19/12/16

MANGIARE CON MINA E GIANNI DORIGO

(Da portalegiovani.comune.fi.it)

Un Brac's art on table d'autore per il mese di Dicembre alla Libreria Brac di Firenze, in via dei Vagellai, 18r. 
Gianni Dorigo, artista dalla lunga carriera, ha accettato l'invito a esporre sui tavoli della libreria una serie di suoi dipinti dedicati ai "musicarelli".

E' un'esplosione di colore quella con la quale Dorigo reinterpreta un genere cinematografico "pop", sospeso tra il film musicale e la promozione discografica vera e propria. Le 30 immagini in mostra alla Brac sono state selezionate dallo stesso artista che ha voluto ripercorrere così l’ascesa e declino di una stagione cinematografica  che ancor oggi resiste nelle programmazioni estive di molte televisioni. Si inizia con “I ragazzi del juke-box” del 1959, titolo che segna la nascita del genere, per terminare con “Piange il telefono” del 1975, con cui la spensieratezza cede il passo al larmoyant, decretandone la fine.
In mezzo a questi estremi cronologici, Dorigo rilegge i titoli più popolari interpretati dai beniamini del grande pubblico: da Rita Pavone a Mina, da Gianni Morandi a Little Tony, da Caterina Caselli ad Adriano Celentano, sfilano i nomi che hanno animato la cinematografia del periodo, che ha visto protagonisti, insieme, cantanti e attori coinvolgendo anche campioni dello sport.
Gianni Dorigo racconta tutto questo attraverso una pittura metonimica, fatta di colori, parole, finti “collages”, ritratti e frammenti.
La mostra è corredata da un testo di Ranieri Polese, dedicato alla serie dei dipinti dell’artista, in cui si ripercorre la storia di un genere e il ruolo della canzone nel cinema italiano.
Gianni Dorigo, nato a Ferrara nel 1953, vive a Firenze ed opera come artista dalla fine degli anni Sessanta. Dal 1980 è docente di “Visual design”. Con un’ininterrotta attività, promossa e seguita da gallerie e firme di rilievo, a 21 anni, nel 1974, tiene la sua prima personale e del 1995 è già la sua prima antologica, nel Palazzo Pretorio di Certaldo (a cura di Claudio Cerritelli). E’ stato invitato a molte delle più importanti rassegne d’arte sia in Italia che in Europa, tra le quali la “Quadriennale” di Roma. Da oltre un decennio la sua ricerca intesse uno speciale ed originale dialogo tra pittura e cinema. Il cinema diviene non solo fonte iconografica e d’ispirazione narrativa ma riflesso di memorie ed emozioni personali.


18/12/16

LA MIA ALLUVIONE di Nicola Nuti

Io ero pronto, avevo gli stivali di gomma e la mia cerata gialla, mentre il cappello impermeabile, sempre giallo, lo avevo dato al mio coniglio di pezza. Tutti e due aspettavamo vicino alla porta che qualcuno desse l’ordine di partire, quasi fossimo dei paracadutisti.
Tutto era cominciato la mattina: da fuori non venivano i soliti rumori della strada e in casa avvertivo una certa agitazione. Il babbo era uscito presto. Al suo ritorno, dalla mia stanza lo sentii parlottare con la mamma, poi uscirono insieme di nuovo. Quello strano silenzio era diventato un rumore sordo, continuo e strisciante che attraversava le pareti.
Prima tornò mio padre, con l’aria cupa, e accese subito la radio; dopo poco la mamma fece una delle sue entrate teatrali: “la fine del mondo!” e, scuotendo l’ombrello nell’acquaio (non fosse mai che cadessero delle gocce sul pavimento appena lucidato), rovesciò sul tavolo alcuni pacchetti. Aveva comprato, non so come, visto che era un giorno di festa, un gran pezzo di pane, della frutta e un tocco sanguinolento di carne che mise subito a cuocere.
“Il finimondo, vi dico. L’Arno è al pari delle spallette! E il Ponte Vecchio sta per crollare! Bambini – i bambini eravamo io e il babbo - qui succede qualcosa di grosso. Riempiamo la vasca da bagno nel caso chiudessero l’acqua e facciamo questo roastbeef,  magari una polenta, che è roba che si può mangiare anche in un secondo momento”. Non so perché nei momenti concitati e quando c’era qualche incombenza, mia madre parlava sempre al plurale, quasi che tutta la famiglia, ovvero io, lei e mio padre, dovesse agire come un sol uomo.
Al di là dei toni melodrammatici, la mamma ci aveva visto giusto. Dopo poche ore non avevamo più gas né luce, né acqua. Per fortuna avevamo un caminetto.
La mia casa di via Guicciardini era una specie di ponte verso un altro mondo: entravo da una strada congestionata di macchine e poi mi affacciavo sul Corridoio Vasariano; da lì una serie di tetti si tuffava tra gli alberi e le coste erbose di Boboli, mentre su tutto vegliava il Forte Belvedere. Sembrava una realtà galleggiante, che non poteva essere contaminata dalla fisiologia del quotidiano. Dalle finestre potevo vedere anche l’ampio giardino del fioraio, affollato di piante in vaso; e proprio là cominciai a scorgere una lingua di acqua marroncina variegata di nafta che avanzava sul vialetto di ghiaia. Un gatto, inseguito dal  liquame, si arrampicò su una pietra non molto alta. “Salta! Salta!”, gli gridavamo, come se potesse capire. E il gatto lo fece; saltò incredibilmente sulla sella di una Lambretta distante non meno di un metro,  parcheggiata su uno stretto marciapiede. Era salvo.
Impaurito, incuriosito ed eccitato, a quel punto volevo vedere di più e mi feci portare dai vicini, da dove si poteva vedere la strada e da dove mio padre filmò i pochi secondi che gli permise la bobina di pellicola ormai alla fine. I cartelli stradali dondolavano furiosamente, come scossi da una mano enorme: la piena del fiume, scavalcate le spallette, correva pigra, ma possente, per le strade che conoscevo, dentro i negozi dove andavo con la mamma a fare la spesa, strappava la serranda del tabaccaio dove venivo spedito a comprare le fatidiche “dieci nazionali”, svuotava il banco della fornaia che mi regalava sempre un grissino o due; imbrattava i tessuti della camiceria sotto casa. Pensai al mio mondo stravolto e sentii che sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile, dal momento che tutti i miei punti di riferimento venivano spazzati via: certamente l’acqua sarebbe salita ancora,  senza scampo, meglio uscire, guadare la strada come i cowboy facevano col Rio Bravo, tutti stretti per mano e in fila indiana e raggiungere il mondo delle mie fantasie a Boboli. Per questo calcai il cappello della mia cerata gialla sulle orecchie di Trudy e mi preparai all’avventura. Ma poi guardai giù nella tromba delle scale: il liquame nerastro si era precipitato nel vano delle cantine e, dopo averle riempite, stava tornando su ribollendo. Il tanfo era insopportabile. Non saremmo riusciti ad andarcene, certamente non da là.
Dopo aver progettato un paracadute fatto di ombrelli, una specie di teleferica dalle nostre finestre alle mura del Belvedere e una barca di cartone, mi rassegnai mangiando roastbeef freddo e fette di polenta arrostite, oppure spalmate di miele, per alcuni giorni, mentre la gente si chiamava dalle finestre e qualcuno, dal campanile della chiesa, faceva segnali luminosi incomprensibili verso di noi. L’atmosfera era sospesa, il tempo rallentato, come alla vigilia di qualcosa. I rumori che venivano dalla strada non si srotolavano più a scandire i momenti della giornata, ma si propagavano isolati, quasi fossero un’eco. Era come stare in un’epifania misteriosa.
E venne il momento di uscire: il fiume era tornato nel suo letto, lasciando dietro di sé, come una gigantesca lumaca, una scia di fango untuoso. Tutto era infangato, i nostri vestiti, i muri, le cose che compravamo. A casa nostra il fango entrò insieme ai quadri che il babbo aveva aiutato a recuperare in una galleria in Piazza del Pesce, dall’altra parte del Ponte Vecchio: Rosai, Soffici, Picasso, ci fecero compagnia per qualche tempo, mentre le tele venivano pulite prima che la sporcizia si seccasse sulle superfici dipinte.
Poi la notizia di una possibile epidemia dovuta agli animali morti nel piccolo zoo delle Cascine e nelle stalle del vicino ippodromo, spinsero i miei a farmi cambiare aria e mi portarono da dei parenti a Pistoia. Era strano, credevo che l’Alluvione fosse un fatto universale e invece adesso vedevo strade pulite, case senza la riga di nafta sulla facciata, negozi in ordine. E pensare che avevo portato con me il camion dei pompieri, quello con le ruote grandi, nel caso avessi trovato la mota pure lì.
Restai una manciata di giorni, ma a me parve almeno un mese. La scuola era un ricordo lontano e anche Firenze per me era all’altro capo del mondo.

Quando tornai la città portava i segni di quello che era successo e le strade trasudavano ancora melma (avrebbero continuato a farlo ancora per diversi mesi), ma ci si stava avviando alla normalità. Non potevo sapere dei morti, dei libri danneggiati o perduti alla Nazionale, né del Cimabue o delle altre opere rovinate: a casa il mio coniglio mi aspettava felice di non avere più la cerata gialla sulle orecchie e poi…. Tra poco sarebbe stato Natale.

09/12/16

ZIP CRASH BANG PER APRIRE LA COUR CARRE'E

Luogo inconsueto, formula inconsueta, orario inconsueto. Sono queste le preziose caratteristiche di questa nuova scommessa culturale voluta e realizzata da due meravigliose "ragazze" spericolate: Daniela Cresti e Rosanna Tempestini. 
Da parte mia i più sinceri auguri di in bocca al lupo!
 Di seguito il comunicato stampa di
ZIP CRASH BANG
Inaugurazione
sabato 10 Dicembre 2016, 11.00
Piazza Pietro Annigoni, Firenze 

La Cour Carrèe apre le tende, è proprio il caso di dirlo, un nuovo spazio culturale nel cuore del quartiere di Sant’Ambrogio, all’interno del gazebo n.1 del Mercato storico delle Pulci, Largo P. Annigoni (Firenze), con: ZIP CRASH BANG 


Un grammelot visionario, particolarmente capace di creare sorpresa e suggestione, un mondo immaginifico che esprime il reale con satira, ironia cattiva che scivola nel sarcasmo, ma sempre cultura, a volte poesia. Tutto ciò fa parte del mondo del Fumetto. Mescolando linguaggi diversi il fumetto regala un vero e proprio prodigio di intelligenza e comicità, un fantasioso pastiche testuale e di immagini, un canovaccio onomatopeico con cadenza fascinatoria. C’è ritmo estetico nella domanda: "cos'è un desiderio”, la cui risposta ci viene dal lupo, Cloud e il ragazzo, in questo lungo viaggio attraverso le tavole di Vincenzo Balzano. Tavole splendide nella composizione e nelle nuances di colori.
Diverso il lavoro di Federico Cacciapaglia. Le sue opere a fumetti riflettono una profonda introspezione e una attenta lettura della Società in cui viviamo. Nel fumetto I Growls siamo nel mezzo di uno scenario distopico apocalittico, un giorno del giudizio con alcune analogie rispetto alla nostra realtà...
Enrico Pantani trasforma in strisce le idee più trash: disegno, parola, rapidità, concetto. Tre/quattro piani diversi di senso, cervello tritato, psicosi, banalità, ripetizioni, politica, attualità, musica, tic, personaggi, cronaca. Di tutto, ma scardinando le regole del racconto (che non c’é), le regole della morale e dell’etica. In pratica "quando prendo il pennarello nero mi faccio paura da solo".
Silvia Rocchi dipinge su carta ed è indicativo il suo lavoro rivolto al femminile come nella tavola del suo primo fumetto su Alda Merini, o nel libro scritto e illustrato per l’associazione Libera contro le mafie. Interessante sul piano grafico, pittorico e contenutistico.
Da questo materiale variegato e simbolico nasce il titolo della serie di mostre sul tema che la Cour Carrèe presenterà con una scadenza quadrimestrale nella tenda espositiva di Largo Annigoni. 
All’inaugurazione parteciperanno quattro giovani e già affermati artisti: Vincenzo Balzano, Federico Cacciapaglia, Enrico Pantani, Silvia Rocchi ai quali per ringraziamento dedichiamo una frase di Umberto Eco da “Apocalittici e Integrati”

"... in questa enciclopedia di debolezze contemporanee il fumetto sopravvive e batte in breccia il sistema che cerca di condizionarlo. Un mondo puramente allusivo, un piacere di tipo musicale, un gioco di sentimenti tutt’altro che banali. La forza di questa commedia nasce dalla fedeltà all’ispirazione."
E dalla professionalità degli artisti, aggiungiamo noi, che li abbiamo conosciuti e apprezzati. C'é una regola antica nel teatro ed anche nel fumetto. Quando hai concluso non c'è bisogno che tu dica altra parola, ne’ fare autografi. Saluta e pensa che quella gente, se l'hai accontentata nei sensi e nel pensiero ti sarà riconoscente, quindi basta come firma un lungo "ciao" urlato.



Programma
Ore 11:00 Sergio Tossi intervista:
Vincenzo Balzano, Federico Cacciapaglia, Enrico Pantani, Silvia Rocchi

L'intervista sarà proiettata in simultanea al di fuori della tenda fino alle ore 18:00. Saranno a disposizione i libri degli artisti per consultazione e vendita fino alle ore 18:00 e nei giorni successivi.
La Cour Carrée
Sant’Ambrogio all’interno del gazebo n.1 del Mercato storico delle Pulci 
Largo P. Annigoni (Firenze)


06/12/16

TUTTI IN MOTO AL PALP DI PONTEDERA

In verità, in verità vi dico che a me piaceva di più la Lambretta. 
Ecco!
Toltomi questo peso dalla coscienza non posso che salutare con gioia "TUTTI IN MOTO - Il mito della velocità in cento anni di arte", ossia la bella mostra curata da Daniela Fonti e Filippo Bacci di Capaci che il 9 dicembre inaugura il Palazzo Pretorio di Pontedera, riconvertito dopo imponenti lavori di restauro a nuovo spazio espositivo della città. PALP il suo nome di evidente sapore tarantinesco.


Promossa dalla Fondazione per la Cultura Pontedera, dal Comune di Pontedera e dalla Fondazione Piaggio, con il patrocinio dalla Regione Toscana, la mostra è dedicata interamente al mito della velocità e al suo riflesso nelle arti figurative, negli ideali di vita e nel costume sociale degli italiani, dalla fine del XIX secolo agli anni del boom. Una sezione della mostra dedicata alle grandi opere è ospitata al Museo Piaggio dove si trova anche la mostra fotografica Futurismo, velocità e fotografia, curata da Giovanni Lista, che documenta l’approccio dei fotografi futuristi alla velocità come mito della modernità.

Al PALP l'attenzione si posa all'inizio su un’Italia ancora agreste, segnata dal tempo lento delle stagioni, in cui ci si sposta ancora prevalentemente a piedi o a cavallo, e per mare si va a remi o vela. Qui tra l'altro si scopre un piccolo, straordinario Ave Maria a trasbordo di Giovanni Segantini. 


Poi arrivano le macchine, la velocità, cambia il mondo e cambia il modo di rappresentarlo. In questa trasformazione ci guidano le sale successive del palazzo, ognuna dedicata ad un distinto mezzo di locomozione: il treno, il tram, il piroscafo, la bicicletta, l’automobile, l’”omnibus”, la motocicletta, sino alla mongolfiera, l’aerostato, e l’aereo a motore.

Oltre duecentocinquanta opere, tra dipinti, sculture, fotografie di altrettanti grandi autori dell’arte italiana – da Fattori, a Bianchi e Viani, sino a Ziveri, passando per Severini, Baldessari e Carrà, o Boccioni, Balla e Depero – per sintetizzare il riflesso prodotto sull’immaginario collettivo da questi mezzi meccanici in continua evoluzione. Inoltre una gustosa galleria di manifesti che documentano l'attenzione del cinema degli anni '50 e '60 per lo sviluppo dei mezzi di trasporto e delle relazioni umane che ne conseguono.




Ecco apparire l’automobile: "Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello (l'automobile era maschile allora, ndr) della Vittoria di Samotracia" si legge nel Manifesto futurista del 1909. E' simbolo assoluto della modernità e si diffonde nelle classi alte della popolazione in coincidenza con l’esplosione del verbo futurista (Cambellotti, Balla). Sarà l’ispiratrice di molte tele futuriste (Balla), insieme alla motocicletta, quest’ultima prediletta per l’assimilazione e la compenetrazione fra pilota e motore (Dottori, Sironi, Giannattasio, Pannaggi, Tato e BOT)

Nel secondo dopoguerra, poi, con l’approssimarsi della motorizzazione di massa, automobili e moto ispireranno per la loro forma aerodinamica gli scultori della nuova stagione astratta (Franchina). 

La bicicletta spicca come il mezzo semplice e geniale che ci accompagna dalla metà dell'Ottocento, prima legato al bon ton della borghesia, poi diffuso in ogni strato sociale: bellissimo Il ciclista di Mario Sironi proveniente dalla Fondazione Salomon Guggenheim di Venezia.

Nel 1929, sulla suggestione delle imprese aeree dei trasvolatori, nasce una nuova corrente pittorica, l’Aeropittura, nella quale si assisterà alla multiforme celebrazione del tema del volo, dalla prima enfatizzazione eroica alla cupa atmosfera delle incursioni di guerra, descritte nelle opere di (Tato, Thayaht, Regina, Depero, Dottori, Crali, Sironi, Peruzzi, Nomellini, Marinetti, Munari) . 

La suggestione della velocità si estende in ambito futurista anche ai mezzi navali. Gli artisti restituiscono sulle tele il fascino dei grandi piroscafi che svettano all’orizzonte dei porti italiani e solcano gli oceani, di lì a poco carichi di migliaia di italiani costretti sulle vie dell’emigrazione.

Nel non lontano Museo Piaggio ben 21 opere di grande formato che ripercorrono i temi affrontati a Palazzo Pretorio. L’esposizione è arricchita da alcuni preziosi veicoli che hanno fatto la storia della velocità su due ruote.
Si affianca al Museo Piaggio Futurismo, velocità e fotografia, curata da Giovanni Lista: attraverso più di cento fotografie di grandi autori (tra i quali i fratelli Bragaglia, Tato, Azari, Bellusi, Boccardi e Bertoglio) provenienti dalle più famose collezioni mondiali, la mostra documenta il carattere molteplice dell’approccio estetico e formale dei Futuristi al dinamismo, all’aerodinamismo e alla velocità.