Si è appena conclusa a Milano la manifestazione d’arte
fotografica MIA Fair, allestita nel nuovo complesso The Mall a Porta Nuova. La fiera,
seguita e sostenuta dal suo padre biologico Fabio Castelli, giunge alle porte
di Expo2015 nel suo 5° anniversario, aprendo le braccia a 145 artisti, ognuno
col suo stand e il suo catalogo.
Ci sono stata, l’ultimo giorno e in preda a una sola curiosità :
osservare dal vicino le foto pittoriche di Mauro Davoli. Mi incammino tra la folla
senza alcuna disciplina e mi imbatto in svariati mondi fotografici. L’impatto
visivo, nel mio percorso da osservatrice agnostica, mi porta a pensieri che non
scrivo per pudore verso gli artisti veri, sono all’interno della scatola del
mondo “cortese”.
Scavalcando il chiacchiericcio della folla, eccomi in dirittura
di arrivo allo stand 54 - corridoio A, dove le opere di Mauro Davoli si
palesano e col loro scintillio annientano il resto.
Mi avvicino e prendo atto della grandezza dell’artista, è seduto
e conversa con due persone, sua moglie poco più indietro. La semplicità delle
sue movenze, del linguaggio che appena percepisco poiché piacevolmente colpita
dalle immagini appese e dal contesto così “fuori contesto”, mi rammenta che ho
davanti QUEL fotografo legato al mondo dell’architettura, della pubblicità,
del design e dell’arte, insomma mi trovo innanzi a Sua Eminenza il Re
della fotografia pittorica di reminiscenza fiamminga.
Mi presento e, alla sua stretta di mano correlata da un sorriso
privo di tracotanza, capisco che ho di fronte una bella persona, scevra della
retorica dell’artista, ho di fronte a me un puro, un uomo semplice dagli occhi
limpidi ; sono nel luogo in cui risiede la bellezza.
Non essendo uno specialista del settore e neppure un critico
d’arte ho un vantaggio assoluto, tipico di chi elude la tecnica: so che se
qualcuno tocca la mia anima attraverso un’opera, un gesto, una frase mi è poi
difficile discostarmene. Le immagini appese, di accurata eleganza, dal nero
acceso e dalla luce cosi netta a definire alcuni tratti del fiore, del vaso o
del piano di lavoro scelto, si agganciano alla mia coscienza rilasciando stille
di incanto.
Capisco che ho poco tempo, che è un mondo tutto da scoprire quello del buio, dei ripiani, delle cose poggiate, dei fiori che appassiscono e degli insetti. Tutto contribuisce allo svolgersi della creazione, intanto che in fase d’opera si delinea il ritratto. Capisco che non ho conoscenza, che il mio approccio è di puro pathos, ma intuisco che lui offre una chiave di accesso, a chi vuole comprendere.
Capisco che ho poco tempo, che è un mondo tutto da scoprire quello del buio, dei ripiani, delle cose poggiate, dei fiori che appassiscono e degli insetti. Tutto contribuisce allo svolgersi della creazione, intanto che in fase d’opera si delinea il ritratto. Capisco che non ho conoscenza, che il mio approccio è di puro pathos, ma intuisco che lui offre una chiave di accesso, a chi vuole comprendere.
Mauro Davoli non ha vanità, è un poeta dell’immagine: rende
tutto più leggero. Pare che Franco Maria Ricci un giorno sia andato a trovarlo
nello studio e, intanto che Davoli lavorava sulle foto dei fiori, ispirandosi
ai quadri fiamminghi visti al Louvre, conquistato da tale bellezza, lo convinse
a dedicarsi a questa sorta di magia: il riprodurre qualcosa che con pochi raggi
di luce possa brillare nell’oscurità. Di lì a breve Davoli finì in copertina
sul numero 152 di FMR, la rivista d’arte che sembrerebbe tornare a
pubblicare a breve dopo anni di silenzio.
Resta in me la suggestione legata a un’opera precisa : il
ricordo del sottile gioco iridescente sulla pancia del vaso blu di cristallo,
l’unico vaso senza fiore, protagonista assoluto e circondato da una corolla di
petali bianchi; l’unico che rende il buio alle sue spalle uno sconfinato mondo
al quale accedere, dal quale proveniamo forse, una sorta di recondita armonia
definita dall’unico petalo di fiore bianco rimasto intatto sul bordo del vaso.
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