04/11/13

FACCE DI BRONZO (SECONDA PARTE) di Stilicone

Le altre no. Basta confrontare il colore del bronzo per rendersene conto. Verde chiaro contro verde-bruno scuro.

E poi tutte quelle strisciate più chiare, che indicano le vie percorse dall’acqua piovana, intrisa di veleni, che da secoli le percorre e le scava, e le oltraggia. Ecco l’esatto contrario di ciò che affermavamo all'’inizio, la valorizzazione senza un’adeguata conservazione.

Quelle sculture in bronzo sono inguardabili – in tutti i sensi -, illeggibili, fanno tenerezza, e si trovano al centro di una delle aree del pianeta a più alta densità turistica.

 

Solo che hanno la sfortuna di far parte del patrimonio del Comune – diversamente dal Perseo che invece è degli Uffizi, cioè dello Stato. La Soprintendenza spende – e investe – nella conservazione e nella valorizzazione delle proprie opere, mentre Palazzo Vecchio destina quasi totalmente le risorse destinate al patrimonio culturale di proprietà cittadina – che pure è enorme – a pochi enti capaci solo di sperperare denaro pubblico senza alcun ritorno per chi lo rende disponibile: primo tra tutti il Maggio Musicale Fiorentino. In molti fanno finta di non accorgersi di questa disparità di trattamento, di questa stonatura, di questa inammissibile differenza nella politica di gestione dei beni culturali della città.

Basta una passeggiata nella storica piazza simbolo di Firenze, per rendersi conto di come diversamente si possa intendere il rapporto tra conservazione e valorizzazione del patrimonio. Per il Perseo è virtuoso, per le statue della fontana dell’Ammannati e per Cosimo I a cavallo è innegabilmente scandaloso.

Senza contare che il primo cittadino di Firenze, Matteo Renzi, non perde occasione per scagliarsi contro le Soprintendenze, accusate di essere inutili, anzi dannose per la gestione del patrimonio cittadino.

Questo suo parere, come molti altri del resto, non è sorretto da alcuna prova, anzi. Infatti basta dare un’occhiata ai bronzi di piazza della Signoria per capire quanta poca obiettività (e di molta fantasia) emergono dalle parole nell’inquilino di Palazzo Vecchio. E quanti danni provocano.

 

 

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