L’arte è politica.
E’ questo l’assunto che sta alla base, da quando è nata la Fondazione Palazzo
Strozzi, di tutta l’attività espositiva del CCC Strozzina fin dall’inizio sotto
la direzione di Franziska Nori. Politica nel senso di impegno civile, denuncia,
e tutto quello che ha ben poco a che vedere coi partiti ma molto coi modelli di
vita e di consumi, con la violenza, lo sfruttamento. Per quanto mi riguarda
sono così d’accordo che ogni volta che qui si apre una nuova mostra ho molta
curiosità e francamente non sono mai rimasto deluso. Tantomeno questa volta. Il
mondo che avevo imparato a conoscere attraverso gli atlanti delle scuole che ho
fatto io è cambiato, come è ovvio: “Territori instabili” è il titolo sotto il
quale Walter Guadagnini e Franziska Nori hanno raccolto 10, fra artisti singoli
e gruppi, che raccontano dei luoghi resi instabili da guerre intestine, da
guerre di confine, molto, troppo spesso, da guerre sconosciute, ma anche da
differenze sociali enormi, sempre più difficili da nascondere, o comunque da
altre forme di instabilità, collettiva e/o individuale.
Non c’è confine
senza filo spinato e uno dei 2 video di Sigalit Landau, israeliana, narra di un
confine, quello fra gioco e dolore, fra sanità e pazzia, attraverso l’autotortura
di un hula hoop di filo spinato.
Jo Racltliffe,
sudafricana, documenta con fotografie in bianco e nero i segni lasciati da una
guerra di confine combattuta da truppe angolane, namibiane, sudafricane e
cubane fra la metà degli anni ’60 e la fine degli ’80 in una zona praticamente
desertica dell’Angola.
Di Tadashi Kawamata
ho già scritto (http://giannicaverni.blogspot.it/2013/10/le-capanne-di-tadashi-kawamata-di.html)
in occasione della prima sua installazione sulla facciata di Palazzo Strozzi:
due sono le altre, una nel cortile ed una proprio dentro la galleria: quest’ultima
ha una grande forza evocatrice essendosi ispirato l’artista alla tragedia dello
tsunami.
Adam Broomberg,
sudafricano, e Oliver Chanarin, del Regno Unito, hanno lavorato sul tema della
costruzione reale e simbolica del territorio, dove il falso si confonde col
vero: in Mini Israel, il video che riproduce la ricostruzione mobile della vita in Israele nella quale mancano le cose più imbarazzanti come il muro e in cui gli arabi vengono rappresentati solo mentre praticano la pastorizia o pregano.
Dell’irlandese
Richard Mosse l’installazione video con 6 grandi schermi sui quali passano le
riprese realizzate in Congo, con una pellicola ad infrarosso inventata negli
anni ‘40 a scopi militari, intorno a una guerra sconosciuta che oppone il
governo centrale a una serie di milizie locali.
“Loophole for All
(Scappatoia per tutti)” è l’installazione di Paolo Cirio che illustra come fanno
migliaia di aziende a sfuggire alle leggi fiscali del proprio paese e
suggerisce come chiunque possa facilmente godere dell’evasione fiscale frutto
della complicità delle isole Cayman e di altri paradisi fiscali attraverso un
complesso sistema di passaggi successivi.
Kader Attia propone
specchi rotti e ricuciti con il fil di ferro, per quanto mi riguarda trovo il
suo lavoro il meno interessante di tutta la mostra.
Zanny Begg &
Oliver Ressler hanno qui un video/documentario con una serie di interviste sul
tema del valore, se ne ha ancora, della parola cittadinanza con l’affermarsi
della globalizzazione.
The Cool Couple, coppia di artisti italiani (Simone
Santilli e Niccolò Benetton), raccontano attraverso fotografie e documenti la
particolarissima e sconosciuta storia della Carnia durante la fase finale della
Seconda Guerra Mondiale, quando fu invasa e occupata da più di 20.000 cosacchi alleati
dei nazisti.
Infine è di Paulo
Nazareth l’insieme di appunti, fotografie, video, oggetti, volantini, manifesti
coi quali testimonia degli interventi performativi fatti durante i suoi lunghi
viaggi fatti a piedi, più precisamente del viaggio che dal Brasile lo ha portato(a
piedi, insistiamo) a New York.
Jo Racltliffe,
sudafricana, documenta con fotografie in bianco e nero i segni lasciati da una
guerra di confine combattuta da truppe angolane, namibiane, sudafricane e
cubane fra la metà degli anni ’60 e la fine degli ’80 in una zona praticamente
desertica dell’Angola.
Di Tadashi Kawamata
ho già scritto (http://giannicaverni.blogspot.it/2013/10/le-capanne-di-tadashi-kawamata-di.html)
in occasione della prima sua installazione sulla facciata di Palazzo Strozzi:
due sono le altre, una nel cortile ed una proprio dentro la galleria: quest’ultima
ha una grande forza evocatrice essendosi ispirato l’artista alla tragedia dello
tsunami.
Adam Broomberg,
sudafricano, e Oliver Chanarin, del Regno Unito, hanno lavorato sul tema della
costruzione reale e simbolica del territorio, dove il falso si confonde col
vero: in Mini Israel, il video che riproduce la ricostruzione mobile della vita in Israele nella quale mancano le cose più imbarazzanti come il muro e in cui gli arabi vengono rappresentati solo mentre praticano la pastorizia o pregano.
Dell’irlandese
Richard Mosse l’installazione video con 6 grandi schermi sui quali passano le
riprese realizzate in Congo, con una pellicola ad infrarosso inventata negli
anni ‘40 a scopi militari, intorno a una guerra sconosciuta che oppone il
governo centrale a una serie di milizie locali.
“Loophole for All
(Scappatoia per tutti)” è l’installazione di Paolo Cirio che illustra come fanno
migliaia di aziende a sfuggire alle leggi fiscali del proprio paese e
suggerisce come chiunque possa facilmente godere dell’evasione fiscale frutto
della complicità delle isole Cayman e di altri paradisi fiscali attraverso un
complesso sistema di passaggi successivi.
Kader Attia propone
specchi rotti e ricuciti con il fil di ferro, per quanto mi riguarda trovo il
suo lavoro il meno interessante di tutta la mostra.
Zanny Begg &
Oliver Ressler hanno qui un video/documentario con una serie di interviste sul
tema del valore, se ne ha ancora, della parola cittadinanza con l’affermarsi
della globalizzazione.
The Cool Couple, coppia di artisti italiani (Simone
Santilli e Niccolò Benetton), raccontano attraverso fotografie e documenti la
particolarissima e sconosciuta storia della Carnia durante la fase finale della
Seconda Guerra Mondiale, quando fu invasa e occupata da più di 20.000 cosacchi alleati
dei nazisti.
Infine è di Paulo
Nazareth l’insieme di appunti, fotografie, video, oggetti, volantini, manifesti
coi quali testimonia degli interventi performativi fatti durante i suoi lunghi
viaggi fatti a piedi, più precisamente del viaggio che dal Brasile lo ha portato(a
piedi, insistiamo) a New York.
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