Uno
stecchino da denti, qualche aculeo di istrice, una pinza, un metro,
un mozzicone di lapis 2B, un coltello Opinel, forbici, pennarelli, un
paio di occhiali da presbite, un diapason e un monte di altre cose.
Su
quel tavolo c'è il mondo, il mondo di chi fa con le mani, non solo
con le mani ma certamente anche con le mani.
E
su tutto un bel silenzio.
E'
lo stesso silenzio al quale Eleonora Tolu ci aveva introdotti già un
anno fa con le immagini di “Dal martedì alla domenica” con le
quali aveva partecipato alla seconda edizione di “Mi espongo”. Ma
stavolta non si tratta del silenzio di un luogo “sacro” come la
Galleria degli Uffizi. Eppure anche il silenzio che intride le
fotografie di “Un attimo prima di cominciare” racconta di una
qualche altra sacralità. Quella dell'artista e dell'artigiano che si
sta per mettere a lavorare e si guarda intorno, accarezza con lo
sguardo gli oggetti e gli utensili che conosce così bene, che sa
come prendere e come usare e che sanno rassicurarlo.
E'
quel disordine bello a fare da protagonista; Eleonora sa catturarlo,
spiegarlo, abbracciarlo, in ultima analisi condividerlo perché sa
bene che è indispensabile.
La
luce che filtra da una finestra e sfiora la polvere posata sul
vecchio mobile da lavoro, che fruga rispettosamente nel cassetto
semiaperto, è quella radente del sole del mattino che entra con
molto tatto in quel momento così delicato che è il cominciare il
lavoro consueto.
Saranno
almeno cento i pennelli appesi in quella teoria addossata al muro, di
tutte le forme e grandezze, piatti, rotondi, con quel gioco di
sfumature color crema dei manici di legno e delle setole e le tenui
macchie di ruggine e di pigmenti. Sotto i barattoli di vetro, forse
ex sottaceti, e i bicchierini di plastica coperti col domopac chiuso
da un elastichino.
Volendo
definire il fil rouge del fotografare di Eleonora Tolu non potrei che
usare la parola “rispetto”.
Gianni
Caverni
Direttore
artistico di “Un attimo prima”
Conventino, direi.
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