15/10/13

CANTANO E SUONANO di Barbara Dardanelli

Oggi la maestra dell'asilo dell'Adele mi ha fermato chiedendomi che lavoro facessi, perché alla stessa domanda l'Adele aveva risposto “la mia mamma lavora con quelli che cantano e suonano”. La cosa può risultare spiazzante, perché può voler dire tante cose, in effetti spiegare all'Adele nello specifico che lavoro faccio, è estremamente complicato, visto che a mala pena ancora  sono riuscita a spiegarlo ai miei genitori. Comunque lei alla fine ha saputo sintetizzare bene, anche perché circondata com'è di note, un'idea se la deve essere fatta da sola.

Il primo concerto che ha visto l'Adele è stato quello di Bobo Rondelli, aveva 10 mesi e in piedi sul passeggino batteva le mani entusiasta, urlava e partecipava a una festa. Con una caparbietà curiosa, ha chiuso gli occhi solo una volta risalita in macchina. Certo, il primo concerto se togliamo quelli che ha sentito da dentro la pancia.
Quando era piccolina per addormentarla le cantavo “Insonnia” dei Virginiana Miller.


La prima canzone che ha imparato è stata “Cuccurucucu paloma”, non ne uscivamo, la dovevamo mandare in loop almeno per mezz'ora di fila. La prima foto che si è fatta con un cantante, è stata con Cristiano Godano dei Marlene Kuntz, lei aveva sonno ed era un po' indispettita, ma lui ci ha abbracciato come fosse una cosa bella davvero, non solo per noi e allora poi l'Adele gli ha dato anche un bacino.


In casa nostra ci sono sempre un sacco di riviste musicali, ma lei è sempre stata attratta da un vecchio numero di Rumore che in copertina aveva Paolo Benvegnù, ecco lei Benvegnù lo riconoscerebbe tra una folla di un miliardo di persone.
 
 
Tutte le sere poi, è rito ormai da sempre, che dopo mangiato andiamo in salotto e facciamo suonare la musica e lei balla, e noi con lei, come se il resto della giornata rimanesse lì sospeso, in attesa di quell'epilogo che per forza di cose, diventa il più bello che si possa immaginare. Questo per dire che l'Adele è circondata, un po' anche per forza di cose, dalla musica, dalla musica dei grandi. Questo non preclude l'ascolto delle canzoni dei bambini, mica siamo “torturatori” noi, lo sappiamo che un “Caffé della Peppina” o un “Volevo un gatto nero” sono necessari a quest'età, forse più di “Lullaby” dei Cure. Però io credo nell'imprinting. Ci credo perché io sono la prova che con me ha funzionato. A casa mia quando ero piccolina, sul piatto del mio babbo suonavano cose veramente belle. Dalla, De André, Guccini, Battiato, Deep Purple, Rolling Stones, Genesis, Pink Floyd.


 Che c'entra, tutto questo, arrivata a 13 anni, non mi ha protetta da Masini, il quale chiesi con forza di andare a vedere al Palazzetto dello Sport. Ma comunque quando la maestra di musica delle medie ci chiese di portare un testo a nostro piacere da analizzare, io portai, totalmente inconsapevole di cosa parlasse veramente, “Alexander Platz” di Battiato.
 
 
Non ho paura dunque di pensare che, arrivata a una certa età, l'Adele mi chiederà di portarla a vedere i Modà di turno, è una tappa necessaria anche quella, perché comunque io sono consapevole dell'imprinting che gli abbiamo dato.  Quello vince, vince sempre su tutto alla fine, basta avere la pazienza di aspettare.    
 

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