C'ero e non c'ero.
Ero giovane, stupidina e innamorata. Io abitavo a Soffiano, lui a Bologna. E fu la sua telefonata agitata che mi raccontò di Firenze sott'acqua.
Da non credere. Il pomeriggio precedente, sotto una pioggia battente, stipata in una Topolino con troppi amici, percorrevo in su e in giù i viali delle Cascine, trovando in quelle strade già semiallagate, motivo di divertimento e irresistibile ilarità. Poi la notizia, e le immagini di una catastrofe che a me pareva lontana. Ero una ragazza di periferia e in quella periferia l'acqua non era arrivata.
Era arrivata però l'onda del silenzio annichilito, l'eco dell'impotenza sgomenta.
Intorno a me si mosse il mondo e io avrei voluto raggiungerlo per condividere la fatica gioiosa di tanti giovani e con loro ricoprirmi di quel fango tolto dalle pagine della Cultura e della Storia.
Ma in casa mia vigeva il No e rimasi così per giorni chiusa in quella casa asciutta . Sana e salva.
Io e la mia famiglia fummo fortunati: nessun danno, nessuna perdita, nessuna rovina. Eppure a me sembrò di perdere una grande occasione: la possibilità di condividere quella rabbia che riempie di orgoglio e di energia, di condividere quel dolore che emana calore e dignità, di condividere quella volontà di andare avanti, mano nella mano.
Bighellonavo nelle strade fangose del centro senza capire fino in fondo l'impegno e lo sforzo titanico dei bottegai per non cedere alla rinuncia. Ricordo, però, di non essermi mai commossa di fronte allo strazio della città.
Solo dopo, quando vidi il Crocifisso di Cimabue restaurato, allora, finalmente, piansi.
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