La “vera carne” del Canova nella casa di Michelangelo
Leopoldina Esterhazy Lichtenstein non aveva la
costellazione di nei di Bruno Vespa né le pustole di un tardivo morbillo: quei
puntini neri che coprono il suo ritratto in gesso sono i “punti di trasporto”
necessari per la realizzazione di un marmo identico. E’ uno dei 4 gessi
provenienti, come i 40 disegni e le 9 incisioni, dal Museo Civico di Bassano
del Grappa e che compongono una preziosa, piccola mostra, negli spazi del piano
terra del museo di Casa Buonarroti (www.casabuonarroti.it), dedicata a “Antonio
Canova – La bellezza e la memoria”. Canova e tutto il neoclassicismo non hanno
mai goduto di troppa ammirazione da queste parti, forse perché il Rinascimento,
che ha plasmato anche troppo il gusto dei fiorentini, se si rifaceva alla
cultura classica certamente ha sempre avuto in grande considerazione il
realismo. Ma l’autore di Amore e Psiche ha spesso cercato la bellezza ideale
nel corpo femminile come dimostra la Venere Italica il cui straordinario gesso,
che bene mostra comunque la capacità dell’autore di tradurre la scultura
classica in un immagine “di vera carne”, è esposto nella prima sala della
mostra. Non così però nel ritratto di Leopoldina Esterhazy Lichtenstein, ultimo
dei quattro ritratti a grandezza naturale di figure femminili sedute, che allo
scultore fu commissionato da Nicola II Esterhazy, ricchissimo magnate ungherese
che volle una buona somiglianza al soggetto. Un modello in gesso e tutta una
serie di disegni e bozzetti preparatori rimanda al non lontano monumento
funebre di Vittorio Alfieri che il Canova realizzò per la Basilica di Santa Croce.
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