16/01/14

CARO IVAN D.: LA RISPOSTA A DOMENICO COVIELLO di Silvia Nardi Dei

Caro Ivan D., vorrei fare del mio meglio per risollevare il tuo umore, ora ci provo. E ci provo tentando di rispondere io alla giornalista al posto di Servillo, dato che la linea telefonica era disturbata e, se ascolti attentamente la registrazione, capirai che Servillo ha sussurrato l'imprecazione pensando che non ci fosse più nessuno in linea ad ascoltarlo.

 Mi sono informata parecchio, e ho scoperto che giornali americani del calibro di Variety, Los Angeles Times, New Yorker hanno parlato di un capolavoro, di un film straordinario, di un film magnifico, di un magistero registico. Il New Yorker ha iniziato addirittura la recensione con queste parole "Il volto di Toni Servillo è un tesoro del cinema contemporaneo" e quindi ha apprezzato la regia di Sorrentino, l'interpretazione di Servillo e tutto quello che rende questo film così potente, così ambizioso.

Come mai allora un film così bello, in Italia ha avuto delle recensioni molto meno significative? Era questa la domanda a cui la giornalista voleva assolutamente che Servillo, nel giorno della notizia del Golden Globe, rispondesse? Proviamo: come mai appena uscito dai nostri confini le recensioni sono diventate così belle? Io faccio una riflessione un po' amara, ma la prima cosa è che NEMO PROPHETA IN PATRIA , la qualità non viene riconosciuta immediatamente nel suolo patrio, non è la prima volta che succede e chissà quante altre volte succederà. Ma c'è di più: Sorrentino fa un film estremamente ambizioso, visto che in molti (in Italia) hanno gridato allo scandalo per aver lui usato come riferimento Fellini, il Fellini de La dolce vita, in particolare, ma anche di Roma e di Otto e mezzo, e questa è una prima cosa che turba; come osa questo regista paragonarsi a uno dei più immensi registi italiani? E ancora: come può mettersi a competere con uno dei film più iconici più belli di tutti i tempi, La dolce vita?
Molti critici italiani ci sono rimasti di stucco. Ma io voglio però puntare il dito anche sulle differenze: La dolce vita raccontava un inferno travestito da paradiso, a vedere da vicino quello che diceva Fellini, il mondo raccontato in quel film è un mondo debosciato, decadente, stanco, cinico; eppure la superficie è affascinante, si è creato il mito della dolce vita, grazie a quel film. Cinquant'anni dopo, Sorrentino racconta un mondo molto più debosciato, molto più decadente, molto più corrotto, che non ha più neanche quell'apparenza di glamour e di bellezza, per trovare quella bellezza che c'è ed è eterna come quella città, bisogna trovarla all'alba, in alcuni palazzi, e in alcuni scorci della città stessa. Ma non è soltanto questo. Cosa fa? Cosa dice Sorrentino? Sorrentino ci racconta che questo mondo è non solo stanco, corrotto, debosciato ma è totalmente provinciale, inutile. Il regista ha il coraggio, la forza di puntare il dito accusatore verso il mondo che sembra dominare la cultura italiana. C'è una scena memorabile  in cui il protagonista attacca, anzi massacra un'esponente di quel mondo radical chic che frequenta molto le terrazze romane.
Lui dice a questa donna che è fasulla, che è disperata come lui stesso e come tutti i personaggi di quel mondo, ma soprattutto che ha costruito con prosopopea una vita e un'esistenza basata sul nulla, su nessun tipo di qualità reale. E' un attacco durissimo, forte e abbastanza inedito nel mondo del cinema italiano. E secondo me attacca proprio una parte di quel mondo che quando uscì si trovò a recensire il film stesso. Forse può esser capitato che  queste recensioni così tiepide o addirittura risentite nascano da un problema ideologico:  che i recensori si siano sentiti tirati in ballo? E non è l'unico mondo che Sorrentino attacca, ad esempio una parte del mondo dell'arte, un mondo fatto di collezionisti opulenti e volgari, di artisti che non sanno neanche spiegare che cosa fanno, di povere bambine magari geniali ma costrette con violenza ad esprimere la propria arte, racconta il mondo dei nobili decaduti che addirittura si possono affittare per una cena, racconta una Curia superficiale e vanesia e di quel cardinale che continua a ripetere soltanto delle ricette, e racconta anche la voglia e la necessità di trovare la bellezza e la grazia nella figura di una santa, forse la parte un po' meno riuscita del film stesso.
Insomma Sorrentino non ha paura, e questo non gli viene perdonato.
Ma questo stesso approccio così ambizioso, così forte, supportato poi da immagini meravigliose, viene celebrato appena il film esce dai nostri confini. Anche in Inghilterra, ad esempio, ha ottenuto un successo clamoroso di pubblico e di critica. E allora, nel giorno del trionfo a parer mio meritatissimo, se una giornalista punta il dito proprio sulle critiche di casa nostra, un bel vaffa fuori onda, secondo me, è quanto di più sano e genuino poteva scappare da quella bocca, ma insisto: si capisce perfettamente che il malandrino pensava di non esser sentito. Quanto al bisogno di farsi notare di Grillo, il nostro, a chi gli chiese se gli piacesse Grillo, rispose così:  " Devo essere sincero, no. Mi sembra che riproponga un'immagine di leaderismo che è molto vecchia, passa per Rienzi (tiranno wagneriano, ndr),  per Masaniello, arriva a Berlusconi e adesso diventa lui, c'è molta protesta che è anche vera ma molto poca proposta. Il palcoscenico mi ha insegnato una moralità, ad esempio il camminare insieme e lo stare ad ascoltare chi ha più esperienza di te, a fare tesoro del passato a non gettare tutto in un cestino, mi ha insegnato anche a non distruggere soltanto. Mi rendo conto che mi faccio dei nemici ma me li faccio volentieri, ma insomma che le devo dire? Grillo non mi piace".
Sicchè, caro Ivan D., io non me la prenderei troppo, anzi ci farei una bella risata e speriamo vinca pure l'Oscar!

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