04/11/16

LA MIA ALLUVIONE di Lorenzo Pezzatini

Pioveva da due giorni a dirotto, ma nessuno pensava che davvero l’Arno avrebbe cercato di allargarsi nella piana di Firenze. Eppure a ben pensarci dopo essere stretto tra due colline a partire da Incisa, Rignano,  Pontassieve con l’affluenza della Sieve, Sieci, Compiobbi e finalmente arrivando nella piana fiorentina cos’altro poteva fare? Rispettare la grande storia della città e pisciarsi addosso a San Donnino? Era ineluttabile che l’acqua cercasse spazio qualora diventasse troppa per restare negli argini. 
Oggi la chiamano esondazione ma a Firenze da sempre si dice che l’Arno dà di fori…e di fori diede. E di fori andai anche io che giovane ventiduenne avevo la fidanzata alle Due Strade e che per diversi giorni rimasi in obbligatoria astinenza. 
Comunque quella mattina del 4 Novembre essendomi arrivata via radio qualche notizia frammentaria misi gli stivali di gomma da pescatore, presi la mia fedele Nikon F e mi incamminai verso il centro lungo il Mugnone che in Via Boccaccio  dava già segni di voler sfociare con violenza in Arno. Ricordo chiaramente di salire sul cavalcavia pedonale di Viale Matteotti e poi di incamminarmi per via Cavour fino a Piazza San Marco dove si cominciava a vedere le prime avvisaglie di acqua marrone con qualche chiazza più scura sparsa. 
I miei stivali mi consentirono di arrivare fino a Via Martelli dove intravidi la locandina de La Nazione che il giornalaio aveva appena fatto in tempo ad affiggere prima di scappare. A caratteri cubitali diceva. L’ARNO STRARIPA A FIRENZE.

La notizia collimava perfettamente con quello che stavo vivendo e l’Arno ora lo vedevo li davanti a me paurosamente minaccioso sui marmi del Battistero. Ero arrivato all’altezza massima consentita dagli stivali e mi convinsi che era l’ora di tornare a casa non senza prima di prendere la mia Nikon F e scattare. Nei giorni che seguirono la Nikon mi accompagnò per documentare le ferite della città e lo spaesamento di tutti noi fiorentini. Io come tanti detti una mano a pulire e a togliere fango dalle trecce e dai cappelli di paglia che la ditta per cui lavoravo vendeva.
Non c’era altro da fare che ripulire, restaurare, riparare e riprendersi la città che l’acqua fangosa dell’Arno frammista alla nafta aveva conquistato.
Fu un lavoro sporco lungo e duro che tenacemente i fiorentini, allora ancora numerosi nel centro storico, fecero con grande determinazione e dignità. Grazie a tutti voi che avete vissuto quei momenti di grande solidarietà per aver dato a noi giovani di allora speranza e gioia di vivere.


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