Immaginario Post scriptum da vivo, e non
autorizzato, del professor Liu Xiaobo, cinese, premio Nobel per la Pace 2010
“per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”, del quale
non si hanno più notizie. Detenuto dal dicembre 2008 e poi condannato a 11 anni
di carcere per “incitamento alla sovversione del potere dello Stato”.
Se non vado
errato, se ho ancora la forza di pensare, e se non ho del tutto perduto la
cognizione del tempo, dirò che a dicembre di questo 2013 saranno trascorsi 5
anni di questa mia detenzione in carcere. Non so neppure esattamente dove mi
trovo.
So però che
nessuno sa con certezza, nel mondo intero, quali siano le mie condizioni. Io lo
so. Ma taccio. Il pudore mi impedisce di mostrare lo stato della mia mente, del
mio cuore e del mio corpo. Anche solo per iscritto.
Qui, dove mi
trovo recluso, devo essere permanentemente punito e rieducato. Le mie colpe
sono gravi. Sono un dissidente di lungo corso. Sono stato un esponente di
spicco della protesta di piazza Tienanmen. Da molti anni combatto, con i miei
scritti e la mia attività politica e sociale, per affermare i diritti umani, la
libertà di pensiero, la democrazia politica, la separazione dei poteri, la
tolleranza, la libertà di espressione, le libertà individuali. Perché amo i
cinesi. Perché amo la nostra Madre Cina. La stessa Madre Cina invocata dagli
studenti il 13 maggio 1989 nel loro messaggio ai nostri concittadini, il loro
testamento.
Ma ho 58 anni. E
non cambierò. Non mi rieducheranno mai. Potranno uccidermi. Lo stanno facendo
anno dopo anno. Mese dopo mese. Giorno dopo giorno. Lo stanno facendo con
maggiore crudeltà e pervicacia, da quando nel 2010 – essendo già recluso - mi è
stato assegnato il premio Nobel per la Pace. Dei miei familiari, allievi e
amici non so più nulla da anni. Posso però facilmente immaginare che siano anch’essi
perseguitati, censurati, incarcerati o ai domiciliari. Immagino lo sia Liu Xia,
mia moglie. La conosco. Non terrà la testa a posto, non sarà prudente. Cercherà
ogni spiraglio per mettersi a gridare una parola soltanto: libertà.
Tanto, tutto, mi
manca. A volte mi ritrovo in lacrime con la testa al muro. Perché penso al
profumo dei fiori di ciliegio. A una camminata al mercato del pesce. A una
discussione con i portantini, figli del popolo. Alla luce vivida degli occhi
dei miei studenti. A mio padre e a quella mia adolescenza passata con lui nella
Mongolia Interna.
Se Dio vorrà, un
giorno uscirò da questa detenzione della coscienza, del corpo e della memoria.
Come Aung San Suu Kyi.
Io non spero
più. Io credo. Io amo. Io non ho nemici.
Non sono mai intervenuto direttamente negli articoli degli altri, non ho mai fatto chiose perché questo blog non è nato per mettersi a fare questioni di lana caprina: se non mi piace un articolo, lo ammetto, chiedo privatamente ulteriori chiarimenti al fine di rendere il tutto più comprensibile. In alcuni casi, pochissimi in verità, non ho semplicemente accolto e pubblicato in Inganni Veraci pezzi che non condividevo né nei contenuti né nello stile. Stavolta voglio fare una gioiosa eccezione: sono profondamente dispiaciuto che Domenico abbia dovuto interrompere la sua carriera giornalistica viste le sue non comuni qualità! Ci consola che almeno qui continui! un abbraccio Domenico.
Gianni Caverni
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