Pioveva
da due giorni a dirotto, ma nessuno pensava che davvero l’Arno
avrebbe cercato di allargarsi nella piana di Firenze. Eppure a ben
pensarci dopo essere stretto tra due colline a partire da Incisa,
Rignano, Pontassieve con l’affluenza della Sieve, Sieci,
Compiobbi e finalmente arrivando nella piana fiorentina cos’altro
poteva fare? Rispettare la grande storia della città e pisciarsi
addosso a San Donnino? Era ineluttabile che l’acqua cercasse
spazio qualora diventasse troppa per restare negli argini.
Oggi la
chiamano esondazione ma a Firenze da sempre si dice che l’Arno dà
di fori…e di fori diede. E di fori andai anche io che giovane
ventiduenne avevo la fidanzata alle Due Strade e che per diversi
giorni rimasi in obbligatoria astinenza.
Comunque
quella mattina del 4 Novembre essendomi arrivata via radio qualche
notizia frammentaria misi gli stivali di gomma da pescatore,
presi la mia fedele Nikon F e mi incamminai verso il centro lungo il
Mugnone che in Via Boccaccio dava già segni di
voler sfociare con violenza in Arno. Ricordo chiaramente di salire
sul cavalcavia pedonale di Viale Matteotti e poi di
incamminarmi per via Cavour fino a Piazza San Marco dove si
cominciava a vedere le prime avvisaglie di acqua marrone con qualche
chiazza più scura sparsa.
I miei stivali mi consentirono di arrivare
fino a Via Martelli dove intravidi la locandina de La Nazione che il
giornalaio aveva appena fatto in tempo ad affiggere prima di
scappare. A caratteri cubitali diceva. L’ARNO STRARIPA A FIRENZE.
La
notizia collimava perfettamente con quello che stavo vivendo e l’Arno
ora lo vedevo li davanti a me paurosamente minaccioso sui marmi del
Battistero. Ero arrivato all’altezza massima consentita dagli
stivali e mi convinsi che era l’ora di tornare a casa non senza
prima di prendere la mia Nikon F e scattare. Nei giorni che seguirono
la Nikon mi accompagnò per documentare le ferite della città e lo
spaesamento di tutti noi fiorentini. Io come tanti detti una mano a
pulire e a togliere fango dalle trecce e dai cappelli di paglia che
la ditta per cui lavoravo vendeva.
Non
c’era altro da fare che ripulire, restaurare, riparare e
riprendersi la città che l’acqua fangosa dell’Arno frammista
alla nafta aveva conquistato.
Fu
un lavoro sporco lungo e duro che tenacemente i fiorentini, allora
ancora numerosi nel centro storico, fecero con grande determinazione
e dignità. Grazie a tutti voi che avete vissuto quei momenti di
grande solidarietà per aver dato a noi giovani di allora
speranza e gioia di vivere.
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