Youth
ovvero “la grande bellezza” del cinema italiano che si rivela
nella narrazione preziosa di Paolo Sorrentino. Fred Ballinger,
interpretato magistralmente da Michael Caine è
un anziano direttore d'orchestra in pensione che alloggia sulle
Alpi svizzere con la figlia Lena, Rachel
Weisz dalla
pelle di luna, e l'amico di sempre Mick, un Harvey Keitel in
gran forma che interpreta un vecchio regista impegnato
nella stesura del suo ultimo film.
I due si dirigono verso il futuro centellinando perle del passato che li ha accomunati anche dalla stessa incompiuta infatuazione, sezionando con lucidità le vite dei propri figli e degli altri ospiti dell’albergo pluristellato tra cui: un attore di gran fama ma incompreso, un asso del calcio mondiale che trascorre il tempo supportato dalla bombola di ossigeno, una coppia di vecchi amanti silenziosi quanto misteriosi, un guru indiano che tenta la levitazione.
Tutti sono esaminati con dovizia e scannerizzati dallo sguardo lucido di Ballinger e del suo amico Mick tra un chek-up medico, una sauna e una passeggiata tra i monti. Sorvolo sul cast che spazia dalla bellezza di miss universo a Mark Kozelek che fa se stesso, a Paloma Faith che fa se stessa, all’eccellenza vocale di Sumi Jo che interpreta se stessa anche lei.
L’ approdo finale è un pregiato cameo di Jane Fonda che ci regala un’interpretazione da storia del cinema. Il film inizia con un gioco descrittivo sublimato dalle movenze fluttuanti e deformate in un gioco d’acqua e bagliori, quasi specchi, nella vasca termale del Grand Hotel svizzero, in cui si svolge la storia. E’ tutto un’allegoria della vita. Ogni dettaglio è perfezione: la sceneggiatura non presenta sbavature, la scelta delle location è perfetta, i costumi come il trucco e parrucco hanno una definizione pittorica ,il casting ha cercato la disarmonia dei volti, la musica regala potenza ad ogni sequenza . Nulla è banale. Tutto profuma di vita. Tutto ha un impeccabile glamour che non sconfina mai grazie alla profonda, intima, cruda e costante attenzione all’animo umano.
La splendida fotografia di Luca Bigazzi è la matita con la quale Sorrentino dipinge il quadro fatto di luce nitida e fredda, mettendo a fuoco ogni dettaglio, rivelando nei primi piani un accurato rispetto verso i tratti del protagonista in scena, fosse pure una mucca. La musica è filo conduttore nei silenzi in cui risuonano i campanacci di un alpeggio o nello strofinar la carta di una caramella che diventa metronomo tra le dita del protagonista, nelle movenze dettate dalle carezze di un massaggio con oli essenziali, nel librarsi di virtuoso di una pallina da tennis che l’obeso e decadente calciatore mancino palleggia con la grazia del Pibe de oro.
La musica dunque legata alla vita, al passato, a quel che verrà e all’amore, concetto tradotto in una breve frase detta da Ballinger alla figlia che rivela il senso d’ogni cosa “io capisco solo la musica. E sai perché la capisco? Perché la musica non ha bisogno delle parole, né dell’esperienza. La musica c’è….”. A farla breve essere toccati da questa delicata creatura è qualcosa che smuove dentro, si percepisce l’amore per la vita. Diciamo che il canovaccio narrativo è incentrato sui dettagli più che sulla spettacolare trama. Sorrentino ama questo suo ultimo figlio, gli vuole bene, lo veste con cura e lo presenta al meglio. Gli disegna addosso un’onirica visione, a tratti felliniana, perché questa “giovinezza” è da vivere in ogni nostra stagione.
E’ un film impeccabile ma non lezioso, perfetto ma non noioso, charmant ma non spocchioso. Unica figura “molesta” nella sceneggiatura è quella dell’emissario della Regina Elisabetta che inviterà Ballinger a dirigere un concerto a Buckingham Palace nonostante le ripetute risposte negative. Il concerto fungerà da snodo nel groviglio emotivo tra lui e la figlia e disegnerà un’onda perfetta risolutiva tra le due generazioni , entrambe segnate dall’incompiutezza.
Perché ogni vita prima o poi viene sfilacciata dalla memoria e qualcosa si disperde. Tutto è comprensivo di altisonanti armonie ad ogni passaggio del racconto, sempre in equilibrio tra la giovinezza e la morte dove futuro e passato si abbracciano sulle corde di una “ canzone semplice “.
I due si dirigono verso il futuro centellinando perle del passato che li ha accomunati anche dalla stessa incompiuta infatuazione, sezionando con lucidità le vite dei propri figli e degli altri ospiti dell’albergo pluristellato tra cui: un attore di gran fama ma incompreso, un asso del calcio mondiale che trascorre il tempo supportato dalla bombola di ossigeno, una coppia di vecchi amanti silenziosi quanto misteriosi, un guru indiano che tenta la levitazione.
Tutti sono esaminati con dovizia e scannerizzati dallo sguardo lucido di Ballinger e del suo amico Mick tra un chek-up medico, una sauna e una passeggiata tra i monti. Sorvolo sul cast che spazia dalla bellezza di miss universo a Mark Kozelek che fa se stesso, a Paloma Faith che fa se stessa, all’eccellenza vocale di Sumi Jo che interpreta se stessa anche lei.
L’ approdo finale è un pregiato cameo di Jane Fonda che ci regala un’interpretazione da storia del cinema. Il film inizia con un gioco descrittivo sublimato dalle movenze fluttuanti e deformate in un gioco d’acqua e bagliori, quasi specchi, nella vasca termale del Grand Hotel svizzero, in cui si svolge la storia. E’ tutto un’allegoria della vita. Ogni dettaglio è perfezione: la sceneggiatura non presenta sbavature, la scelta delle location è perfetta, i costumi come il trucco e parrucco hanno una definizione pittorica ,il casting ha cercato la disarmonia dei volti, la musica regala potenza ad ogni sequenza . Nulla è banale. Tutto profuma di vita. Tutto ha un impeccabile glamour che non sconfina mai grazie alla profonda, intima, cruda e costante attenzione all’animo umano.
La splendida fotografia di Luca Bigazzi è la matita con la quale Sorrentino dipinge il quadro fatto di luce nitida e fredda, mettendo a fuoco ogni dettaglio, rivelando nei primi piani un accurato rispetto verso i tratti del protagonista in scena, fosse pure una mucca. La musica è filo conduttore nei silenzi in cui risuonano i campanacci di un alpeggio o nello strofinar la carta di una caramella che diventa metronomo tra le dita del protagonista, nelle movenze dettate dalle carezze di un massaggio con oli essenziali, nel librarsi di virtuoso di una pallina da tennis che l’obeso e decadente calciatore mancino palleggia con la grazia del Pibe de oro.
La musica dunque legata alla vita, al passato, a quel che verrà e all’amore, concetto tradotto in una breve frase detta da Ballinger alla figlia che rivela il senso d’ogni cosa “io capisco solo la musica. E sai perché la capisco? Perché la musica non ha bisogno delle parole, né dell’esperienza. La musica c’è….”. A farla breve essere toccati da questa delicata creatura è qualcosa che smuove dentro, si percepisce l’amore per la vita. Diciamo che il canovaccio narrativo è incentrato sui dettagli più che sulla spettacolare trama. Sorrentino ama questo suo ultimo figlio, gli vuole bene, lo veste con cura e lo presenta al meglio. Gli disegna addosso un’onirica visione, a tratti felliniana, perché questa “giovinezza” è da vivere in ogni nostra stagione.
E’ un film impeccabile ma non lezioso, perfetto ma non noioso, charmant ma non spocchioso. Unica figura “molesta” nella sceneggiatura è quella dell’emissario della Regina Elisabetta che inviterà Ballinger a dirigere un concerto a Buckingham Palace nonostante le ripetute risposte negative. Il concerto fungerà da snodo nel groviglio emotivo tra lui e la figlia e disegnerà un’onda perfetta risolutiva tra le due generazioni , entrambe segnate dall’incompiutezza.
Perché ogni vita prima o poi viene sfilacciata dalla memoria e qualcosa si disperde. Tutto è comprensivo di altisonanti armonie ad ogni passaggio del racconto, sempre in equilibrio tra la giovinezza e la morte dove futuro e passato si abbracciano sulle corde di una “ canzone semplice “.
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