Napoli
è una città mercuriale. Me l’ha detto la mia amica Gianna: una genovese con gli
occhi di ghiaccio e il sorriso caldo, perennemente in viaggio. Non siamo sedute
in una semplice pizzeria, siamo da Fefè a quartiere Materdei: siamo dentro un
impasto di odori, quadretti rossi e bianchi, tavole e voci della Sanità
Napoletana. Ho incontrato Gianna tra la polvere e il solleone che andava via
verso le sette, le sette e mezza.
Ma
andiamo per gradi.
Secondo
la pratica Ayurvedica del "Pancha Karma", per superare un momento
buio dal punto di vista psicofisico, con conseguente aggravamento dei
"dosha" (grossomodo i punti vitali del corpo) , bisognerebbe
effettuare un trattamento palliativo d’una certa durata (dalla settimana ai sei
mesi di tempo) composto da: detossificazione preliminare, affiancata da
"Shnedana", applicazione di olii che puzzano di buono, e
"Svedana", vapori vari -credo- da inalare. Poi c’è la terapia del
vomito, quella delle purghe, e applicazioni nasali d’erbe, pulizia del sangue...
Secondo
il mio personale "Pancia e Carma", empiricamente collaudato e dunque,
di non minore pregio rispetto ai rimedi dell'antica e venerabile medicina
Ayurveda, la miglior cura per uscire da un momento buio dal punto di vista
psicofisico è andare a cena da Fefè a Materdei.
La
giornata che prepara a una cena così, è lunga, e ha un suo copione .
Bevo
caffè molto lungo, amaro e aspetto. "Aspettare", in controtendenza,
il mio verbo, quello che pervade l'aria del primo mattino: alzarsi e sdraiarsi,
poi rialzarsi e sdraiarsi ancora, trincerata in stanza, nell’attesa che la
coinquilina, generosa vulcanica neomamma lucana, abbia finito di roteare per
casa come una "palla-pazza-caricata-a-salve-per-domande".
Prediligo
letture elementari al mattino, mentre temporeggio nell'inefficenza: meglio di
tutto? Mi affumico nella noia di un qualche catalogo del supermarket. Poi vado
in bagno, faccio una doccia veloce, calda: regredisco alla placenta da cui
tutto è partito, e ruoto improvvisamente tutta la manopola verso il blu: pure
le grandi dame dell’ottocento si lavavano così, con l’acqua ghiacciata, per
conservare la pelle giovane e bellissima, lanciando piccoli costanti urletti di
fastidio e piacere.
Mi
asciugo con l’accapatoio, ma senza metterlo, in modo rozzo ma abile, e corro
indietro in mutande verso la meta: la mia stanzetta ,sempre quella, stando
attenta a dribblare "palla-pazza",
"suocera-di-palla-pazza-che-gira-in-cucina-sugo-arancione", e
"amica-di palla-pazza-che-fa-la-spola-tra-il-corridoio-e-la-stanza-dei-giochi"
di "figlia-di-palla-pazza", che a intervalli regolari piange, tra una
carica del carillon e l’altra. Una mattina come tante, la versione iperrealista
di "Campo Minato".
Indosso
pantaloni puliti della tuta, calzini appena presi dallo stendino, ma spaiati, e
maglietta speciale.
Chi
non ha una maglietta speciale?
Solo
dopo un preludio del genere riesco a uscire.
Memore
dei consigli ayurvedici mi allungo fino ad un erboristeria specializzata del
centro. Ci passo dentro tutto il pomeriggio. Dopo un' analisi accurata di merce
e prezzi, decido quindi d'acquistare una saponetta emolliente che armonizza il
quinto chakra, per il modico prezzo di diciassette euro e venti.
Esco
dal negozio, e ho l'impressione che nonostante la saponetta il mio plesso
solare si senta sempre peggio. Strano, perchè dicono che a volte il solo
pensiero di avere in tasca la medicina giusta
ci faccia già mezzo guarire. Ma forse le saponette non vanno annoverate
tra i medicinali.
Giro
l’angolo e mi dirigo così verso l’ospedale di zona, perchè ho il fiato chiuso,
un fiato blu come il mare profondo, tutto chiuso in faccia, e l'immaginario
brusio d'una pentola a pressione accompagna come letale colonna sonora il mio
novello, possente, inconfondibile, puntualissimo, attacco di panico. E' la claustrofobia
accumulata dentro quell'angusta bottega, tutte quelle ore.
Aspetto
seduta e sudata, le scarpe slacciate, s'una seggiola rotta dell'ospedale. Una
volta qualcuno mi ha detto che se hai un attacco di panico devi prima
trattenere il fiato, incamerando tutta l'aria, poi devi fare una serie di
respiri tutti uguali, regolari e ben coordinati. Peccato che una tale abilità
non ce l'hai mentre pensi che stai per impazzire, o morire, o tutte e due le
cose insieme. E' mentre penso così che mi appare una psichiatra riccia che
sorride, sorride, è giovane e sorride. Le dico:
"Ho
l’ansia".
Lei
dice: "Signorina, noi qui trattiamo solo casi gravi, gravissimi, che a
vederli aggraverebbero ulteriormente il suo stato confusionale. In alternativa
posso fornirle un referto medico che la esima dal lavoro per cinque giorni. Lei
ha un lavoro?",
"No"
"Le
posso fare una punturina signorina se vuole, la vuole?"
"No"
"Lei
ha la faccia stanca, signorina, sciupata. Da quanto tempo non mangia?"
"Da
ieri a pranzo, mi sembra."
"Signorì,
vada a farsi una pizza."
E'
un portantino che ci passa accanto a pronunciare, perentorio, la sentenza. La
psichiatra annuisce, sembra d'accordo.
"Era
appunto quel che avevo in mente, andare da Fefè a Materdei, signori"
immagino di rispondere. Ma taccio, troppo intimidita dagli occhi spiritosi del
portantino, e da quelli tutto d'un tratto severi della psichiatra.
E
mi incammino, di nuovo.
All’ottanta
per cento, secondo oscure leggi del destino, incontrerai un’amico che ti
accompagnerà nell’impresa, perché, per oscure leggi del destino, incontri
sempre qualcuno che conosci che sta andando da Fefè a Materdei, mentre ci stai
andando anche tu.
Sei
comunque munito di grandi cuffie, cruciverba e fumetti, in caso non incontrassi
proprio nessuno, e dovessi finire da solo al tavolo. Hai comunque il tuo paio
d’occhiali scuri, e la tranquillità sudata, eccellente, dello sguardo nascosto
sotto, accoccolato tra i postumi del giorno prima ancora.
“Buonasera",
Gianna sorride, e attacca col suo bollettino astrale. Ha una passione per
l’oroscopo, riesce a infilarlo dappertutto. Siamo governate dallo stesso segno
io e lei, Mercurio: ma lei è Gemelli, io Vergine.
Viaggio
esteriore e viaggio interiore, dice lei. E in effetti, anche se a queste cose
non ci credo, Gianna è dinamica, ha fatto il DAMS Gianna, e passa le giornate a
roteare per Napoli, ottantunesima tappa circa di tutte le città cambiate negli
ultimi cinque anni, per lavori tipo “laboratorio teatrale espressivo per
bambini molto sensibili e molto difficili diciamo anche difficilissimi”,
cameriera, “stagista presso importante azienda di management dello spettacolo
su strada, traverse, quartieri bui”, cameriera, “addetta a macchinetta del
caffè e crisi isteriche delle rockstar presso importate agenzia musicale”, cameriera.
Io
chiaramente sono quella dei viaggi interiori. Anch'io ho fatto il DAMS, ma solo
per vedere un sacco di film chiusa in casa con la scusa che sto studiando. Non
per niente mi muovo poco negli ambienti che contano, e non sono un tipo
socievole. Se esco, non esco dunque per ragioni mondane, e quando esco lascio a
casa la testa. Vado a camminare di mattina prestissimo su strade poco battute
e, non chiedetemi perché, ma mentre il passo si velocizza comincio a cantare
"Alla Fiera dell'Est" di Branduardi, ritrovando cosi’ in un attimo il
senso della vita, basato a mio avviso sul concatenarsi avanti e indietro di
eventi come morsi, bastoni,macellai.
“Fefè?”
Gianna ha un incantevole cappellone di paglia a tesa larga.
“Chiaro,
Fefè, ma prima devo fare una commissione."
Il
farmacista di via X è un vecchio magro e giovanile a cui per oscuri motivi
faccio simpatia: non come la sua collega, pienotta ma ginnica giovane rosea,
che mi odia, in modo evidente. Fors'ella non ritiene ragionevole che una
ragazza come me ciondoli in fila paziente, lo sguardo perso chissà dove, con la
sua maglietta speciale e i calzini spaiati che anche se non si vedono si
intuiscono, e chieda, ricetta alla mano, il solito, imbarazzante,
stabilizzatore dell’umore.
La
psichiatra materna e sorridente prima che me ne andassi mi ha prescritto le
medicine, quelle che prendo di solito.
Ieri
Entact era finito. Per questo l’autosuggestione s’è impossessata di me come un
demone tibetano, e mi sono messa a pensare al bel sassofonista che non fa più parte
della mia vita, e a fare tutte quelle
cose, come bere come un caprone tutto il giorno, e non mangiar nulla, e
imprecare, imprecare, imprecare contro la verve codarda e mangiafemmine dei bei
sassofonisti.
"Credo
interromperò lo stabilizzatore dell’umore", penso mentre sono in fila:
"E' il cuore, infondo, che mi fa male, il cuore. E l'intestino.
L'intestino decisamente, anche più del cuore"
Quand'è
il mio turno il vecchio farmacista giovanile intuisce subito, e dopo aver dato
un'occhio veloce alla ricetta fa: "Ha bisogno d'altro?" come avesse
davvero capito tutto, come Babbo Natale che ti osserva da lontano tutto l'anno
senza che tu te ne accorgi e sa proprio tutto di te.
“Vorrei pillole, pillole per...ecco, mi sento
tutta indolenzita qui al centro, sa...dicono sia il quinto Chakra"
Pochi
gesti sicuri e nessuna parola: una confezione gialla e verde di pillole per
l'intestino è già nelle mie mani. Altro che saponette. Gianna intanto si è persa con lo sguardo nel
reparto dieta, dentro a un paesaggio sconfinato di pancere contenitive e
biscotti integrali senza grassi idrogenati. La prendo per un braccio, e
finalmente usciamo, andiamo.
Da
Fefè, non ho mai capito chi sia Fefè, ma tutti sanno per certo che ci sarà
sempre una signora bionda con un camice rosa da Barbie-bidella sul suo trono,
la cassa, e dietro ci sono mille foto d’epoche diverse in cui lei appare
sempre, in compagnia di svariate star come Maradona, Marcella Bella, i Ricchi e
Poveri, Raoul Bova. Da Fefè devi aspettare il tuo turno col bigliettino col
bigliettino in mano. Ma poi devi essere sveglio, scaltro, appena ti chiamano.
Perche’ c’è lui, Kung Fu Panda, addetto a roteazione aerea dell'impasto, che
afferra gli ordini come fossero palle da baseball incandescenti: “Uagliù! Due
margherite-due moretti-quattro crocchè-grazie”.
A
fare l'ordine ci pensa Gianna: io cerco il tavolo. Poi mi verso un bicchiere di
birra, per le pillole. Ci mangio su pure un crocchè e una fetta di marinara,
offerti dalla signora bionda, che dice che non si prendono le medicine a
stomaco vuoto. Da Fefè sono gentili e ragionevoli. Per questo mi sento già un
po' guarita.
Pare
che tutto migliori a vista d'occhio. Pare.
Ma
ecco. Pochi palmi piu' in là lo vedo: bello come il sole, alto, sexy, vestito
come un giovane pirata. Lui, il bel sassofonista, occhi azzurro-grigi, il suo
charme antipatico, e una scialba groupie al suo seguito.
Il
mio è un odio stupefatto.
Lui.
Lei.
E
così arriva, maestoso, fragoroso, con le sonorità d' una caverna buia, secolare
e misteriosa, nell'odore pungente della
pommarola e dell'olio fritto: un enorme rutto infrange il chiasso del locale,
che tutto d'un colpo, si spegne. E tace. Pam. Anzi, "Burp". Marcella
Bella, i Ricchi e Poveri, Raoul Bova e Persino Maradona mi osservano attoniti
dalle foto sbiadite più in là.
"Burp".
E nient'altro.
L'effetto
delle pillole per l'intestino mischiate alla birra, penso. Lui si dispiace, lui
si gira e se ne va, e la sua groupie lo rincorre, disorientata.
La
pizza da Starita è squisita. Per non parlare dei crocchè. Io ve la consiglio.
E
il "Pancia e Carma", anche a 'sto giro, ha dato i suoi frutti.
Nessun commento:
Posta un commento