Guillaume era
arrivato a Milano nel tardo pomeriggio di una piovosa giornata novembrina. Era
felice. Di lì a poco avrebbe incontrato Thairin, una donna asiatica non più
giovanissima eppure forse ancora più bella di quando aveva trent’anni. Si erano
conosciuti da poco. Si erano parlati poco.
Si erano
ritrovati, quasi senza volerlo, abbracciati distesi. Lui, inebriato dagli occhi
esotici, a mandorla ma non troppo, e dalla carnagione olivastra di lei, avrebbe
voluto darle sette-ottomila baci (e si dette da fare); lei stette al gioco a si
abbandonò a quelle carezze, quei massaggi, quel sentirsi stretta con potenza e
dolcezza, perché desiderata. Non durò che un paio d’ore. Lui però se ne
ricordò. Lei anche, ma in modo diverso da lui.
Avevano stabilito
di rivedersi: Guillaume sarebbe ritornato a Milano apposta (lei però questo non
lo sapeva). Dunque lui arrivò all’appuntamento, seppure leggermente in ritardo,
e suonò. Thairin apparve dopo averlo fatto aspettare un po' e fu molto
esplicita. Guillaume avrebbe dovuto attendere: se ne facesse una ragione,
perché lei non poteva passare del tempo con lui in quel momento. Il Nostro, che
al pari di Thairin non era più tanto giovane, ci rimase malissimo. Ma come. Ma
e allora…e tutti quei baci…dov’erano andati a finire?
S’irritò e volle
vendicarsi. Non attese, come lei gli aveva chiesto, perché si sentì trattato
con parecchia sufficienza, quasi che lei lo avesse avvolto in una tela di ragno
per poi farlo girare come una trottola ogni volta che avesse voluto.
Così,
cercando di non darle a vedere il suo nervosismo ma al tempo stesso facendole
capire che non si era comportata bene inventò a sua volta una scusa e si
allontanò. Non prima, tuttavia, di averle ancora una volta sussurrato: “Come
sei bella…” (una frase banale ma detta col cuore, che lei fintò di non
apprezzare), per il fatto che anche l’essere snobbato da lei, in un certo senso
stava aumentando il suo desiderio di conquistarla.
In ogni caso la
serata cominciava male per Guillaume. In modo del tutto inaspettato. Se ne andò
a mangiare, rodendosi l’anima per quel che era successo (senza voler accettare
l’idea che, molto probabilmente, dal suo memorabile incontro con Thairin di
qualche giorno prima non sarebbe potuto sbocciare alcunché). Alla fine decise
di imbucarsi in qualche locale meneghino per cercare una distrazione e
scacciare i pensieri.
Scelse uno dei
più celebri night-club di Milano. Lì di sicuro sovrabbondavano belle ragazze.
Lì certamente il piacere dei sensi avrebbe sopraffatto la piccola ferita del
suo cuore. Così entrò. Il locale, completamente foderato di moquette e velluto
rossi, appariva ovattato. La musica a buon volume, alto, ma non troppo; i
melliflui camerieri in smoking simpatici ma non troppo, le pupe, per lo più
slave, tutte rigorosamente belle, eventualmente affascinanti, ma non troppo.
“Prego signore si
accomodi – si sentì apostrofare Guillaume in men che non si dica – le porto da
bere?”, “No grazie”. Ah, che bello, pensò Guillaume, ma senti che ganzo questo
furbastro al piano bar: canta “L’essenziale” di Marco Mengoni ed è molto meglio
dell’originale. Cominciava a rilassarsi, insomma. Di lì a poco, però, la musica
del piano bar cessò, partì quella da discoteca. E sul palco, sotto
stroboscopiche luci rosse, blu e verdi, forti ma non troppo, salirono a ballare
almeno quindici ragazze.
Ballare? Parola
forte. Diciamo ancheggiare leggermente con piccole movenze da simil-ballo. Lo
spettacolo però era notevole. Le pupe vestivano una divisa d’ordinanza, ossia
tubini di colore diverso ma tutti molto simili e piuttosto corti. La loro
avvenenza e il modello estetico a cui palesemente si ispiravano era quello
delle veline. Quindici veline, bionde, more e castane, tutte giovani, di una
bellezza ordinariamente velinesca, certamente attraente per l’istinto,
perfettamente omologata a un modello televisivo imperante in Italia da una
ventina d’anni buoni.
Guillaume però,
incredibilmente, non riuscì a guardarle con attenzione. Alla sua età si scoprì
intimidito di fronte a una visione piacevole, ma anche molto fastidiosa. Le
ragazze, infatti, stavano “lavorando”, come dicono loro, perciò non erano lì
per lui ma, giustamente, per il denaro. Per ciascuna di esse esibirsi con una
danzetta equivaleva a mostrarsi al fine di essere attentamente “soppesata” dal
cliente in modo da essere “scelta” e poter offrire la propria “compagnia”
quantomeno sorseggiando un drink assieme al malcapitato. Il tutto, ovviamente,
dietro lauto dispendio di banconote da parte di quest’ultimo.
Le veline, se
così possiamo chiamarle, cominciarono, una dopo l’altra a cercare gli occhi del
Nostro. Una bionda insistente, le mani sui fianchi, sembrava dirgli: “Cocco mi
piaci, sceglimi!”. Una mora agitava i seni in modo forse non raffinatissimo ma
che a lei doveva sembrare convincente. Un’altra bionda gli sorrideva ammiccante
con la sua boccuccia d’oro e gli occhioni chiari.
Guillaume fu
preso da un senso di rabbia. Gli pareva tutta una rappresentazione teatrale.
Tutta una finzione. Le pupe, i “garçon” in smoking, i velluti rossi, gli
abat-jour in stile casinò di Saint-Vincent. Ma più di tutto le ragazze
seducenti, che, bisognose di lavorare, probabilmente “soppesavano” a loro volta,
con gli sguardi, la capacità contributiva (nel senso del 740) di Guillaume al
fine di ponderarne lo “strizzamento” del portafoglio, qualora lui ne avesse
invitata una a sedere al tavolo.
Tuttavia, si sa,
le donne non ragionano come gli uomini. E certamente le pupe-veline ambivano ad
altro: a incontrare un cliente non soltanto danaroso, ma anche “charmant”. Chi
invece era senz’altro e soltanto interessato al coté economico della faccenda
lo si può immaginare: i camerieri-faccendieri in smoking e gelatina. Educati,
piemontesi (nel senso di falsi e cortesi), uno dei quali premurosamente solerte
nel dire quasi subito a Guillaume, il quale aveva osato rifiutare il bere, “Signore
le devo ricordare per correttezza che se anche lei non ordina un drink dovrà
comunque pagare 30 euro perché l’ingresso al club è gratuito ma la consumazione
obbligatoria…”.
Insomma, delle
simpatiche canaglie col papillon sul colletto inamidato. Proprio un’altra di
queste (evidentemente un rinforzo inviato dal primo cameriere o direttamente
dal maestro di sala) dopo non molto tempo avvicinandosi a Guillaume gli disse:
“Signore desidera la compagnia di una delle ragazze che stanno ballando?”,
“Per ora no, sto bene così, grazie”. Il Nostro era infatti sempre meno accanto
alla propria libido che se ne stava decisamente andando. Mentre i camerieri,
senza darlo troppo a vedere, cominciavano a innervosirsi: Guillaume era dentro
il locale da almeno mezzora e non aveva scucito il becco di un quattrino.
Non c’era con la
testa. E va anche capito. Mentre le ragazze gli danzavano quasi in faccia lui
riandava con la fantasia a quel maledetto incontro con Thairin di qualche
giorno addietro, che aveva sperato di replicare al pomeriggio. E avrebbe voluto
baciare e riannusare, in un rimando proustiano, la carnagione di lei,
perdendosi ancora una volta tra il suo collo, il profilo del suo orecchio
sinistro e la morbidezza dei suoi capelli neri. Ma non c’era niente da fare.
Puff! La nuvoletta svanì subito.
E Guillaume
precipitò per terra. Cioè al night dove si trovava. Giusto il tempo per
strusciarsi gli occhi con le mani ed ecco arrivare, per la terza volta, il
mastino in smoking: “Signore, ma non sceglie una ragazza?”, “Come faccio: sono
tutte bellissime…”, “Ce ne sarà una che le piace di più?”, “Per ora sto bene
così…”. “Signore, di solito qui i clienti vengono per la compagnia delle
ragazze…le ragazze stanno ballando per lei!”.
Era tanto
paradossale quanto vero. Le pupe venivano fatte salire sul palco ogniqualvolta
arrivava un cliente, al fine di potersi esibire ed essere “scelte”. Le ragazze
stavano letteralmente danzando per Guillaume. Ma lui: niente. Al maestro di
sala non restò che richiamarle con un gesto per farle tornare a sedere sui loro
divanetti.
Erano ormai le
una di notte passate e Guillaume se ne uscì dal locale. Non senza aver incrociato
di nuovo lo sguardo della bionda di prima. Strano, sembrava una silenziosa
occhiata non di disprezzo ma di rispetto per il Nostro, che aveva osato
snobbare pesantemente almeno quindici bellezze da copertina (altre erano
appartate con i clienti e le bottiglie di Dom Perignon).
Fu a quel punto
che Guillaume capì da dove poteva trarre un briciolo di piacere in fondo a
quell’infausta giornata: dall’idea, non del tutto errata, di avere sganciato al
Night soltanto 30 euro, ossia il minimo per poter varcare la soglia di quel
club di presunti gentiluomini, senza aver dato alcuna soddisfazione ai mastini
in smoking, oltreché alle pupe in tubino.
Per ottenere
tutto ciò aveva comunque dovuto subire una cortese ma ferma ramanzina da un
cameriere meneghino: “Signore, le ragazze stanno ballando per lei!”. E che
diamine, diamoci una mossa, che razza di uomini siamo?