18/08/14

INTORNO ALLA DOLCE MORTE di Silvia Nardi Dei

(Le immagini sono tratte dal film Miele di Valeria Golino interpretato da Jasmine Trinca, Carlo Cecchi e Iaia Forte. NDR)

Ultimamente mi è capitato più volte di scrivere pensieri o di condividere quelli altrui sulla faccenda della morte assistita o dolce morte, insomma sull'eutanasia.
E' anche vero che negli ultimi anni sono morte alcune persone a me molto care, tutte per malattia, alcune anche più giovani di me a cui ho voluto molto bene.
Quindi, mio malgrado, ho dovuto anche confrontarmi con i diversi modi di reagire di fronte alla certezza di star per morire, a causa del cancro. Ho visto atteggiamenti molto diversi fra di loro, ne cito due, opposti. Una persona visse praticamente bombardata di psicofarmaci e le venne detta una "mezza verità" (ma la persona in questione era una delle più vivaci intelligenze che io conoscessi, quindi di sicuro aveva capito fin dall'inizio, ma continuava a dirmi che era certa di guarire) e decise di andare avanti con tutte le terapie chemioterapiche, chirurgiche eccetera, una sofferenza fisica inimmaginabile, per poi morire comunque praticamente soffocata ma "supportata" da pesante dose di morfina al pronto soccorso.
 
 
Un'altra, invece, una volta saputo che al massimo si sarebbe potuti intervenire chirurgicamente ma con scarsissime possibilità di sopravvivenza, (fu detto che si sarebbe ottenuto di rimandare la morte di un anno, forse due) che invece decise non solo di non fare alcuna cura, salvo quella eventuale di lenire il dolore, che non ebbe praticamente il tempo di arrivare, ma di tornare subito alla sua vita "normale", cercando di riempire gli ultimi mesi di cose belle, semplici, come il suo mare, il suo cane, la natura, il buon cibo, il buon vino e gli amici, quelli veri.
Questo per dire che ho dovuto soffrire molto anche io, per la loro perdita, e ho dovuto riflettere molto sulla morte.
 
 
La mia vita, fino ad ora, mi ha spesso fatto paura, e al tempo stesso mi è piaciuta tantissimo. Mi è stato tolto molto, diciamo dal destino, fin da quasi subito, ma sempre la vita, mi ha dato la possibilità di lottare, di cadere e di rialzarmi, di godere molto, di farmi piccola piccola aspettando che le nuvolone nere si dissolvessero, ma anche di godere di un bellissimo sole, di tanti colori, e a volte, guardandomi intorno, ho l'impressione che molte delle persone che incontro non proveranno mai le sensazioni immense che ho provato io, né negative (buon per loro) ma neanche positive, e non li invidio punto.
 
 
La questione del poter disporre della propria morte grazie a una legge che in Italia per adesso non c'è, ma che della quale so che viene richiesto almeno un referendum da tempo, è qualcosa che mi mette in una condizione di estremo disagio. E, partendo da un articolo di Philippe Pozzo di Borgo (tetraplegico divenuto famoso grazie a un film sulla sua vita, "Quasi amici", e che vive da anni immobilizzato dal collo in giù) in cui lui, nonostante la sua condizione di vita, si dichiara totalmente contrario a questa legge, e poi passando per l'ultima notizia di ieri di un suicidio "famoso", l'attore Robin Williams, ho cercato di tirar fuori "la mia verità", ovvero quali fossero i motivi che istintivamente mi facevano e mi fanno sentire contraria a questa possibilità.
 
 
Per prima cosa sono andata a cercare di capire come funzioni questa legge in uno dei Paesi dove c'è, in Svizzera. Ho scritto a questa associazione, dalla quale mi hanno risposto dopo mezz'ora per mail, dandomi le tariffe per morire (circa 7.000 euro), mandandomi subito un facsimile del testamento biologico, e soprattutto spiegandomi chi può averne diritto: grazie al testamento biologico, se io dovessi ammalarmi "gravemente", oppure se sempre a causa di malattia/incidente, mi trovassi a vivere in una grave condizione di disabilità (per intenderci come Philippe Pozzo di Borgo, che se anche volesse suicidarsi, da solo non potrebbe farlo, data la disabilità fisica, ma che comunque, potenzialmente, può vivere così per altri 50 anni) potrei farmi uccidere.
Ciò che a me impedisce di essere favorevole a questa legge in Italia, al di là della totale sfiducia nelle istituzioni che dovrebbero legiferare in merito, sta forse in due punti:
il primo è che forse, sebbene io sia atea, mi illudo che invece esista qualcuno che sta al di sopra di me, che ha voluto che io venissi al mondo, che ha voluto che io mi confrontassi con tutte le piccole o grandi peripezie quotidiane, ma che mi adora, che su di me ha riposto un "progetto di vita", e non di morte, non volontaria.
 
 
L'altro, forse quello più ovvio e quello che pesa di più, che ha maggior influenza sulla mia convinzione, è che a volte mi sento fragile, e nella mia sacrosanta fragilità, mi è capitato di pensare di voler morire, in più di un'occasione. E questo pensiero, il minuto dopo, mi ha lasciato terrorizzata. Non voglio, e non posso pensare a una società che lasci agli esseri umani la possibilità di farla finita. Non voglio pensare ad una società, che prima di arrivare a pensare che è meglio morire, non possa fare in modo di lasciarmi trovare un viottolo per continuare a credere che sia meglio restare qui, anche nel dolore, anche nelle difficoltà.
 
 
E' più forte di me. Qualcuno mi ha contestato dicendo che io non posso negare agli altri la libertà di pensarla diversamente da me. Io infatti parlo di me, se mai dovessimo votare per una legge in tal senso io esprimerò il mio parere votando per un NO. Sarà solo uno, il mio. Se la maggioranza delle persone dovesse votare per il SI, ovviamente le cose andranno in una direzione diversa dalla mia. Ma non mi sento in colpa e non credo di limitare la libertà a nessuno. Rivendico la possibilità di poter restare nella mia assurda convinzione. Perché è la mia.