Quella raccontata da Loach è una storia che toglie prima le parole e poi il fiato, perché a immedesimarsi nelle vicissitudini di chi, in Inghilterra, perde il lavoro o si ammala (o entrambe, come il protagonista), ci si sente quasi soffocare. Daniel Blake si trova infatti prigioniero di un meccanismo ipocrita e spietato, fatto a posta non per aiutare ma per umilare e scoraggiare il cittadino in difficoltà, fino a liberarsene, abbandonandolo per strada o dirottandolo sulla incerta carità dei più fortunati.
"Io, Daniel Blake" è uno di quei film che, come gli incubi, ti lasciano addosso una sensazione dolorosa di cui non vedi l'ora di liberarti. Per farlo a me è bastato uscire dal cinema. Il problema terribile è che, proprio uscendo dal cinema, molti inglesi sono entrati nel film.
(Io il film l'ho visto 2 giorni fa e sono rimasto così senza parole che non sono riuscito a scriverne. Poi ho letto su Face Book questo post del mio amico Martino Scacciati e ho pensato che era perfetto. Con il suo permesso lo ripropongo qui.
Gianni Caverni)
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