31/01/16

TRAILER DI JOY di Guelfo Guelfi

Ieri ho visto Joy: proprio un bella famiglia. 
La mamma fissa davanti allo schermo TV fino a che un idraulico antillino riesce a distrarla, il padre un invadente falso buono che tocca e stropiccia ogni cosa, il marito un gatto morto accovacciato sulla spalla di Joy, la sorella invidiosa e nociva. 

Era il family day. Ma è giusto così. 


Tutti diversi e mischiati. I buoni con i cattivi, gli scemi con i giusti, gli esagitati con i flemmatici, i mestieranti con gli improvvisati. Tutto, tutto insieme a colorare la grande famiglia dell'umanità. 


Ed oggi è domenica, apparecchiamo la tavola, ottimo posto per bisticciare tra noi.

26/01/16

REDIVIVA ANCHE LA STORIA di Riccardo Pangallo e Gianni Caverni

Ho visto, ormai da parecchi giorni, l'ultima fatica (è il caso di dirlo) di Inarritu. E' già passato un pò di tempo e, ripensandoci, trovo che, certo, è stato un bello spettacolo. Due ore e mezza trascorse bene ma... fin dall’inizio del film, ho provato una sensazione strana: quella di conoscere già la storia, insomma di averlo già visto. E non avevo tutti i torti. Agli inizi degli anni ’70 ebbe presa sul pubblico un filone di bei western, (il western crepuscolare) di cui molti filo-pellerossa, come Corvo rosso non avrai il mio scalpo di Sidney Pollack o Soldato blu di Nelson o Piccolo grande uomo di Arthur Penn, e altri che hanno segnato una inversione di rotta e hanno offerto una rilettura della storia del West affrancando finalmente i pellerossa dall’eterno ruolo di “cattivi”. Tra questi si fece notare Uomo bianco, và col tuo dio! , non tanto per filo-indianismo ma per l’inedito conflitto all’ultimo sangue dell’uomo solo e abbandonato a sè stesso contro una natura ostile che pare volere solo la sua morte. E’ del 1971 , protagonista un memorabile Richard Harris , diretto da Richard C. Sarafian che non ha fatto molti film ma quei pochi sono ricordati dallo spettatore a distanza di decenni. (Punto zero, La terra si tinse di rosso, ecc.) La storia è la stessa, il personaggio è proprio lo stesso Hugh Glass , c’è il grizzly che lo attacca, c’è il desiderio di vendetta su chi lo aveva lasciato condannandolo a morire, insomma è proprio quella storia lì. Ma perché non lo dice nessuno che The Revenant è un remake? Che male c’è? Comunque …difficile inventare storie nuove eh…


Fin qui l'amico Riccardo Pangallo al quale ho chiesto il permesso di citare le sue parole nel mettermi a scrivere di The Revenant. Confesso che “Uomo bianco, và col tuo dio!” non devo averlo visto o non me lo ricordo, ma la sensazione di remake l'ho avuta anche io, e diverse volte, durante la proiezione.
Per chi non l'avesse visto una raccomandazione: COPRITEVI BENE! I personaggi si muovono tutti in un Nord Dakota gelato, alle sorgenti del Missuri, e come se non bastasse hanno sempre i piedi nell'acqua! Per i più freddolosi si consiglia di portarsi dietro un cavallo morto.

Tornando a quell'aria di déjà vu che aleggia nella sala non credo però che Alejandro González Iñárritu (premio Oscar per il miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura originale dell'anno scorso per Birdman) abbia fatto anche un Remake di Tex tenderei ad escluderlo. Anche se l'eroe di Sergio Bonelli è un bianco, come Hugh Glass, che ha sposato una nativa navajo, Lilyth, Glass una Pawnee. Tutte e due le donne moriranno presto dopo aver generato un figlio: Kid per Tex e Haowk per il personaggio interpretato da Di Caprio che se non prende l'oscar qui può mettersi a fare l'ortolano.
Certo è che dopo pochi minuti sai già perfettamente come si svolgerà la storia, fino alla fine.


Quello che non sai è che nel mezzo c'è una recitazione grandiosa, una fotografia speciale, dei paesaggi mozzafiato.


Ma la storia è la solita (the same old story): l'eroe viene massacrato da una grizzly, gli viene ucciso il figlio e viene abbandonato a morte certa.

Lo dici te! Noddavvero, si salva, Non si sa come (nemmeno una frattura!), E vive solo per la vendetta. Glass/Di Caprio e Fitgerald/Tom Hardy per tutto il film colpivano con la stessa precisione indiani e zanzare. Trovatisi finalmente di fronte non si contano gli spari andati a vuoto: calo della vista? No, è che devono annodarsi in un corpo a corpo sanguinario come tutti i film di questo genere, esasperante e violentissimo con tanto di accettate sulle dita.

Ma come non c'è proprio niente di nuovo? In verità c'è: il cattivo prima di soccombere definitivamente dice una frase: “la vendetta non ti restituirà tuo figlio”. Insomma dice una stronzata ovvia al cospetto della quale Di Caprio ha un'espressione incerta. Sono convinto che ha capito anche lui che se si fosse mostrato sorpreso o colpito da una scemenza del genere l'oscar se lo doveva sognare anche questa volta.

18/01/16

PRENDERE TRE (3) PICCIONI con Aroldo Marinai.


Consigli di lettura per signore e signorine.

Primo piccione. Chi ha letto La misura del mondo (notevole e meritato successo del 2006) non si lascerà sfuggire questa nuova opera del prolifico scrittore tedesco. Ci sono tre fratelli: uno fa il pittore però non crede nell’arte, ha talento ma preferisce produrre falsi d’un autore contemporaneo. Un altro fa il prete ma non crede in Dio, sostiene che si può vivere anche senza essere felici, che problema c’è? Il terzo investe capitali per conto terzi, accumula errori madornali ma sarà salvato dal caso sotto forma di crisi mondiale (lui sì che crederà in Dio!).
F (è il titolo originale) come Fato o Falsità o Filosofia del vivere in un libro beffardo, leggero e profondo. Il capitolo sulla storia della famiglia, a ritroso, è geniale e godibilissimo.
(Daniel Kehlmann, I fratelli Friedland, Feltrinelli, euro 17)



Secondo. La Roma degli anni ’60 raccontata da un grande poeta contemporaneo. Valentino Zeichen ci riporta agli anni della Dolce Vita, il cinema, i salotti, insomma quella temperie culturale. Ma soprattutto ci racconta dei pittori, i “re di Roma”, le loro invidie o complicità, gli ozi e i vagabondaggi, tra vernissage buffet e tentativi di rimorchiare (il loro “imbrocco facile”, invidiato dagli scrittori che avevano meno occasioni). A scardinare la misoginia dei tre personaggi appare una ragazza dai tratti orientali, occhi verdi, labbra grosse, una vera grande bellezza, curiosa e socievole.
Zeichen, che si fa vanto di scrivere poesie su commissione e vivere arruffato in una baracca sul Tevere, è al suo primo romanzo, “scritto per scommessa”. Scommessa vinta con una scrittura preziosa e sapida.
(Valentino Zeichen, La sumera, Fazi Editore, euro 16)



Terzo. (Questa è autopromozione). Un tizio decide di andare a frugare nei luoghi di una lontana apparizione della Madonna, tante volte - hai visto mai - ne fossero rimaste tracce. La vicenda si svolge nel canonico spazio temporale di sette giorni, il risultato non voglio dirlo qui.
La scrittura è meno lineare di quanto vorreste, forse, ma credo sia positivo stimolare certe aree cerebrali dormicchianti, come fanno i rebus le “cornici concentriche” e la “ricerca di parole crociate” della Settimana Enigmistica. Ecco, Settimana Enigmistica avrebbe potuto essere il titolo alternativo.

(Aroldo Marinai, L’asparizione, Buio Edizioni, euro 10 – acquistabile su Amazon)


13/01/16

ASSOLO FUNZIONA, NON SI PIEGA!

Nel primo sogno c'è la morte, la sua. E infatti lei, Flavia, non si vede, è chiusa nella bara. Tutti intorno i suoi uomini, i due mariti, le loro nuove mogli, i due figli, l'amante francese (l'amante era lei). E' che nei suoi sogni, che puntualmente racconta nelle sedute dalla psicologa, una ottima Piera Degli Esposti, lei, sempre Flavia, non appare mai: vorrà pur dire qualcosa!

"Assolo" è il secondo film scritto (assieme al secondo marito, anche lei!), diretto ed interpretato da Laura Morante che non smentisce la sensibilità, l'intelligenza, la cura di cui ha dato molte prove come attrice.

L'argomento non era per niente facile, le difficoltà di una donna cinquantenne alle prese con un bilancio globale piuttosto fallimentare che riguarda gli uomini, in generale gli affetti, le donne, i figli, il lavoro, l'erotismo, l'amicizia e tutto il resto facilmente immaginabile. La Morante lo affronta con grazia, e una malinconia leggera che le permettono di costruire una piacevole commedia più francese che italiana, più affettuosa che amara, più ironica che aspra o acida.

In fondo il suo "fallimento" è piuttosto normale e condiviso, ma è proprio questo il nocciolo del problema: Flavia è incerta, insicura, in balia della sua presunta (e quindi anche reale) goffaggine e inadeguatezza e non si perdona nulla, o meglio non si aspetta che questo. Due ex mariti? Bene, sono loro, con le loro nuove compagne la sua famiglia, da loro va il fine settimana, loro vede nel tempo libero. 

Oppure vede, ed è consapevole che sarebbe meglio di no, l'amica "sfigatissima", interpretata da Anna Finocchiaro, che perde qualsiasi briciola di dignità implorando il marito di non lasciarla, coinvolgendo Fulvia in tragicomici pedinamenti quando lui se ne va per una di 30 anni di meno (come da copione) e felice quando le arriva la telefonata che l'avverte dell'infarto del fedifrago: "all'ospedale ha chiesto di me", dice orgogliosa.

C'è anche il tango, ma, come stupirsene, nella milonga fa da tappezzeria. C'è anche una patente di guida che non riesce a prendere e che fa da metafora di tutti gli esami con i quali rinuncia a misurarsi. C'è un maldestro tentativo di darsi una mossa ma lo fa con l'inqualificabile e inaccettabile Marco Giallini, e siamo alle solite, dunque.

"Le candele no, le ho provate, si piegano" è la sapida battuta di Emanuela Grimalda, seconda moglie di Pannofino, primo marito di Flavia, durante una cena sguaiata fra donne tutte intente a magnificare le doti di vari oggetti d'aiuto nell'autoerotismo. 

Già, Flavia prova anche questo, ma, niente da fare; stavolta ci si mette l'adorabile Kira, la cagnolina che prende spesso a prestito dalla bizzarra e movimentata coppia del piano di sopra. Kira in fondo è l'unico essere vivente a darle in dosi massicce quell'affetto che elemosina e al quale ha quasi rinunciato.

Quando la psicologa Piera Degli Esposti le comunica che la terapia è finita Flavia ... no non ve lo dico, troppo bellina e dolce la sua reazione.

Insomma, lieto fine o no? In qualche modo sì, ma proprio niente miracoli, come è giusto che sia. 
Ma almeno nell'ultimo sogno Flavia si vede, addirittura mentre guida una bella decappottabile! 

10/01/16

LE FICTION SONO SPECCHI di Fulvio Petri

Non è azzardato giudicare il progresso culturale di un paese anche da programmi e fiction tv che questo produce; al di là del facile snobismo con cui si liquida l'intrattenimento quotidiano della popolazione tramite il mezzo televisivo, è altrettanto ovvio che la perversa formula richiesta-offerta del mass media più influente rispecchia esattamente la situazione passiva, attiva o in stallo di una mentalità popolare. 
Prendiamo in esame le fiction; quelle britanniche, ad esempio, hanno arguzia, ironia, forte senso critico per ogni sfumatura dell'umano e mostrano personaggi tra i più disparati: famiglie etero/omosessuali, uomini eterosessuali che si fanno complimenti fra di loro, donne che possono essere madri come pure single felici e senza figli, signore anziane arrapate da fustacchioni seminudi, ragazzini innamorati di donne mature, e così via. 
Generi umani tra i più vari, di ogni orientamento sessuale, religione, etnia, fisicità. Il tutto senza riguardo né privilegio particolare con cui arruffianarsi...anzi, spesso sbattono in faccia a tutti i propri difetti, senza discriminazioni né ipocrisia, nel bene o nel male: ben vengano quindi i gay acidi, i neri vittimisti, i diversamente abili stronzi, i malati di mente insopportabili, i religiosi integralisti ottusi, i caproni ignoranti, i bambini a cui verrebbe da dar fuoco senza timore ...e ben venga, chiaramente il contrario di tutto ciò. il mondo è pieno di contraddizioni, mentalità criticabili e individualità pericolose, quindi discutiamole, mettiamole anche in ridicolo che è proprio questo il modo più giusto di mantenerne l'umanità...ma tutte, allo stesso modo. 
E' giusto abituare il pubblico ad ogni sfumatura, e lasciarlo libero di costruirsi la propria visione  "morale". A ridere e commuoversi per quello che preferisce, senza imbeccate eccessive. Sono le imbeccate a creare il pregiudizio.

Noi invece in italia cosa abbiamo? Abbiamo Don Matteo. e quindi: preti sempre buoni, poliziottelli simpatichelli, la troiona bbona di turno (ci hanno messo Belen, stavolta), su cui tutti i maschi della serie sbaveranno RIGOROSAMENTE, figure femminili in generale tutte perbenino e caste - coi soliti figli da mettere sull'altarino in maniera acritica, immigrati di ogni etnia che parlano TUTTI  come filosofi laureati e danno lezioni di vita a prescindere, nonne rigorosamente asessuate e nonnini dalla felice andropausa indotta - nipotini, buon cibo, spaghetti e cotillon. se poi ci sarà il gay, immagino sarà "senzibbbile" e compatito da tutti, non tromberà MAI, e sarà consolato - aiutato, magari dal diversamente abile di turno che ovviamente sarà SEMPRE meraviglioso e altruista, forse ancora più santificato dello straniero filosofo e della casalinga-mamma. e ovviamente nessuna di queste categorie si discrimina tra di loro, figurarsi. 

Quello è sempre compito dei belli, ricchi, sessuati, atei e cattivi. Le uniche vie di salvezza per questi ultimi mostri? la religiosità salvifica e la famiglia.
Insomma, un cumulo di buonismo e stereotipi, senza umanità. Che all'italiano, piace, evidentemente.

Ci tocca quindi dedurne che l'italiano è un pecorone, che va imbeccato e che riesce a capire soltanto entità definite ed elementari, come in certe fiabette da bambini. 

Che sia dramma o commedia, gli ci vuole la frecciona a indicare dove stanno il "bene" e il "male" (ovviamente intesi come entità sempre ben separate), e ha bisogno spesso dello spiegone, sennò non batte ciglio. Non capisce i doppi sensi né le ambiguità, né le sfumature, né la leggerezza, né i mille grigi dell'esistenza.  
I nostri conduttori tv sono ancora quelli che fanno la faccina schifata se devono baciare sulla guancia un attore maschio (che magari stimano, pure); un atteggiamento preistorico al limite della cafoneria, ma sempre quasi obbligatorio nella nostra tv. 
Le conduttrici invece, devono essere sempre morigerate per non scalfire il loro ruolo di madonnine pixellate. 
Tutto ce lo dice a chiare lettere: viviamo di ruoli vecchi e definiti; famiglia classico - cattolica come fulcro sociale e bene assoluto;  minoranze protette dal politicamente corretto come fossero alieni da far studiare a Piero Angela, o rapaci estinti da far proteggere alla LIPU, ma fondamentalmente sterili, satelliti attorno alla vita "giusta". E' tutto molto vecchio, sottoculturale e triste...che poi non si sa se è nato prima l'uovo o la gallina, se è nata prima l'offerta o la richiesta...fatto sta che siamo in un bel pollaio. 
E non solo all'interno della tv. 
Anzi.

03/01/16

SPIELBERG E ALLEN, MACCHE' di Maria Antonietta Serra

Parto dalla fine : Spielberg e Allen, due mostri del cinema....a casa !!!!
Due nelle delusioni quasi in sincrono a cavallo delle festività . Il primo a batter sconfitta è Steven Spielberg che non soddisfa il mio desiderio di buon cinema col suo " Il ponte delle spie". 



Fate conto di scegliere un ottimo ristorante stellato per una cena che non sazi solo la pancia ma che possa appagare i vostri sensi con quei piccoli artifici resi possibili solo da chi possiede il dono dell'arte culinaria d'eccellenza: ecco io ero in poltrona, al cinema, con lo stesso stato d'animo di chi siede a tavola in quel ristorante stellato,  intanto che calavano le luci in sala e iniziava il film. Spielberg eh , mica Pincopalla. Capirete quindi la mia delusione intanto che la storia si svolgeva costellata di ottime immagini , confezionata con  eleganza e ben descritta, coronata da una magistrale interpretazione di Tom Hanks in gran forma. Pellicola prevedibile però, priva di pathos - e sì che di materiale  da tenerti incollata col fiato sospeso ce n'era - invece no! credo che i fratelli Coen abbiano scritto la sceneggiatura a suon di succhi di frutta; diciamo che scrissero " Fargo" supportati da ben altro carburante. Delusione, lascio il cinema con un certo languirono ...


Secondo step altamente deludente quello su Woody Allen. Il suo " Irrational Man " , film quasi didascalico sulla miseria della natura umana mi ha messa proprio ko. 


Eh sì, perché se sei lo stesso mito assoluto capace di colpire alle viscere con " Match Point ", caro Woody , devi farlo ancora come solo tu sai fare: prendi bellezza, sangue, passione, paura, egoismo, bugia, sesso nelle sue forme più sublimi e crea la magia, non ci propinare un bel filmetto dal finale buonista. Piglia coraggio e dopo tutto sto filosofeggiare vai fino in fondo e scaraventala giù per il vuoto dell'ascensore quella ficcanaso di fanciulla, poi fatti una sana scopata con la stagionata professoressa, mollala sul ciglio della strada in mutande lasciandole la sua vita a brandelli e vattene per la tua strada! Questo dovevi fare. Invece no, tu proprio tu caro Woody ci regali un bel finale di buonsenso e dopo che ci illudi pigli il protagonista e ne fai frattaglie . Ma vattinne, va...nemmeno Joaquin Phoenix ne esce credibile.
Delusione, lascio il cinema contrariata.