12/06/18

THE ELEGANCE OF SPEED


Nuvolari è bruno di colore, 
Nuvolari ha la maschera tagliente
Nuvolari ha la bocca sempre chiusa, 
di morire non gli importa niente...

Così cantava Lucio Dalla del mitico pilota di quando ancora l’Italia era solcata dalla Mille Miglia fra due ali di folla entusiasta che dovette pagare, anch’essa, il suo tributo di morte.


Molto prima Marinetti e i suoi sodali avevano affermato “che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”. Da maschile che era ai tempi del Manifesto Futurista presto l’automobile cambiò genere meglio unendo alla velocità il tema dell’eleganza. D'altronde il concetto fu definitivamente sancito dal detto Donne e motori con quello che ne consegue.

Delle gare sulle strade più belle della Toscana ma anche dei Concorsi di eleganza al Giardino di Boboli, del coraggio, del fascino femminile, del rombo assordante e dell’odore pungente di benzina, dello stridio delle gomme esasperate in curva, dell’affermarsi della moda italiana, della Firenze fra il 1934 e il ’65 racconta “The elegance of speed”, la mostra che raccoglie nelle sale di Palazzo Pitti, grazie alla volontà di Eike D. Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, novanta scatti tratti dall’Archivio Foto Locchi.

La mostra, diretta da Alessandra Griffo e curata da Alessandro Bruni, Erika Ghilardi e Matteo Parigi Bini, ripercorre le tappe di una vicenda tutta toscana; secondo Eike Schmidt “viene spontaneo, guardando le foto dei primi bolidi, osservandone il design e la sua evoluzione, con le curve della scocca che si fanno via via sempre più morbide e slanciate, pensare a quello che stava accadendo nel mondo della scultura contemporanea, e alla sua interazione estetica con l’industria automobilistica. Ma quale dei due campi guarda all’altro? Difficile determinare, specie nel periodo futurista, a quanto ammonti il debito del Boccioni di Forme uniche della continuità nello spazio (1913) verso gli esemplari di locomozione più sofisticati prodotti in quegli anni, ad esempio l’Itala 35/45 HP – quella del raid Pechino-Parigi del 1907 - , o l’elegantissima Rolls-Royce Silver Ghost”.

Articolata in tre sezioni, la mostra travalica l’apprezzamento dell’automobile in termini di tecnica, aerodinamica, struttura, e rievoca un periodo di grandi trasformazioni anche nella viabilità cittadina e nella storia di Firenze.

La prima sezione è dedicata alle corse che attraversavano le dolci curve del paesaggio toscano e che hanno segnato la storia dell’agonismo automobilistico. Nasce in Toscana una rete di competizioni (Circuito del Mugello, Coppa della Consuma, Circuito delle Cascine, Circuito di Firenze, Firenze-Fiesole) che accendono la passione per la velocità e per l’abilità dei piloti. Il rettilineo della Firenze-Mare diventa teatro privilegiato di record mondiali durante leggendarie gare di velocità. Nel giugno del 1935 Tazio Nuvolari, su un’Alfa Romeo bimotore preparata da Enzo Ferrari, supera i 300 km/h e sul chilometro lanciato raggiunge la strepitosa velocità di 323,175 km/h, battendo il record che pochi mesi prima Hans Stuck, assistito dai tecnici della futura AUDI, aveva ottenuto a bordo di una potente Typ B (ribattezzata poi Typ Lucca).

Ai piloti (in mostra anche alcuni cimeli come caschi e tute, insieme a un bolide in miniatura che Ferrari preparò per il figlio Piero nelle officine di Maranello) è dedicata la seconda sezione che mostra uomini innamorati della velocità e dei cavalli meccanici che nel Novecento non avevano bisogno di freni, almeno quando li guidava Nuvolari, il mantovano più veloce d’Italia. Accanto a lui sfilano il raffinato Giannino Marzotto - che saliva in auto in camicia, doppiopetto e cravatta e il thailandese Principe Bira, che oltre alla Formula Uno partecipò a quattro Olimpiadi come velista. L’aristocratico Felice Trossi correva con auto e yacht senza mai perdere la sua “estrosa e scanzonata disinvoltura” e l’intrepido, scaramantico, Ascari che se ne andò il giorno in cui aveva lasciato a casa il casco che indossava sempre.
La storia di questi piloti insieme a quella della nobile Maria Teresa de Filippis detta Pilotino, che abbandonò le corse quando il collega che l’aveva sostituita morì in gara, è una storia del tutto particolare del Novecento in cui si vedono cambiare i costumi, i luoghi, i volti degli appassionati, le mode.

Alla moda, naturalmente quella delle carrozzerie, è dedicata la terza sezione. I concorsi di eleganza rappresentarono un momento particolare della storia delle quattro ruote destinate al mercato d’élite. Occasione di sfoggio d’eleganza in un primo momento, divennero poi una modalità di presentazione del prodotto-auto.
Firenze era la città dove Barsanti e Matteucci avevano ideato il primo motore a scoppio brevettandolo nel 1853, dove circolava la seconda automobile d'Italia (1894) e nel 1901 transitava il Giro d'Italia Automobilistico. Qui, nel giugno del 1948, nel Giardino di Boboli di Palazzo Pitti, si tenne il “I Concorso d’Eleganza per Automobili”.

Sono trascorsi pochi anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, la neonata Repubblica Italiana cerca nel suo DNA il bagaglio di eccellenze per rinascere. Firenze con la sua cultura e bellezza, crocevia di un importante entourage internazionale, è il luogo ideale. L’automobile così come l’abito è uno status symbol: le vetture più belle del mondo sfilano a Boboli, luogo simbolo della storia fiorentina, proprio come nello stesso momento fa la moda a Palazzo Pitti. Le foto scattate ai più esclusivi modelli dell’epoca dai reporter della Foto Locchi per le strade del centro, mostrano un inedito spettacolo in movimento di bellezze che si esaltano a vicenda.

A corredo della mostra è stata realizzata una monografia edita da Gruppo Editoriale in cui sono racchiusi i 90 scatti dell’Archivio Foto Locchi esposti in mostra e i testi inediti a cura di Alessandro Bruni e Piero Campani, oltre a un'introduzione di Eike Schmidt. 

Palazzo Pitti, Andito degli Angiolini, Piazza de’ Pitti 1, 50125 Firenze
11 giugno - 16 settembre 2018

28/03/18

COLLEZIONE ROBERTO CASAMONTI


Firenze, Palazzo Bartolini Salimbeni
Piazza Santa Trinita

25 marzo 2018 – 10 marzo 2019

Comunicato Stampa
Dal 25 marzo, Firenze può contare su un nuovo museo d’arte moderna e contemporanea, allestito al Piano Nobile di Palazzo Bartolini Salimbeni, lo storico edificio, capolavoro architettonico rinascimentale opera di Baccio d’Agnolo che si affaccia sull’asse visuale che congiunge piazza Santa Trinita con la prestigiosa via Tornabuoni.

L’antica dimora – attentamente restaurata – accoglie la selezione delle opere che Roberto Casamonti, nella sua lunga attività nel mondo dell’arte, ha raccolto per costituire il corpus principale della propria Collezione. 
I dipinti e le sculture esposte sono il frutto di 40 anni di appassionate ricerche che danno vita ad un assieme in grado di rappresentare l’eccezionale evoluzione storico artistica che attraversa per intero il XX secolo.

“La Collezione, con le sue dotazioni in permanenza, si appresta a qualificarsi – sottolinea il critico Bruno Corà - come una delle maggiori raccolte d'arte moderna e contemporanea aperte al pubblico esistenti in Italia. La scelta di offrire questa sua Collezione a fiorentini e turisti – evidenzia ancora il curatore scientifico della Collezione – si esprime come un autentico gesto mecenatizio (...) l’atto di riconoscenza di un cultore appassionato d'arte, per la città che lo ha seguito nel corso della sua attività professionale e della sua stessa vita”.
Per precisa scelta dell’Associazione Culturale, appositamente costituita per gestire e animare questo nuovo spazio culturale, il pubblico potrà ammirare le opere esposte accedendovi gratuitamente, su semplice prenotazione.

La Collezione di opere d'arte italiane e straniere si articola in due grandi nuclei: il primo, composto da circa un centinaio di opere, presenta artisti agli esordi del Novecento e sino ai primi anni Sessanta, il secondo, dal 1960 ai nostri giorni. 
In Palazzo Bartolini Salimbeni, la Collezione sarà appunto proposta per sezioni. Il primo nucleo, dal 25 marzo 2018 e sino alla primavera del ’19 e, a seguire, il secondo.

Al primo appartengono capolavori di Fattori, Boldini, Balla, Viani, Sironi, Severini, Marini, Morandi, de Chirico, Savinio, Prampolini, Casorati, Magnelli, Licini, Picasso, Leger, Soutine, Klee, Chagall, Ernst, Kandinsky, Hartung, Fautrier, Matta, Lam, Dorazio, Accardi, Afro, Vedova, Capogrossi, Burri, Klein, Fontana, Castellani, Manzoni, Lo Savio e numerosi altri in un percorso che attraversa 5 magnifiche sale dai soffitti di 6 metri di altezza.

L’Associazione per l’Arte e la Cultura, denominata “Collezione Roberto Casamonti” si propone l’obiettivo di organizzare mostre ed eventi multidisciplinari finalizzati a valorizzare il dialogo tra le arti con la sola motivazione di animare il dibattito culturale che interessa l’arte moderna e contemporanea.

“La nascita dell’Associazione – evidenzia Roberto Casamonti –sancisce il punto di arrivo di una lunga storia che attraversa e caratterizza la mia famiglia, raccontandosi oggi per mezzo del linguaggio vivo dell’arte. Ho pensato di voler condividere con la città di Firenze, alla quale sono da sempre affettivamente legato, la mia collezione per poter fare in modo che i valori di cui l’arte è portatrice possano essere condizioni non esclusive ma pubblicamente condivise. Sono fortemente convinto del potenziale educativo dell’arte, in grado di strutturare ed educare il pensiero, l’animo e la consistenza del nostro vivere. Perché anch’io sono convinto che la bellezza sia in grado di salvare il mondo, come affermava Dostoevskij”.

La direzione è stata affidata a Sonia Zampini, storica dell’arte e da anni collaboratrice della galleria Tornabuoni Arte.


Informazioni e prenotazioni: www.collezionecasamonti.com |tel. 055.602030
prenotazioni@collezionerobertocasamonti.com | info@collezionerobertocasamonti.com
Orari di apertura pubblico: mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica dalle ore 11.30 alle ore 19.00.



18/03/18

NASCITA DI UNA NAZIONE


COMUNICATO STAMPA

Dal 16 marzo a Palazzo Strozzi in mostra opere emblematiche dell’arte italiana tra gli anni Cinquanta e il Sessantotto. Ottanta capolavori di artisti come Renato Guttuso, Lucio Fontana, Alberto Burri, Emilio Vedova, Enrico Castellani, Piero Manzoni, Mario Schifano, Mario Merz, Giulio Paolini e Michelangelo Pistoletto.

Dal 16 marzo al 22 luglio 2018 si tiene a Palazzo Strozzi la mostra Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano: uno straordinario viaggio tra arte, politica e società nell’Italia tra gli anni Cinquanta e il periodo della contestazione attraverso ottanta opere di artisti come Renato Guttuso, Lucio Fontana, Alberto Burri, Emilio Vedova, Enrico Castellani, Piero Manzoni, Mario Schifano, Mario Merz e Michelangelo Pistoletto.

L’esposizione, a cura di Luca Massimo Barbero, vede per la prima volta riunite assieme opere emblematiche del fermento culturale italiano tra gli anni Cinquanta e la fine dei Sessanta: un itinerario artistico che parte dal trionfo dell’Arte Informale per arrivare alle sperimentazioni su immagini, gesti e figure della Pop Art in giustapposizione con le esperienze della pittura monocroma fino ai nuovi linguaggi dell’Arte Povera e dell’Arte Concettuale.

La mostra racconta la nascita del senso di Nazione attraverso gli occhi e le pratiche di artisti che, con le loro sperimentazioni, da un lato fanno arte di militanza e impegno politico, dall’altra reinventano i concetti di identità, appartenenza e collettività collegandosi alle contraddizioni della storia d’Italia negli anni successivi al cupo periodo del fascismo e della guerra. Sono questi gli anni del cosiddetto “miracolo economico”, momento di trasformazione profonda della società italiana fino alla fatidica data del 1968, di cui nel 2018 ricorre il cinquantesimo anniversario. È in questo ventennio che prende forma una nuova idea di arte, proiettata nella contemporaneità attraverso una straordinaria vitalità di linguaggi, materie e forme che si alimentano di segni e figure della cronaca.

Come in una sorta di “macchina del tempo” costruita per immagini, con un originale taglio curatoriale, l’esposizione narra il periodo più fertile dell’arte italiana della seconda metà del Novecento, che oggi è riconosciuto come contributo fondamentale per l’arte contemporanea, ripercorrendo alcuni temi identitari di un Paese in cui l’arte viene concepita sia come forza innovatrice sia come strumento di approfondimento di un più ampio contesto culturale.

Nascita di una Nazione vuole offrire una chiave di lettura ad un periodo artistico che si è intrecciato indissolubilmente con lo sviluppo dell’Italia e che ha tratto dalla politica, dal costume e dai cambiamenti sociali linfa vitale”, spiega Luca Massimo Barbero. “Le sale riassumono le tensioni sociali, politiche, culturali e sociali di quegli anni dando un quadro straordinariamente ricco ed eterogeneo di ricerche artistiche che può sorprende vedere qui riunite per assonanze e contrasti, ma che fotografano un dialogo che risulta, a maggior ragione oggi, assolutamente vitale”.
Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano
a cura di Luca Massimo Barbero Firenze, Palazzo Strozzi 16 marzo-22 luglio 2018 #NascitaNazione

“Questa mostra si iscrive nella consolidata indagine intorno all’arte e alla cultura della modernità condotta da Palazzo Strozzi negli ultimi anni” afferma Arturo Galansino Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi “Oltre a ricordare il cinquantesimo anniversario del fermento culturale e sociale legato al Sessantotto, la mostra celebra lo straordinario momento creativo del secondo dopoguerra italiano, un periodo pienamente riscoperto nella sua importanza storico artistica prima all’estero, sia dalle grandi istituzioni museali che dal collezionismo internazionale, che nel nostro paese. Nascita di una Nazione presenta al vasto pubblico di Palazzo Strozzi la grande arte moderna italiana in un modo nuovo e originale, soprattutto fondato su un approccio storico e didattico in grado di rendere l’arte moderna accessibile a tutti”.

LA MOSTRA
L’esposizione si apre con un ambiente immersivo costituito da quattro videoproiezioni correlate in sincrono che ricostruiscono una breve storia visiva d’Italia dall’Unità al 1968, tra arte, cinema, moda, cronaca, politica e società. Queste immagini sono poste in un contraddittorio dialogo con La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (1951-1955) di Renato Guttuso, figura chiave dell’ortodossia politica dominante del neorealismo propagandistico e non a caso unica testimonianza in mostra di un esasperato attaccamento all’arte politica di quegli anni, in netta opposizione con le altre esperienze di quel periodo: la tela, infatti, fu realizzata per l’Istituto di Studi Comunisti Palmiro Togliatti delle Frattocchie. 

Immediatamente contrapposte sono le poetiche delle nuove avanguardie rappresentate dall’astrazione antirealista di Giulio Turcato con un’opera fondamentale come Il comizio (1950) e da due opere del decennio successivo, il provocatorio collage su stoffa Generale incitante alla battaglia (1961) di Enrico Baj e il décollage sul volto di Benito Mussolini L’ultimo re dei re (1961) di Mimmo Rotella, che costituisce una anticipazione dello scontro politico generazionale della fine degli anni Sessanta.

La mostra prosegue con un approfondimento sulla continuità dell’Arte Informale tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Alcune opere declinano con forza il tema dell’esistenzialismo, come la grande tela Scontro di situazioni ’59-II-1 (1959) di Emilio Vedova e il raro e lacerante metallo Concetto Spaziale, New York 10 (1962) di Lucio Fontana; altre testimoniano la radicale sperimentazione sulla materia come elemento esistenziale che si ritrova nelle azioni di Alberto Burri su juta, tela o addirittura sul legno bruciato, nelle tormentate terrecotte di Leoncillo, nei rifiuti meccanici di Ettore Colla. La sala successiva, in un confronto tra opposti, è dominata dal colore bianco e dedicata all’azzeramento e alla monocromia: a lavori come Superficie lunare (1968) di Giulio Turcato e il monumentale capolavoro Superficie bianca (1968) di Enrico Castellani, si affiancano le composizioni con bende di Salvatore Scarpitta, le tele estroflesse di Agostino Bonalumi e la straordinaria serie Achrome di Piero Manzoni che ha inaugurato in modo dirompente le esperienze artistiche degli anni ’60. 

Parallelamente emergono come protagonisti Jannis Kounellis e Pino Pascali che arrivano a rigenerare il linguaggio artistico con elementi naturali e figurazioni primordiali. Al rigore neo concettuale fanno da controcanto le visioni figurative lenticolari di Domenico Gnoli e la nuova figurazione di Tano Festa, Sergio Lombardo, Renato Mambor e Giosetta Fioroni i cui lavori introducono il visitatore a una sala dedicata alla rappresentazione della bandiera come simbolo. 

Corteo (1968) tra le più emblematiche e meno note opere di Franco Angeli, dialoga con Compagni compagni (1968) di Mario Schifano – riferimento della nuova pittura italiana e forse uno dei suoi più grandi interpreti. La sala successiva è invece dedicata alle opere germinali di artisti quali Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz: autori che costruiranno un altro momento fondamentale dell’arte italiana, internazionalmente noto come Arte Povera. 

In questo contesto, l’Italia (1968) di Luciano Fabro domina l’ambiente, trasformando il concetto di nazione e sovvertendone i significati. La rassegna continua all’interno dell’installazione Eco (1964-1974) di Alberto Biasi, lavoro interattivo e immersivo realizzato per celebrare il decennale dalla dissoluzione del Gruppo N e la conclusione delle esperienze cinetiche e
programmate. La fine del percorso vede un “cortocircuito” tra l’iconicità della Mappa (1971-1973) di Alighiero Boetti e Tentativo di volo (1970) di Gino De Dominicis, che diventano l’eco e l’introduzione a un’Italia che parla un linguaggio internazionale e che mira a divenire un punto di riferimento anche al di fuori dei suoi confini. Rovesciare i propri occhi (1970) di Giuseppe Penone chiude la mostra in modo emblematico, rappresentando una nazione che guarda a se stessa e alla sua storia mentre entra in un periodo di forte polemica che diventerà anche lotta armata.

La mostra è promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi con il sostegno di Comune di Firenze, Camera di Commercio di Firenze, Associazione Partners Palazzo Strozzi, Regione Toscana. Con il contributo di Fondazione CR Firenze. Main sponsor Banca CR Firenze Intesa Sanpaolo.

12/03/18

MARIA LAI, “IL FILO E L’INFINITO” (dal comunicato stampa)




MARIA LAI, “IL FILO E L’INFINITO”: LE CELEBRAZIONI DELL’8 MARZO DELLE GALLERIE DEGLI UFFIZI CULMINANO CON L’INAUGURAZIONE DI UN’ALTRA MOSTRA SU UNA GRANDE DONNA E UNA GRANDE ARTISTA.
Nell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, fino al 3 giugno, attraverso il tema del filo, Maria Lai coniuga la tradizione della civiltà sarda con i linguaggi dell’arte contemporanea.



“Appo intesu sonu ʼe telarzu, e sa bidda no pariat prus morta …” (Ho sentito un batter di telaio, e il villaggio non mi sembrava più morto) , ha scritto Salvatore Cambosu, scrittore sardo e prima insegnante poi grande amico di Maria Lai. Anzi, lui dettava e lei scriveva.
L’opera di Maria Lai (Ulassai, 27 settembre 1919 – Cardedu, 16 aprile 2013) si impone nel panorama artistico internazionale e lo dimostra la sua presenza, l’anno scorso, sia alla Biennale di Venezia, sia a Documenta di Kassel e Atene.
La mostra, curata da Elena Pontiggia e corredata di un ampio catalogo edito da Sillabe, celebra la sua ricerca che si è svolta per più di un settantennio, con un costante rinnovarsi del linguaggio che la porta dal realismo lirico degli anni Quaranta alle scelte informali dei tardi anni Cinquanta e dai lavori polimaterici dei primi anni Sessanta alle successive opere concettuali.

Va compreso in tutta la sua profondità il significato della sua azione collettiva Legarsi alla montagna, che si vede nei video con cui idealmente si apre questa mostra: coinvolgendo completamente paesaggio e persone, Maria Lai realizza qualcosa di magico a Ulassai, il paese tra i monti dell’Ogliastra dove era nata, a cui la stringevano vincoli di affetto, ma anche l’esperienza tragica della morte del fratello, ucciso a trentadue anni in un tentativo di sequestro.
Legarsi alla montagna è la prima opera relazionale compiuta in Italia e si ispira a un’antica leggenda che tutti a Ulassai conoscevano: la storia di una bambina che, durante un furioso temporale, esce dalla grotta dove si era rifugiata, attratta da un bellissimo nastro che vola nel cielo e, con quel gesto a prima vista azzardato, si salva da una frana devastante. L’insegnamento della leggenda è semplice: la bellezza e l’arte, apparentemente così inutili, ci salvano la vita.

Il primo filo da considerare in questa mostra è dunque quel nastro ormai distrutto (strisce di tela lunghe in tutto ventisei chilometri) con cui Maria Lai entra nella scena dell’arte contemporanea internazionale.
“Al centro di questa rassegna – spiega Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi - sta il mezzo più tipico del suo lavoro cioè quel filo che ‘lega e collega’ in maniera senz'altro viva e che infatti spesso rimane libero e non ancora cucito: tra i vari riferimenti mitologici non può che ricordare Penelope che tesse durante il giorno e nella notte scioglie i fili”.
Il telaio, lo strumento millenario della tessitura, compare già in un suo disegno degli anni Quaranta e figure di tessitrici si incontrano nelle sue carte successive. Nel 1967 realizza Oggetto-paesaggio, esposto qui nella prima sala della mostra: un telaio disfatto, ingombro di fili spezzati e senza ordine, che occupa lo spazio come un totem. Una scultura/installazione che dialoga con l’arte concettuale, in particolare con il Nouveau Réalisme di Arman e Spoerri, e più ancora con le “armi” di Pascali, dell’anno precedente. 

Già qui il rapporto doppio col passato e con la contemporaneità è caratteristico della ricerca di Maria Lai e porta ogni suo lavoro a essere al tempo stesso aperto ai linguaggi dell’oggi e legato alle proprie radici e alla propria storia.
Dai Telai nascono le Tele cucite, che da un lato continuano a evocare il mondo arcaico dell’arte tessile della Sardegna, dall’altro si inseriscono in quella ricerca espressiva che lavora non sulla tela, ma con la tela dialogando quindi con i polimaterici di Prampolini, i Sacchi di Burri, le Tele fasciate di Scarpitta, i tessuti irrigiditi dal caolino di Piero Manzoni, le tele di Castellani e Bonalumi o in quelle svuotate di Dadamaino.

Lai trasforma l’oggetto quotidiano, nato per essere utile o almeno decorativo, in un oggetto poetico che non serve a nulla, ma è più importante di ogni funzionalità perché insegna a pensare e a capire.
Il passo successive sono le Scritture dalle quali nascono, sempre alla fine degli anni Settanta, secondo un percorso strettamente consequenziale, i Libri che spesso si compongono in fiabe visive: tra le prime, Tenendo per mano l’ombra, del 1987, incentrato sulla capacità di accettare il negativo che è in noi tutti.

Per la seconda volta gli spazi delle Gallerie degli Uffizi ospitano Maria Lai: nel 2004 l’artista aveva allestito al Giardino di Boboli l’Invito a tavola, un grande desco apparecchiato con pane e libri in terracotta, che proprio adesso è in mostra a New York. Non mancano riferimenti a Firenze nell’opera dell’artista sarda: dalle mappe immaginarie di Leonardo da Vinci copiate a Firenze, fino all’opera Il mare ha bisogno di fichi, realizzata nel 1986 in occasione del ventesimo anniversario dell’alluvione del 4 novembre 1966.

Questo dovrebbe fare l’arte: farci sentire più uniti” amava dire Maria.