mi trovo.
So però che nessuno sa con certezza, nel mondo intero, quali siano le mie condizioni. Io lo so. Ma taccio. Il pudore mi impedisce di mostrare lo stato della mia mente, del mio cuore e del mio corpo. Anche solo per iscritto.
Qui, dove mi trovo recluso, devo essere permanentemente punito e rieducato. Le mie colpe sono gravi. Sono un dissidente di lungo corso. Sono stato un esponente di spicco della protesta di piazza Tienanmen. Da molti anni combatto, con i miei scritti e la mia attività politica e sociale, per affermare i diritti umani, la libertà di pensiero, la democrazia politica, la separazione dei poteri, la tolleranza, la libertà di espressione, le libertà individuali. Perché amo i cinesi. Perché amo la nostra Madre Cina. La stessa Madre Cina invocata dagli studenti il 13 maggio 1989 nel loro messaggio ai nostri concittadini, il loro testamento.
Ma ho 58 anni. E non cambierò. Non mi rieducheranno mai. Potranno uccidermi. Lo stanno facendo anno dopo anno. Mese dopo mese. Giorno dopo giorno. Lo stanno facendo con maggiore crudeltà e pervicacia, da quando nel 2010 – essendo già recluso - mi è stato assegnato il premio Nobel per la Pace. Dei miei familiari, allievi e amici non so più nulla da anni. Posso però facilmente immaginare che siano anch’essi perseguitati, censurati, incarcerati o ai domiciliari. Immagino lo sia Liu Xia, mia moglie. La conosco. Non terrà la testa a posto, non sarà prudente. Cercherà ogni spiraglio per mettersi a gridare una parola soltanto: libertà.
Tanto, tutto, mi manca. A volte mi ritrovo in lacrime con la testa al muro. Perché penso al profumo dei fiori di ciliegio. A una camminata al mercato del pesce. A una discussione con i portantini, figli del popolo. Alla luce vivida degli occhi dei miei studenti. A mio padre e a quella mia adolescenza passata con lui nella Mongolia Interna.
Se Dio vorrà, un giorno uscirò da questa detenzione della coscienza, del corpo e della memoria. Come Aung San Suu Kyi.
Io non spero più. Io credo. Io amo. Io non ho nemici. 
 
Non sono mai intervenuto direttamente negli articoli degli altri, non ho mai fatto chiose perché questo blog non è nato per mettersi a fare questioni di lana caprina: se non mi piace un articolo, lo ammetto, chiedo privatamente ulteriori chiarimenti al fine di rendere il tutto più comprensibile. In alcuni casi, pochissimi in verità, non ho semplicemente accolto e pubblicato in Inganni Veraci pezzi che non condividevo né nei contenuti né nello stile. Stavolta voglio fare una gioiosa eccezione: sono profondamente dispiaciuto che Domenico abbia dovuto interrompere la sua carriera giornalistica viste le sue non comuni qualità! Ci consola che almeno qui continui! un abbraccio Domenico.
Gianni Caverni

23/10/13

GIOVANI INCOLPEVOLI EROI di Sara Rados

 

La sede di “PromoPlus” è incastonata dentro a un grande, grigissimo palazzo periferico,  e  si occupa di promozione porta a porta, per conto di varie società.

Ora ad esempio PromoPlus presta i suoi servigi a “Fuffa Energie”, una costola privatizzata ed oramai indipendente di “Fuffa Mercato Elettrico”: le procaccia nuovi contratti. E appunto, sta bene attenta all’equilibrio di quest'ambigua omonimia: tra la vecchia e famosa società “Fuffa Mercato Elettrico”, e la società nuova: “Fuffa Energie”.

Il mio brillante colloquio dura 5 minuti: entro nella metallica tana del capo. Il capo è un capo spigoloso, e pare un enorme parallelepipedo scolpito nella carne, ma è cordiale. Parla veloce, con l’enfasi perfezionista e un po' milanese delle voci che annunciano i treni a Stazione Cadorna. “Sei in prova da domani”. Il mio brillante curriculum è inutile. Potevo scriverci su anche “Ciao stronzi vi amo”. L’importante è che io sia lì, con un sorriso timido, e la testa che fa “sì sì”. La ragazzina-capogruppo a cui vengo affidata per il primo grand tour di prova, il mattino dopo, è un grazioso muccone biondocenere, beneducato e truccatissimo. Ha una camicetta di seta blu, gustosa.

Il parallelepipedo mi fa: “Miriam è il mio braccio destro, segui attentamente quel che ti dirà di dire e di fare. Imitala. Impara. Lavora”

"Ciao Miriam io sono Sara."

Sono le otto e quaranta circa, e i giovani rappresentanti PromoPlus son tutti lì, col kapo’ che li pompa a dovere. Discodance, ascelle al dopobarba, grida di gruppo. Spogliatoi da partita di pallone. Si scendono di corsa le scale, veloci veloci, tutti in giacca e cravatta, lo sguardo da duri, come dentro a un film di gangsters. Ma qui non è Chicago, e non si sta andando a fare una rapina in una banca di Magnificent Road. Siamo solo a Novoli, suburbano toscano, pronti per andare a invadere Campi Bisenzio, e piazzare un paio di contratti dell’energia elettrica nuovi di pacca a qualche anima pia.

Mentre siamo in macchina, mi metto a guardare Miriam con la coda dell'occhio. E’ alla mia destra. L' autoradio è forte e manda musica pop: lei ha lo sguardo determinato ma perso, appena appena, non si capisce bene dove. Miriam pare la geisha di gran classe d'un antico quartiere di Kyoto. E’ irrilevante il fatto che sia nata e cresciuta in Mugello, come mi rivela dopo un po', con accento marcato, e una cordialità parecchio finta. Probabile che ai piani alti le abbiano detto d'usare un briciolo di confidenza coi nuovi arrivi, per farli sentire a proprio agio. Miriam è una gattina che profuma di manga. Non sa usare il congiuntivo. Non conosce la differenza tra i verbi andare e venire. Ma è sexy. Probabilmente nei messaggini di testo usa le kappa.

 Durante il viaggio mi elenca molte dinamiche importanti, Miriam. E’ bello ascoltarla: come quando in aeroplano guardi le hostess fare tutte quelle mimiche mossette annoiate su come si usa il kit di salvataggio.

Il tempo è strano: a volte non vuol passare mai, e a volte passa senza che neanche te ne accorgi.  Per esempio neanche me ne sono accorta, questa volta, che parla parla e parla, da dentro la macchina, siamo finite dentro a un parcheggio, e poi a camminare per strada,  e tu mi parli ancora Miriam,  mi parli di come si fa fesso sulla soglia uno, grazie a tutt’una serie di discorsi e metodi scientifici davvero efficientissimi.

Non so se il copione-tipo d’una scenetta porta-a-porta come la tua, Miriam,  sia stato ideato da un gruppo segreto di ricercatori, psicologi comportamentali, misantropi e collaborazionisti; o più semplicemente, sia solo il frutto della mente d’un pazzo qualunque. Fatto sta che a  un certo punto diventa vagamente avvincente ascoltarti. E intanto, parla parla parla, siam giunte davanti al primo, immacolato, tappeto di campanelli.

E’ così che in prossimità di un cancelletto come tanti, al mio sguardo,  si rivela tutto d' un tratto l'immagine non più di Miriam, ma d' un personaggio epico, d'un erinni impetuosa. Ella socchiude gli occhi sino a farli diventare due spilli infuocati. Ella apre la mano, come una foglia di pietra. Ella la scaglia, con un mastodontico schiaffone, sui campanelli delle case. In lontananza, dalle finestre socchiuse, un inusuale frizzante concerto di polifonici citofoni. C’è  gente che osa chiedere “Ma chi è che rompe?”, che osa usarci diffidenza. E Miriam l’Amazzone li sgrida tutti, nessuno escluso.

Questa è una faccenda vagamente sadomaso. “Dovete ascoltare, io parlo; dovete accondiscendere, io comando; dovete acquistare, io vendo: vendo giri di  parole”. Questa è la dura bibbia di Miriam.

In pausa pranzo la casa del popolo ha un effetto balsamico su noi tutti. Merito del pane, del salame. Al cesso ci vai con la chiave: il portachiavi è una bottiglia in plastica vuota di Cocacola.  Persino Miriam, carina, rivela il mascara che quasi le cola, ai lati della faccia.  E’ dolce Miriam, in questo contesto, in modo inversamente proporzionale alla realtà lavorativa, dov’è un po’stronza.

 “Ho fatto l’alberghiero” dice Miriam. La panca ombrosa intanto ci tiene il culo al fresco  dalla calura di Giugno: tutto è più umano e sporco adesso.

Miriam, sei fuori luogo, ma irresistibile, in pausa pranzo: dici 'Lambrusco e Pop Corn' è il mio disco preferito. Che figata, penso intanto, l’alberghiero. All’epoca però dicevano un sacco di sciocchezze, come quella che il classico servisse a qualcosa, in senso lato, e per cose d’un certo valore addirittura, come acquisire lo charme di chi sa le lingue morte, e imparare a usare il congiuntivo a menadito, meglio di tutti gli altri, e sapere la differenza tra i verbi andare e venire. Cose non utili, cose obsolete.

Non puoi starmi simpatica Miriam. Io devo odiarti, Perché tu hai ventitre anni e io trenta, facciamo un lavoro di merda insieme, in cui tu sei il mio tutor, e io devo imparare da te come si fa a parlare:  poco importa poi, se io so usare pure il congiuntivo a menadito, a differenza tua. Ma io Miriam, io mica te lo insegno  a te come si fa il “commis de rang”. Io, Miriam, al massimo faccio delle buone polpette al sugo quando cucino la cena. Ma non credo che cio’ possa competere col pacchetto di competenze offerte da un Istituto Alberghiero. Magari, magari ci fossi andata io all’alberghiero, Miriam.

Dopo la pausa guardo meglio le cose, come il tipo di cose da imparare per impalare il cliente. Bisogna partire da una scala, elementare, di dati, che hanno un ordine ben preciso. Poi ci si cuce intorno.

“Chi è?”

“Fuffa”

“Chi??”

“ ‘Fuffa Energie’, signora, ci mandan’ a ffa’ l’aggiornamento a’ nostri clienti” .

C'è un vago accento mugellano nell’aria.

“Ma guardi che io la bolletta l’ho già pagata eh”

“Nossignora, non sto venendo a controlla’ i pagamenti, i contatori. Sono qui per conto di ‘Fuffa’, per aiutarla! Me la fa vede’, signora, l’ultima bolletta già che c’è?”

La signora mostra fiduciosa un mucchietto di fogli, foglietti, bollettini pagati. Miriam afferra il tutto, veloce scruta i dati che le servono. E poi:

“Oh, sì! Perfetto! Lo può fa’ signora! Lo può ffà!  Gentilmente, mi lascia un recapito telefonico per inizia’ la procedura?”

“Perfetto cosa? Ma fare cosa, scusi?”

Ahi ahi Miriam, ti tocca spiegare adesso. E vai adesso, vai: parti col turbo felpato…

“Sa signora, siccome è nato il mercato libero, e insieme ad esso tante nuove realtà societarie,  noi di ‘Fuffa’, siccome gli vogliamo bene ai nostri clienti e non vogliamo che poi se ne vanno e ci lasciano per un’altra di queste compagnie nuove, le diamo la possibilità di passa’ alla tariffa del mercato libero, usufruendo di questa nuova offerta: la Bioraria!”

Ma tu guarda la ‘Fuffa’, che carina, penso intanto, questa grande mamma-divinità primordiale che non vuole lasciarti andar via, che vuole tenerti con sé, proteggerti…Ma glielo stai dicendo alla signora, Miriam, che “Fuffa Mercato Elettrico” e “Fuffa Energia” sono due cose diverse? Che c’è solo un nome, uguale, davanti a due società ben distinte?

che ‘Fuffa’ non è il Tao dello yin e yang, non è una Paperopoli che s’ è divisa in due tipo Berlino, ma con un cancellino in mezzo, non un muro, dove tutti si vogliono bene e il sindaco è uno solo?

 Forse bisognerebbe rimettere a moviola il discorso qua sopra. Quel passaggio in cui la bella oratrice  adesca l’uditore, velando  la scissione interna del soggetto ‘Fuffa’ in questione, con l’abile mossa del verbo intransitivo “passare a”. Con la grammatica, Miriam, non ci siamo; ma in quanto a costrutti sintattici d'ambiguità fine e composita, oh, hai un talento naturale.

E forse noi non siamo dei semplici promotori porta a porta che ti chiedono di lasciare una compagnia statale per passare ad un suo omonimo privato. No, noi siamo dei varchi, i varchi di “Fuffa&Fuffa”, di più…noi siamo i messaggeri divini, i cupidi, che rendono possibile questo magico passaggio.

Giovani incolpevoli eroi siamo, Miriam, e niente più.

" ‘Giovani incolpevoli eroi’ lo conosci?”

"Giovani chi?" chiede Miriam.

"Come Chi?! Semmai, 'cosa'!…. ‘Giovani incolpevoli eroi’, e dai! Il primo album di Ligabue,  quello sconosciutissimo…è  un cult!"

 

Tu la dovresti conoscere Miriam, la discografia di Ligabue. Sei una sua fan della prima ora, dici. Dovresti smascherarmi. Infondo io ti ho solo detto una sciocchezza senza senso, Miriam. Perché mi annoio, sono stanca, e trovo in generale tutto quello che fai  un po’ ingiusto e palloso. Una sciocchezza senza senso ti ho detto, Miriam, che sarà mai? Per sfotterti un po’. E forse ti strapperò solo un torvo sospiro di disgusto.

"E' un album quasi sconosciuto sai, di quand'era proprio molto giovane Ligabue. …Sai…poi…com'è…che fa lui…con quella sua voce profonda: 'Nooooiii, giovani incolpevoli eroiiii….'" Canticchio, abbozzo un ritmico movimento pelvico, per dare un certo tono al tutto.

Oramai vado a braccio, improvviso, voglio testare sin dove può arrivare a sopportarmi, questo muccone biondocenere. Magari mi manda affanculo. Magari… sarebbe bello. Così prendo il treno alla stazione di Campi, riconsegno a Mister Parallelepipedo questo enorme plico di contratti da rifilare alla gente, e me ne vado a casa.

Ma il sorriso di Miriam si allarga, come una luna piena, in modo impressionante si espande. Poi mi fa:

"Ma sì, come no! Giovani incolpevoli Eroi! Io c'ho pure il cd originale!"

 Miriam, ma tu sei un genio, come ho fatto a non capirlo prima? Tu non sei una geisha dell'antica Kyoto, tu sei la fottutissima Fata Turchina in persona. Nella vita e nel lavoro. Una fata turchina che si è tolta il cappellino a punta e il vestitino di raso, come hai fatto tu con gli occhiali quando hai finito l'alberghiero, e hai cominciato a truccarti, a lavorare in quest'azienda schifa, e a metterti queste gustose camicette di seta blu.

Sei la fata turchina che si è messa a dire bugie, Miriam, e adesso è lo scaltro braccio destro di Pinocchio.

Il mondo delle favole, Miriam, e pure quello vero, sono nelle tue mani.

 

21/10/13

KEITH RICHARDS - POST SCRIPTUM di Domenico Coviello

Immaginario post scriptum, da vivo, e non autorizzato, di Keith Richards. Dedicato a uno dei più grandi rocker di tutti i tempi che il 18 dicembre 2013 compirà 70 anni
 
Se ho detto che ho sniffato le ceneri di mio padre, non era per farvi uno scherzo di cattivo gusto. Semplicemente c’è che non avevo un ottimo rapporto con lui. Dunque ho pensato di riconciliarmi con quell’uomo, sebbene fosse andato all’altro mondo. Di riconciliarmi attraverso il mio naso, si capisce. D’altra parte se è con quello che sento di più… c’è qualche problema?
Fatela finita con questa storia di darmi del drogato o dell’ex drogato. Sono uno dei più grandi chitarristi e compositori del rock e con Mick e gli altri calchiamo ancora piuttosto bene i palcoscenici. Con le droghe ho chiuso ufficialmente dal 2006: avevo 63 anni e ho pensato di darci un taglio. Per me si poteva andare avanti, in realtà. Mi sentivo in grande forma. Ma il fatto è che le droghe di oggi mi sembrano acqua fresca. E io, sinceramente, l’acqua non ricordo sempre esattamente cosa sia. Da voi c’è un tal Vasco Rossi che nella sua ultima canzone, “Cambia-menti”, dice che se cambiamo noi stessi è già una rivoluzione.
 Filosofeggia il tipo. E’ solo un ex ragazzone parecchio imbolsito, che va avanti a Chivas Regal. Io la rivoluzione l’ho fatta più o meno dal 1962. Si chiama rock and roll. Con tanto di sesso e droga, è chiaro.
 E a cambiare me stesso non ci penso neanche! Non sono io che devo cambiare. E’ il mondo che deve farlo. Si desse una mossa, please. Quanto al mio fratellino Jagger, come ho già detto, se qualche volta alzo la voce con lui è per il suo bene. Alla sua età ha ancora bisogno di qualche scappellotto, altrimenti gli Stones non girano a mille com’è ovvio che sia.
Lui si vanta tanto delle sue donne e di avere sette figli. Beh, anch’io sono molto orgoglioso di Patti, che mi ha dato Theodora e Alexandra, due ragazze meravigliose, oltre che due splendide modelle. Certo, se poi scopro che tirano su di coca è la volta buona che mi metto a urlare come un pazzo. A me non mi faranno mai Baronetto di sua Maestà.   

20/10/13

KEEP CALM AND JUVE MERDA di Gianni Caverni

Alla fine nessuno se ne andava, come a La grande bellezza. Lì la stupenda scena dei titoli di coda mentre la cinepresa passa sotto i ponti del Tevere, qui, al Franchi, la meravigliosa vittoria per 4 a 2 contro i gobbacci, che non mi ricordo nemmeno da quanti anni non succedeva a Firenze. Anche questa infatti è stata davvero una grande bellezza che ci ha, a noi fortunati che s'era allo stadio, riempito il cuore e gli occhi. Per cominciare la bella coreografia della Curva Fiesole. 

Ma alla fine del primo tempo la viola perdeva 2 a 0 e in ognuno di noi cresceva la paura di un replay dell'umiliante 5 a 0 subito di recente. Mogi mogi ci siamo messi ad aspettare il secondo tempo, il fatto era che a parte i primi 10 minuti di pressione, la Fiorentina non aveva gioco e a poco valeva la rabbia per il più classico dei rigori inesistenti regalato da un arbitro compiacente ai bianconeri. A dire il vero io che ero lontanuccio dall'aria di rigore viola sapevo assai se era rigore o no, ma ero convinto che non lo fosse e tutto andasse come al solito. A poco più di un quarto d'ora dalla fine Mati Fernandez viene steso in area bianconera: rigore sacrosanto! La zona era la stessa, quindi non ho visto bene ma il rigore c'era nettissimo, altro se c'era! Rossi e 2 a 1. E poi il crollo degli zebrati sotto i colpi di ariete di quel manipolo di eroi viola! Tre gol di Rossi e uno di Joaquin, porca miseria che goduria!

La partita è finita da un'ora e mezzo, sono a casa ma ancora sento i clacson delle macchine imbandierate. Appena uscito dallo stadio c'era un tipo con la sciarpa viola che portava tutto composto un cartello: "KEEP CALM AND JUVE MERDA". Subito dopo mi chiama un amico artista che era lì in mezzo alla gente. "Eri allo stadio?" gli chiedo incredulo, non pensavo gli piacesse il calcio; "No ma sono venuto a questa festa, è bello vedere tanta gente allegra, capita così di rado di questi tempi!". Non se la prenda Sorrentino, ma stasera, 20 ottobre 2013, la grande bellezza è stata ed è qui.

PHONES da MICROSIE di Marzio Pieralli

a notte
note
timbri
toni
s’inseguono tra i neuroni
come costretti
tra specchi stretti
 
 

17/10/13

LA CITE' E LA CITTA' di Stilicone

"Difese l'Italia dall'invasione dei Goti di Radagaiso nel 406, circondati e sterminati presso Fiesole con le ultime truppe romane rafforzate dai Visigoti di Saro": micro citazione da Wikipedia che di Stilicone dice un monte di cose. Il nome del controverso magister militum romano di origine barbarica è stato scelto come pseudonimo dall'autore dell'articolo che segue. Noi speriamo susciti se non proprio un vespaio (ci piacerebbe) almeno una discussione. Comunque una riflessione.

Stilicone
 

 

Forse a Firenze ci sono più scrittori che lettori di libri. Lo testimonia la morìa di librerie che da qualche anno ha via via cancellato una sorta di geografia della cultura sostituendola con ben altro. L’ultima a rischiare è “La Cité” di via Santo Spirito. Luogo ameno, non si discute, anche se un po’ troppo rumoroso e decisamente meno fornito rispetto ad altre librerie che per decenni avevano ben operato in zone centralissime della città.

Però frequentare “La Cité” fa fino, fa tendenza, è a-la-page, soprattutto da quando a benedirla fu il più sprovveduto degli assessori alla cultura che il Comune di Firenze ha avuto nell’ultimo quindicennio, Giuliano Da Empoli. Disse che lì si respirava aria nuova. Forse perché, fino al momento in cui Renzi non gli affidato la Presidenza del Gabinetto Vieusseux (confermando che lo spoil system batte ogni genere di statura culturale), non era mai stato a contatto con qualche libreria-biblioteca di Firenze.

Ma siccome a Firenze si vive parecchio d’emulazione, anche il professor Sergio Givone, per non esser da meno, è sceso in piazza per difendere “La Cité” che rischia la chiusura. Se di vero assessore si trattasse, prima di occuparsi della libreria d’Oltrarno, per esempio si dispererebbe delle condizioni dei musei civici della città, a cominciare dal museo Bardini (piazza dei Mozzi) dove, a quattro anni dalla sua inaugurazione, da tempo piove sulle pareti del grande salone al primo piano, dove il deposito dei dipinti si trova all’ultimo piano, nel sottotetto, che d’estate registra temperature da Sahara e d’inverno degne dei Circolo Polare Artico.

Come se l'escursione termica non fosse uno dei peggiori nemici dei quadri. Ma forse a lui, all’assessore Givone, tutte queste verità non importano, perché se si sapessero fino in fondo danneggerebbero la corsa ai piani alti della politica del sindaco Renzi. Al quale Givone potrebbe rivolgere la domanda che in molti si fanno: ma ad aprile, quando aprirà il tanto atteso Museo del 900 in piazza Santa Maria Novella, con quale personale lo gestirà? E con quali soldi lo arrederà, visto che al Maggio, alla Fondazione Strozzi, al Vieusseux e ora anche alla Pergola non può togliere un centesimo (nonostante i primi due siano dei buchi neri della Cultura a Firenze)? E l’Archivio Zeffirelli?

 Lui spera che in città tutti se ne scordino… Invece no. Noi glielo ricordiamo, e ci chiediamo quanto tempo occorrerà prima che gli spazi di piazza Savonarola siano pronti per accogliere il patrimonio del Maestro. Se la riapertura del Forte Belvedere è stato un successo, non va dimenticato che si è trattato di una parentesi effimera (utile per la personale campagna elettorale del sindaco). Come effimere, d'effetto, semplici spot sono tante altre decisioni. Di scelte importanti per la Cultura a Palazzo Vecchio se ne fanno poche. E di poco conto. E la battaglia per “La Cité” rischia proprio di essere rubricata tra queste ultime. 

16/10/13

HO UPLOADATO MOLTA RABBIA di Martino Scacciati


Oggi mi sono alzato con un mood non ok.

Allora, durante il breakfast ho fatto, come suggeriva Socrates, una research dentro di me per capire quale fosse il sentiment.

Risultato: mi sono sentito un po’ competitor di me stesso. Un bel problema. La giornata aveva una mission importante e io non posso farmi trovare off topic.

Ho fatto quindi un po’ brainstorming con me stes...so, scannato e googlato nel range dei feelings, uprgradato la memoria e: eccolo, trovato il link: ieri c’erano pochi I like sotto la mia foto e un commento acido. Questo mi ha fatto uplodare un sacco di rabbia e non ho trovato una location per mettercela.


Io non ho il know how per reagire a questo tipo di situazioni. Le dovrei taggare come cazzate. Ma non ce la faccio. E a quel punto non riesco a loggarmi con la realtà.

 

Eppure, il mio target è sempre bannare i momenti down.... Così nn va. Ho schedulato più volte un change. Ma niente. Non faccio altro che forecastare e addare frustration su frustration. Però bisogna essere positive. Sono sicuro che il trend cambierà.


Scusate lo sfogo – non mi piace fare troppo story telling - ma non potevo non sharare questa cosa con i miei amici.

 


 

 

UN'ECCITANTE GIORNATA DI IVAN D. di Domenico Coviello

Sono le 11.22. Con un ritardo di 2 minuti Ivan D. varca trafelatamente la soglia dello studio del suo psichiatra. Ha dimenticato l’assegno di XXX euro che gli dovrebbe ogni XXX sedute, ma pazienza.
E’ peraltro il professor S., questa volta, a cominciare con un’insolita domanda: “Cosa vuol dire per lei essere ricco?”.
Ivan, nel rispondere, lascia scivolare il discorso su Gesù Cristo, che certo ricco non era. Del resto Ivan, animato da perpetui sensi di colpa per qualsiasi cosa, sente inesorabilmente il bisogno di autoflagellarsi, psicologicamente parlando, per il fatto d’esser nato ricco.
Dunque fa appello alla figura del Cristo che predilesse l’amicizia di pescatori, prostitute, esattori delle tasse disonesti (i pubblicani) e, più in generale, la feccia della società. Non certo delle classi abbienti. Tanto meno di quelle dirigenti. Tutto ciò provoca a Ivan una sottile eccitazione masochista, in quanto che egli non appartiene alla feccia ma agli abbienti, e come tale potrebbe eventualmente essere oggetto, alla fine dei tempi, quando vi sarà il Giudizio Universale (quello della Cappella Sistina di M. Buonarroti), della divina ira del Cristo.
 Ecco dunque la prima, marziana, eccitazione della giornata per il nostro Ivan. Terminata la seduta il principino dal sorriso triste (potremmo chiamarlo anche così) si ricorda di dover fare la spesa al mercato rionale del quartiere. Vagando fra i banchi degli ambulanti finisce di fronte a quello dei latticini.
E’ subito accolto dallo splendido sorriso della venditrice bionda, una signora di taglia forte, più che cinquantenne, dal seno prosperoso, gli occhi sornioni da gatta, le movenze decise. Madame lo riconosce come cliente abituale, e comincia a blandirlo al chiaro fine di spillargli più soldi possibile. Il principino, tuttavia, non può fare a meno di restare stregato, in men che non si dica, da quegli occhi, quel sorriso, quei seni, di cui può intravedere la scanalatura, in mezzo ai quali vorrebbe “metterci la faccia”, per dirla col nostro amato sindaco M. R..

Trattenendosi a stento dallo spendere più di un tot, Ivan è estasiato, e finalmente eccitato, dagli sguardi dolcemente maliziosi di quella Cat Woman in salsa mugellana, che approfitta della momentanea lontananza del marito, anch’egli ambulante, per scagliare il suo lazzo al collo dell’ingenuo principino: “Allora l’aspetto… voglio poi sapere se questi pomodorini secchi che ho preparato con le mie mani le sono piaciuti o no …”. E’ la seconda eccitazione della giornata di Ivan D.. Un po’ frastornato per essere stato approcciato da una seducente popolana presumibilmente esperta nelle arti amatorie, lui che è un abbiente con sensi colpa, privo di erotismo, Ivan va a comprare il giornale all’edicola al fine di leggerlo. Cosa che però non farà. Poiché giunto finalmente a casa sua, e spalancata la finestra della cucina, si imbatte in una tormentosamente piacevole visione che ripetutamente si replica nell’arco delle sue giornate mettendolo ogni volta in una condizione di strana sovraeccitazione. Lassù, in alto, la bella dirimpettaia sta stendendo i panni sul balcone.

 
E’ un po’ come eccitarsi perché siamo andati dalla parrucchiera invece che dal barbiere (vuoi mettere). Embè?, direte voi. Eh no, cari signori. Perché Ivan, che vorrebbe picchiare di santa ragione le olgettine, in un impeto di sadismo, vede fuggire a gambe levate la sua libido al solo pensiero delle bambolone siliconate, dalle labbra rifatte e il deretano di polistirolo. Sta scoprendo, anche con un qual certo dispiacere, che l’erotismo sta – a suo modesto avviso - nell’ordinarietà dell’umana esistenza, per quanto ciò sembri a prima vista impossibile. In sostanza: il principino Ivan sta scoprendo l’acqua calda. Vorrebbe inconsultamente ficcarsi due dita in bocca e fare un fischio “alla pecorara” alla dirimpettaia stenditrice, gridandole più o meno così: “Signoraaa!...le mutande le posso venì  a stende’ iooo?”.


Siamo dunque giunti alla terza eccitazione di Ivan D. nella sua giornata di quieta follia. Ma c’è la quarta (e ultima): Ivan, per una stramba associazione mentale, si ricorda improvvisamente di aver visto tanti anni fa, il celebre quadro “La ricamatrice” del maestro macchiaiolo Telemaco Signorini.

 
Inutile dire che la ricamatrice lo eccita: è come la venditrice di latticini. Come la stenditrice di panni. Figure femminili solo in apparenza banali e prive di fascino. In realtà, invece, cariche di una loro ordinaria sensualità. Quella della vita umana semplicemente vissuta. Fino in fondo. Senza infingimenti.