17/11/16

VINCE CHI FUGGE? di Miss Holmes


Poche sere fa, un venerdì, siamo finite con un paio di amiche a impelagarci in una discussione che ci ha dato un po’ di pena.
Eravamo in tre, sedute all’ora dell’aperitivo, soddisfatte della nostra autonomia, del nostro lavoro, libere.
Tre donne avvezze ad approfittare con gusto di conquiste più che trentennali, che consentono loro di entrare in un bar, chiacchierare, puntare uno, alzarsi e andare a prenderselo se ne hanno voglia. Per poi scomparire per sempre dalla sua vita il giorno dopo, elegantemente disinteressate ad un legame a lungo termine. O magari, senza scomparire, di farlo stare nella loro vita in un ruolo di secondo piano perché prima vengono l’istruzione, il lavoro, le amiche, il futuro da costruire a partire da se stesse e non necessariamente da una coppia.
Lo abbiamo fatto più volte, in modi diversi, con più o meno grazia. In generale confesso che amo essere corteggiata, cercata, blandita. E che insomma, se hai il mio numero, datti una mossa tesoro. In ogni modo non mi sono mai negata nulla quando sono stata presa da passione: ho spedito fiori, portato di nascosto girandole colorate sulla porta di casa, scritto poesie turche sull’asfalto davanti alle finestre. Mi sono divertita in spedizioni notturne e romantiche, da complice o protagonista. Mi sono battuta e ho chiesto, voluto, preso. Ho offerto il mio numero di telefono su un vassoio d’argento o l’ho fatto sospirare per mesi. Ho atteso in ansia davanti alla cornetta, ho chiamato io stessa, non mi son fatta sentire.
Ma quel venerdì c’era qualcosa nell’aria. Riflessioni sul passato, pensieri un po’ retrò e anche una conclusione impietosa, lasciata cadere da una di noi a proposito di un fidanzato tanto ammodo ma davvero poco coinvolgente: “I bravi ragazzi non durano” aveva sospirato. Ci eravamo guardate ridendo, ma poi eravamo ammutolite. Luogo comune o scomoda verità?
A quel punto la macchina era in moto. E sbuffava, sbuffava, sbuffava: ci usciva il fumo dalle orecchie, mentre i nostri sguardi diventavano sempre più sospettosi.
Quante volte ci eravamo trovate a non sapere come liberarci di qualcuno che ci ostinavamo a ignorare e che per questo ancora di più ci correva dietro? Quante volte ci eravamo un po’ fissate su un uomo solo perché non potevamo averlo subito e il fascino del difficile ci aveva tanto coinvolto per poi farci rimanere deluse appena lo avevamo conosciuto meglio? E quante volte avevamo notato, magari malignamente, le strategie di qualche ragazza, che teneva sul filo il fidanzato di turno, mentre il tapino pendeva quasi sempre dalle sue labbra?
Arrivata a casa mi ero messa a frugare negli scaffali alti della libreria e, nascosto in seconda fila, lo avevo trovato: un vecchio volumetto sui toni del crema e del rosa, “Le Regole”. Me lo avevano regalato per scherzo un paio di amiche, ad uno di quei meravigliosi compleanni intorno ai 25: il librino della fine degli anni Novanta inanella una trentina di “comandamenti” per trovare l’uomo della vita e legarlo a sé per sempre. Un manualetto un po’ vintage, con suggerimenti tipo “non telefonargli”, “concludi per prima l’appuntamento”, “non andarci a letto subito” che sintetizza i suoi insegnamenti in un prosaico “giocare duro per arrivare al sodo”, ovvero più o meno al matrimonio. Ne avevamo riso di gusto, giustamente (a mio avviso) convinte che sottrarsi in continuazione per essere attraente sia atrocemente faticoso e anche un po’ deprimente e finisca per trasformare una storia che potrebbe essere leggera e piena di potenzialità in un rapporto di forza quotidiano. Eppure, signore mie, questa bibbia del tirarsela old fashioned aveva riscosso un successo planetario.
Ma poi, qual è il primo consiglio che viene da scambiarsi quando c’è aria di crisi in una coppia? “Sparisci!”, “Non chiamarlo!”. Gruppi di ragazze camminano in strada incitandosi a “non farsi sentire” e incoraggiano le amiche dicendo “chiama me, piuttosto”.
E quindi?
La risposta, purtroppo, come direbbe un recente premio Nobel, è nel vento: ci sarebbe addirittura una ricerca dell’Università della Virginia, svolta attraverso i social network, a dimostrare che sì, le persone a cui sappiamo di piacere ci attraggono, ma quanto queste ci piacciono le persone che ci lasciano nell’incertezza sul “gradimento” che provano nei nostri confronti. La chiave pare che sia il cosiddetto “fascino dell’ignoto”, che spinge a pensare continuamente ad un modo di decifrare i segnali provenienti dall’altro, facendoci concentrare su di lui.
Allora ecco il sospetto, il dubbio di una possibile, anacronistica resa al vecchio adagio: sarà mica vero, sorelle, che in amor vince chi fugge?

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