UN BRAVO AMANTE: DOLCE E AMARO di Domenico Coviello
(Piccole storie
di complimenti sessuali)
Omaggio a H. C. “Hank”, “Buk” Bukowski a vent’anni dalla
morte
Fu a quel punto
che la rovesciai su un fianco. Cazzo se mi piaceva. Fino a quel momento stava
seduta sul mio uccello, dandomi la schiena nuda, mentre le abbracciavo il
ventre morbido come il velluto.
Non si schiodava di lì forse perché,
strusciandosi su di me, le sembrava di avermi in suo potere. Ma no, che dico.
E’ che le piaceva la mia stretta. “Che mani che hai”. Beh, era un bel
complimento (non era la prima a farmelo, non so perché ma nelle mani c’ho una
forza dolce che alle donne piace). Sicché pensai che la mia stretta potesse
aumentare. La rovesciai, dicevo. Su quel divanetto di merda, buono al più per
una sigaretta con la gamba accavallata, non certo per amare una donna come si
deve. Allargai le braccia e l’accarezzai sulle mani e sull’addome. La baciai sul
collo.
Eravamo nella posizione “a cucchiaio”, direbbero quei suonati che si
baloccano col kamasutra (come se un manuale t’insegnasse come piace a una
femmina d’esser presa). “Questa posizione…no…non ci posso credere…”, disse lei
stupefatta e contenta. “Io invece ci credo”, le sussurrai all’orecchio. Tanto
perché fosse chiaro che non aveva a che fare con un pivello.
In realtà, mentre
lei era seminuda io ero vestito. E non avevo la minima intenzione di
spogliarmi, in quel posto assurdo. Mi bastava mostrarle di cosa ero capace, se
mai ci fosse stata un’altra occasione di avvinghiarsi l’uno all’altra,
possibilmente altrove. Purtroppo però l’avevo incontrata in quella stanzuccia
piuttosto simile a uno sgabuzzino, o alle alcove multiuso dei privé da
discoteca. Niente a che vedere con l’unico luogo che la mia mente malata riesce
a concepire per tentare di far godere una donna: una camera ben arredata, anche
d’albergo, non importa, ma dotata di morbida moquette a terra e buona
tappezzeria sui muri. E soprattutto di un buon vecchio letto a due
stramaledette piazze, cazzo. Elena - data la scomodità di quel postaccio – a un
certo momento dovetti tirarla su da quel “cucchiaio” in cui l’avevo sbattuta.
Lei si rigirò su di me. Piantò i suoi occhi blu-ghiaccio nei miei e per un
attimo pensai che mi volesse male. Ma no. Si vede che di donne capisco poco. Mi
penetrò con uno sguardo di tempesta. D’una passione di cenere. Dove la brace,
sotto, cova. Il suo giudizio fu implacabile. Difficile da dimenticare: “Mi sa
che sei un bravo amante tu… dolce e amaro…”. Dolce e amaro. Forse perché il
piacere dei sensi non può che essere una gioia dolorosa, pensai. E’ come il
caffè senza zucchero, una pizza bassa, una bistecca fiorentina senza sangue.
Una rosa che ti ostini a immaginare senza spine.
(I disegni sono di Gustav Klimt)
Domenico, perdona l'ignoranza. Il testo è del vecchio Hank? Quale titolo? (non lo ricordo)
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