15/11/16

LA MIA ALLUVIONE di Daniela Cresti

Come mi piacevano quelli chantilly bianchi. Li desideravo da tempo ma babbo aveva deciso che non erano adatti ad una ragazzina x bene. Non erano ancora i tempi in cui ci si opponeva . Era il 1966 avevo 16 anni ed ero innamoratissima di un biondo bellino e introverso che non mi considerava. Forse con gli stivaletti lucidi mi avrebbe visto. L’alluvione che anche dalle mie parti fece moltissimi danni fu un evento tragico, eppure per me un’occasione unica e irripetibile da prendere al volo. La città e le campagne erano distrutte già dal 3 sera, ma ancora a casa non si percepiva il dramma. Quasi ci si divertiva.
Pioveva tanto, da qualche giorno e la maestra ( mia madre) come la chiamavano tutti a Grosseto era tornata nel pomeriggio con un frignante ragazzino di 8 anni. Nessuno era passato a prenderlo all’uscita di scuola. Ci chiedevamo il perché senza preoccuparci troppo. Sarebbero arrivati i genitori a ritirarlo a casa della maestra, come lasciato detto al bidello.
Non era mai accaduto, ma quella sera stavano succedendo cose strane…
Verso l’ora di cena arrivò zia Orietta, con il cugino più grande a seguito ed un suo amico. Non ricordo come si chiamasse, forse Roberto. Ricordo l’agitazione e un tempo sospeso di domande. Roberto era sconsolato, era riuscito a telefonare a casa all’Albinia e già sapeva che la campagna a sud della città era allagata. Non poteva rientrare e sarebbe rimasto a dormire da noi.
Rimase quasi dieci giorni
Trattenevano tutti il respiro in attesa di notizie che non arrivavano. La linea telefonica non funzionava più, la corrente era ad intermittenza ma il bambino ormai giocava ignaro di tutto ed io ogni tanto pensavo ai miei stivali…
In una cittadina di provincia, dove non accadeva mai nulla di esaltante ecco che due situazioni eccezionali avevano creato un evento inaspettato e disastroso . Il fiume Ombrone non riuscì a riversare in mare tutte le acque raccolte per i venti di scirocco che si opponevano al flusso ed esondò in nottata a Ponte Mussolini. Invase le campagne sconfinate della Maremma fino al mare e la città che nulla sospettava. L’Acqua piena di animali di ogni tipo si arrese sugli ultimi cento metri di salita vicino a casa. Quindi potevamo andare a vedere quella putrida enorme pozzanghera ma più di lì non si passava. Mi resi veramente conto del disastro la notte fra il 4 e il 5 novembre quando nel buio più profondo si sentivano numerosi spari. I contadini , sui tetti al freddo, scaricavano i loro fucili per farsi sentire, per attirare l’attenzione dei soccorritori.
Via via che trascorrevano i giorni l’acqua si ritraeva e potevamo avanzare per conoscere la sorte di amici e parenti, osservando basiti la distruzione totale. Mi detti da fare come tutti. C’era aria di annichilimento dei sensi, in quel grigio totale dove terra e cielo si confondevano, fango ovunque, ma dalla cupezza che ci contornava, un barlume di allegria si accendeva nella mente…
su una bicicletta sudicia , barcamenandosi fra scivolate e bestemmie,… “Il carretto passava e quell'uomo gridava ”:stivaliiii……………..


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