31/07/13

BIGNAMI

BIGNAMI

La Repubblica  

mercoledì 31 luglio - prima pagina

Berlusconi, il giorno del giudizio.
Il pg della Cassazione:"Ma non ha aiutato il nemico".
Il Cavaliere: e allora aboliamo il "cancro".
Marchionne: Califano non trova pace, senza tomba dopo 4 mesi.
Topolino gioca con le figurine e il Vangelo non vuole più giudicare la famiglia allargata.

27/07/13

SANGUE BLU BLU di Sannetta Trampolini della Ferla

 

Sannetta Trampolini della Ferla

da oggi ci onora della sua generosa e nobile (è proprio il caso di dirlo) partecipazione a questo blog plebeo. Noi tutti, e particolarmente chi vi scrive, ringraziamo di cuore la contessa. Se era figo al tempo d'Omero iniziare "in medias res" noi, che ci siamo montati la testa con troppi tenenti Colombi, iniziamo dalla fine, o meglio dalle fini, consapevoli che potrebbero essere un escamotage della feroce e burlona nobildonna.
Gianni Caverni

La semaine du Printemps Funèbre











i materiali qui raccolti sono tratti, col suo consenso, beninteso, dalla pagina FB di Sannetta Trampolini della Ferla.

26/07/13

MICROSIE di Marzio Pieralli


 
Decalogo per neuroni sprecati
 
 
Parla                
ma non dire
Ascolta             
ma non sentire
Guarda             
ma non vedere
Cammina        
ma non arrivare
Subisci 
ma non condannare
Critica              
ma non contestare
Sogna              
ma non sperare
Curati               
ma non guarire
Credi                
ma non indagare
Pensa   
ma non capire 
 

foto di gianni caverni
 

25/07/13

TUTTE PAZZE PER ZOMBIE di Gaia Rau



C’è stato un momento in cui il lunedì ha smesso di essere il più crudele dei giorni. E’ stato il momento in cui The Walking Dead è entrata nella mia vita. Da allora, il mio lunedì sera si svolge secondo un rituale predefinito, e inattaccabile: pizza da asporto, morettone da 66, e zombie. Già, perché The Walking Dead è una serie sugli zombie. Anzi, LA serie sugli zombie. E’ americana (la produce la AMC), l’ha partorita un regista come Frank Darabont (quello de “Il miglio verde” o “Le ali della libertà”), anche se poi ci sono stati vari avvicendamenti alla sceneggiatura e alla produzione, ed è tratta da un’omonima serie a fumetti, scritta da Robert Kirkman, che per i nerd di tutto il mondo è una specie di divinità. Come avrete già capito gli episodi escono (anzi uscivano, visto che la terza stagione è finita e la quarta inizierà solo a ottobre, sigh) il lunedì sera: o meglio, la domenica sera negli States e l’indomani in Italia, su Sky. Noi che Sky non ce l’abbiamo, e che comunque guardare i telefilm non doppiati fa più figo, aspettiamo il lunedì per guardare la versione originale sottotitolata (perché fighi sì, anglofoni mica tanto) in streaming, sul pc, in religiosa osservanza del rituale di cui sopra. 

Il bello è che chi scrive non può assolutamente definirsi una cultrice della materia “zombie”. Generalizzando, ma non troppo, potrei dire che sono una di quelle ragazze cresciute a pane e Sex and the City, che come sento pronunciare la parola “fantascienza” avverto la palpebra in caduta libera e che, fino a non troppo tempo fa, credevo che “Romero” fosse una marca di calzature spagnola (ok, crocifiggetemi pure, adesso). Poi, è successo che è quello che all’epoca era il mio compagno, e che oggi è mio marito (sarà per questo che l’ho sposato?) ha insistito così tanto, ma talmente tanto, che mi son detta “massì, dai, vediamo cosa hanno di tanto speciale questi morti camminanti”, più che altro con l’intenzione di rinfacciarglielo ogni volta che, in futuro, si fosse rifiutato di accompagnarmi al cinema a vedere l’ultimo Almodòvar o l’ennesimo lacrimevole drammone in costume. Ed è così che gli zombie sono entrati a far parte della mia vita. E non ne sono più usciti. 

C’è da dire che la stessa cosa è successa in contemporanea a un’infinità di amiche e colleghe. Roba che il martedì, su Facebook e davanti alla macchinetta del caffè, è diventato tutto un “ma dai, non posso crederci che Shane sia TORNATO”, “ma secondo te Sofia la ritrovano?” e anche un po’ “mmmmh, sexy però quel Governatore, se solo non fosse così crudele”. Sarà che The Walking Dead, a parte che è girato benissimo, che ha una fotografia splendida, una colonna sonora da urlo, e degli attori fighissimi, è strutturato come un vero romanzo popolare. Ci sono i buoni buoni (gli sfigati), i buoni (i paladini della giustizia, che però ogni tanto si incazzano), i combattuti, i cattivi che lo sono diventati perché non avevano scelta, i cattivi e basta. E poi ci sono gli zombie che sono, sì, fastidiosetti, ma sono soprattutto una cornice, un elemento di disturbo, un fattore x che è subentrato a un certo punto, ha falcidiato la popolazione mondiale e ha lasciato un piccolo gruppetto di umani a domandarsi “E ora?”.  E in questo gruppetto ci sono quelli che dicono “Ok, basta con le smancerie, l’unico modo per sopravvivere è farci venire gli attributi e applicare la legge del più forte” e quelli che invece dicono “Umani siamo, umani resteremo, la democrazia prima di tutto” e fanno di tutto per salvaguardare morale e sentimenti (e questo fa molto americano ma, non so come dire, loro lo fanno sembrare DAVVERO credibile).

Ma la cosa bella è che ci sono anche tutte quelle dinamiche che non è che siccome sei a rischio costante di essere sbranato vivo diventano meno importanti: ci sono amori, tradimenti, scazzi genitori/figli, amicizie rovinate, donne incinte e persino coppie che decidono di scambiarsi gli anelli di fidanzamento (dopo averli recuperati in maniera, ehm, non proprio ortodossa). Ci sono storie che fanno piangere, anzi singhiozzare, come quella di Sofia (che non ve la racconto, altrimenti che gusto c’è?). E ci sono dei personaggi fantastici come Shane, che è un maledetto vero, Michonne, che gira con la katana e un paio di amichetti al guinzaglio, o Daryl che.....eeeeeeeeeeeeh (sospiro). Ah, poi sì, c’è anche una buona dose di splatter, ma è un dettaglio, giuro. 

Devo confessare che, ingenuamente, ho provato a ripetere l’esperimento con altri prodotti della sottocultura zombie, fino al punto di farmi trascinare al cinema a vedere il terribile World War Z (in sala noi due, e un esercito di adolescenti). Niente da fare, l’alchimia funziona solo con The Walking Dead. Per il resto, gli zombie sono e rimangono una serie di mostri stupidi, puzzolenti, rantolanti e decisamente poco interessanti.

 




Mario Schifano. Senza nemmeno il diploma di scuola media

Gianni Caverni 

 
 

Era nato in Libia, nel ‘34, Mario Schifano. Nella Libia italiana, dove il padre, impiegato del ministero della Pubblica Istruzione era stato trasferito. Pochi anni dopo tornò a Roma. Si avvicinò all'arte seguendo il padre che lavorava al museo etrusco di Villa Giulia.
“Era bello, volubile, impaziente, simpatico, bugiardo, senza scrupoli, edonista, spendaccione, indisciplinato. Geniale. Impossibile etichettare Mario Schifano. A lui stesso non piaceva essere incasellato in una corrente, anche se era quella del suo amico Andy Warhol. Era un genio maledetto, senza nemmeno il diploma di scuola media. Il padre lo aveva faticosamente fatto assumere al museo etrusco di Valle Giulia, ma il posto fisso gli stava stretto e nel '62 lo lasciò per dedicarsi solo alla pittura. Per vivere faceva il fattorino e fu così che in quegli anni finì per conoscere intellettuali ed artisti che animavano le discussioni fra i grandi romani. Prese una grande casa/studio nello stesso palazzo di Alberto Moravia ed Elsa Morante, accanto a Mimmo Rotella. Si incontravano da Rosati con Tano Festa e Franco Angeli e li battezzarono la Scuola di Piazza del Popolo.  La sua prima personale, nel '61, era stata un trionfo, con i monocromi venduti prima dell'apertura” (da Mario Schifano. Una biografia, di Luca Ronchi). Alcuni di quei monocromi riempiono la prima sala della mostra “Mario Schifano 1960 – 1870”, curata da Luciano Caprile, che occupa, fino al 6 ottobre, gli spazi espositivi del Castello Pasquini di Castiglioncello (LI). In tutto un’ottantina di opere del periodo, secondo il curatore, più interessante della produzione di Schifano, quello che va appunto dai monocromi ai marchi della Esso e della Coca Cola, dai Paesaggi Anemici al Futurismo Rivisitato, dalle stelle e le palme alla serie dei Compagni Compagni fino ai Paesaggi TV dei quali Mario affermava “Naturalmente ciò che mi interessava non era la cultura della TV, ma la cultura dell’immagine della televisione”. Muore a 64 anni dopo una “vita spericolata” per dirla con Vasco Rossi. Vengono proiettati in mostra i film realizzati dallo stesso Schifano e delle interviste da lui rilasciate nel corso degli anni.
www.comune.rosignano.livorno.it.








 

 

14/07/13

Inganni Veraci

Inganni Veraci non è solo l'anagramma del mio nome e cognome, è un bilancio di vita e un progetto per il futuro. Certamente è un ossimoro che è una delle cose più affascinanti nel mondo della scrittura perchè lascia spazio a una miriade di letture e non comtempla le certezze ma solo le interpretazioni. Dopo l'infelice chiusura delle pagine fiorentine e toscane de L'Unità personalmente mi sento orfano di pagine da scrivere e da leggere, erano ormai quasi vent'anni che collaboravo a questa testata, quella che mi trovava a 16 anni uno degli "audaci con in tasca L'Unità", e prima del '68, comprare quel giornale e portarlo orgoglioso in una casa infestata di democristiani ha contribuito alla mia formazione di uomo, sopratto, e alla definizione della mia identità generale. L'orgoglio si è nel frattempo di molto impallidito, ma se si deve, come si deve, resistere resistere resistere, bisogna darsi da fare almeno nei territori che conosciamo di più. Inganni veraci è un blog, è il mio blog: ma non solo il mio. La crisi setaccia le voci della stampa mirando all'inevitabile pensiero unico, quello che si avrà con l'esistenza di un paio soltanto di quotidiani che sono troppo pochi anche solo per incartarci il pesce o la lattuga.
 Vi aspetto

Gianni Caverni

La “vera carne” del Canova nella casa di Michelangelo


Leopoldina Esterhazy Lichtenstein non aveva la costellazione di nei di Bruno Vespa né le pustole di un tardivo morbillo: quei puntini neri che coprono il suo ritratto in gesso sono i “punti di trasporto” necessari per la realizzazione di un marmo identico. E’ uno dei 4 gessi provenienti, come i 40 disegni e le 9 incisioni, dal Museo Civico di Bassano del Grappa e che compongono una preziosa, piccola mostra, negli spazi del piano terra del museo di Casa Buonarroti (www.casabuonarroti.it), dedicata a “Antonio Canova – La bellezza e la memoria”. Canova e tutto il neoclassicismo non hanno mai goduto di troppa ammirazione da queste parti, forse perché il Rinascimento, che ha plasmato anche troppo il gusto dei fiorentini, se si rifaceva alla cultura classica certamente ha sempre avuto in grande considerazione il realismo. Ma l’autore di Amore e Psiche ha spesso cercato la bellezza ideale nel corpo femminile come dimostra la Venere Italica il cui straordinario gesso, che bene mostra comunque la capacità dell’autore di tradurre la scultura classica in un immagine “di vera carne”, è esposto nella prima sala della mostra. Non così però nel ritratto di Leopoldina Esterhazy Lichtenstein, ultimo dei quattro ritratti a grandezza naturale di figure femminili sedute, che allo scultore fu commissionato da Nicola II Esterhazy, ricchissimo magnate ungherese che volle una buona somiglianza al soggetto. Un modello in gesso e tutta una serie di disegni e bozzetti preparatori rimanda al non lontano monumento funebre di Vittorio Alfieri che il Canova realizzò per la Basilica di Santa Croce.

 
Testa di Leopoldina Estherhasy Lichtenstein 


Venere Italica