06/09/13

SPARO-LIERE di Riccardo Ventrella: A volte è meglio se finisce anche il cielo


La musica leggera italiana ha una certa dimestichezza con le assonanze cromatiche: senza scomodare l'omerica aurora dalle dita di rosa, abbiamo la tozziana notte rosa, oltre al contian/celentanesco pomeriggio azzurro; per tacere dell'ovvio bludipintodiblu. La peggior evocazione cromatica, e uno dei versi più crudi del pop nostrano appartiene però a Gianni Togni, o meglio al suo paroliere Guido Morra che nel 1975 lo infila in una canzone dal titolo Oggi si muore. Sono entrambi esordienti, all'epoca, tutti e due nel giro scoppiettante di Vincenzo "io ti ammazzerò" Micocci e della sua etichetta It, che dopo i De Gregori e i Venditti continua nella ricerca di talenti da valorizzare. Togni e Morra sono destinati a carriere di buon livello: collaboreranno qualche anno dopo per il planetario successo Luna, e Morra si aggiudicherà nel 1982 il Festival di Sanremo con Storie di tutti i giorni cantata da Riccardo Fogli prima di diventare uno dei liricisti di fiducia di Renato Zero. In quel 1975 però Togni imbastisce un album concettoso e sperimentale, In una simile circostanza. Oggi si muore è il classico brano antimelodico dell'epoca, con una buona cose di chitarra arpeggiata, assolutamente impossibile da canticchiare. Vi si racconta di un o una Karol, non si sa quanto preconizzante il Papa polacco in arrivo tre anni dopo (sospetto lecito visto che Morra scriverà in seguito per Placido Domingo una canzone ispirata a una poesia di Wojtyla), e di avventure di quotidiano squallore (“un amore dai capelli biondi/cerca la libertà sull'elenco telefonico /io sto male ma tu non mi rispondi). Dopo essersi dichiarato “prigioniero in un carcere di parole” e “non abbastanza serio per morire”, ecco improvvisamente il nostro eroe catapultato sotto un cielo color preservativo. Verso efficace, certo, per descrivere qualche atmosfera dell'est europeo o della pianura padana, inusitato forse anche per un brano degli Squallor (color preservativo). A Togni non valse però un immediato successo, forse perché troppo esistenziale: dovette attendere cinque anni per il disco seguente. Siccome il titolo proposto dal discografico, Debutto, gli pareva troppo banale, decise di chiamarlo ...e in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m'invento. C'è chi non si accontenta mai.

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