17/11/16

LA MIA ALLUVIONE di Piero Meucci

Ho avuto il primo impatto con il disastro la mattina del 5 novembre dopo una giornata di incertezza e di angoscia trascorsa con i genitori che erano occupati  ricoverare e ad aiutare gli amici. La mattina precedente erano venuti a suonare alla nostra porta persone che abitavano in via dei Bardi sul bordo del fiume. Lo sguardo angosciato di chi fino all’ultimo aveva sperato di essere risparmiato dall’ondata dell’Arno.
Il giorno della piena dalla nostra terrazza di via Trieste si percepiva un senso di innaturale sospensione, interrotta da rumori inquietanti e da una colonna di fumo che si alzava dalle parti di viali dove era esploso un serbatoio di nafta. Nessuno di noi, nonostante le telefonate, poteva neanche immaginare la vastità e la profondità delle ferite che l’Arno stava infliggendo alla città.
Quando andammo a vedere come era ridotta la città, decisi anch’io, come tanti ragazzi, che era necessario dare una mano. Non si poteva stare a guardare, la città tutta aveva deciso che si doveva ripartire, subito.
Così mi organizzai e, insieme a un gruppo degli amici della Congregazione Mariana dei Gesuiti, cominciammo ad andare a spalare il fango nei quartieri più colpiti della città, che erano anche i più poveri.
Ci eravamo dati una specie di orario di lavoro. Si partiva alle nove e si lavorava tutta la mattina. Mi ricordo che un giorno incrociammo un gruppo di militari olandesi che ci regalarono una tuta blu da lavoro che indossavamo come una specie di uniforme della solidarietà. La zona prescelta era il quartiere di San Niccolò, dove ci mettevamo a disposizione degli anziani soprattutto per spalare il fango dai pian terreno e dai sottosuoli, fossero cantine o vere e proprie abitazioni.
Nel pomeriggio, quando il sole cominciava a calare, andavo da solo alla Biblioteca Nazionale dove mi aggiungevo agli altri studenti nella catena umana che raccoglieva e ricoverava i libri infangati, facevo parte delle squadre che inserivano fogli assorbenti per tenere divise le pagine dei volumi più preziosi.
Ebbi anche l’esperienza di trovarmi nel gruppetto delle persone, soprintendente, consiglieri, musicisti, che andò a verificare i danni sofferti dal Teatro comunale in Corso Italia. Ci affacciammo dalla seconda galleria. La scena era davvero drammatica: la platea era completamente sommersa da un lago fangoso sul quale galleggiavano assi che si erano staccate dai palchi.



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