09/11/16

LA MIA ALLUVIONE di Andrea Granchi

Se a Firenze il disastro fu di portata  catastrofica anche al Galluzzo, dove avevamo casa, non fu da meno. 
I torrenti Ema e Greve erano straripati come l’Arno invadendo l’abitato e incanalando le acque in modo vorticoso lungo la via Volterrana. Qui, prima del nucleo delle Gore col ponte sotto la Certosa completamente sommerso e dove i due torrenti confluendo avevano invaso tutta la vallata, vi erano alcune case. Di fronte a una di queste assistei, il 4, ad un episodio di grande valore umano e civile. La casa, con i suoi abitanti in preda al panico tra cui vecchi e bambini, era in mezzo ad una corrente vorticosa ed era isolata dalla terraferma. L’acqua corrodeva con la sua forza parti delle murature alla base e si vedevano staccarsi pezzi di intonaco sì che la tensione era altissima e, temendo crolli, non vi era tempo da perdere. Con dei canapi fatti alla meglio passare tra i rami di alcune piante di un vigneto di fronte, un gruppo di volenterosi utilizzando un gommone da spiaggia era riuscito a portare in salvo con grande difficoltà, alcuni degli abitanti della casa tra cui ricordo una vecchia che prima di entrare nel fragile e malsicuro canotto si fece il segno della croce. Alla fine, dopo estenuanti sforzi e varie e penose manovre, arrivò il turno di traghettare due bambine. 
Sopra il gommone vi era anche il giovane giornalaio del Galluzzo il quale, maneggiando la corda collegata al galleggiante, cercava di spingere il fragile mezzo verso la riva. Ad un certo punto, stante la forza della corrente di traverso, i rami della pianta su cui passava la corda si spezzarono e per alcuni tremendi istanti in mezzo alle grida disperate dei parenti, il gommone con le due bambine fu in balia della forza delle acque che se lo stavano trascinando via. 
Il giovane giornalaio con prontezza, freddezza e forza, gettandosi nell’acqua, mantenne in mano la corda e immerso fino al collo riuscì a trattenere, tra le urla e l’incitamento degli astanti, il fragile gommone con le due bambine terrorizzate e piangenti sopra. Non poteva però muoversi con l’acqua vorticosa che gli arrivava alla nuca. Fu fatta immediatamente dai presenti una cordata umana e tenendoci tutti per mano si entrò nell’acqua e i più avanzati riuscirono ad afferrare per le vesti il giornalaio e a trascinarlo all’asciutto assieme al gommone con le due bambine impaurite che egli non aveva mollato. 
Una tragedia sfiorata per un soffio e fortunatamente risolta grazie alla prontezza, al coraggio e allo spirito di sacrificio di quell’allora giovane giornalaio di cui purtroppo non ricordo più il nome e alla solidarietà dei presenti, valori questi che si rivelarono molto forti in quei momenti estremi.
Annotavo sul finire di quella tremenda giornata: “...poi ombre che si muovono in fretta, i fari delle macchine puntati dalla collina per far luce, le donne rimaste nell’abitazione che implorano di essere salvate..(..) Dopo, il livello dell’acqua cala come per miracolo, si può arrivare alla piazza buia. La gente che finalmente ma con timore si affaccia dalle porte sbarrate, i loro occhi che si muovono sotto i cappucci, i corridoi allagati, le bestemmie dei bottegai che, a lume di tenui candele, possono ora rendersi conto dei danni dell’alluvione (..)[1] 
Una volta calate le acque lo scenario di tutta la vallata sotto la Certosa apparve devastato, campi, vigneti, orti travolti dal fango e dai detriti su cui spiccavano i corpi a gambe ritte e con la pancia enfiata di alcune povere mucche annegate. Assieme ad altri giovani, detti mano ai militari, arrivati qualche giorno dopo con i camion, a caricare i corpi delle vacche affogate, corpi pesantissimi tanto che non bastarono dieci uomini e varie corde per spingerle sopra. Poi i corpi vennero scaricati nella macchia scoscesa dietro via delle Bagnese e ivi bruciati da altri militari con i lanciafiamme.



[1] Quaderni Neri di lavoro e di viaggio IV°, pag. 12, miei manoscritti originali.

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