Éric
Cantona si racconta: "Non sono un pagliaccio da ridurre a
francobollo"
L'intervista. Dal campo
al set, ma sempre atipico, geniale e ribelle Il gesto da kung fu e un film in
slip. "Il calcio si era preso la mia vita ora recito per abbandonarmi ai
sensi"
dal
nostro inviato EMANUELA AUDISIO
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Eric Cantona SHANGHAI - PANTALONI rossi, camicia blu, giacchetta di camoscio,
coppola, barba dove spunta un po' di bianco. Voce strascicata. Éric Cantona ora
fa l'attore. Anche in ruoli pericolosi. Ma vent'anni fa era un attaccante di
Marsiglia in esilio in Inghilterra. In Francia nessuno sopportava più la sua
impulsività. Veramente da grandeur. Un pre-Zidane. Bravo, quattro titoli in
cinqueanni. Mitico, ma atipico. E indomabile. Contro il Crystal Palace gli
riuscì una mossa da cattivo, senza aver studiato la parte. Per il kung-fu non
gli servivano controfigure, né copione. Non doveva nemmeno recitare, aveva già
fatto tutto: picchiato un compagno nello spogliatoio, gettato la maglia a
terra, scagliato un pallone contro l'arbitro, aggredito un ct in diretta. Così
si lanciò contro un tifoso che lo insultava (pugno e entrata di piedi). Indagò
anche Scotland Yard. Risultato: 9 mesi di squalifica. E l'ammirazione eterna di
tutti i macho. Adesso a 49 anni cerca di aiutare la fondazione Laureus che si
occupa di bambini disagiati. La sua seconda moglie, Rachida Brakni, di origine
algerine, è attrice e regista. Cantona ha quattro figli. E due estati fa, a
ferragosto, era al cimitero di Ozieri, in Sardegna, sulla tomba del bisnonno.
Da dove si vede meglio la vita?
"Quando giochi non puoi. Ti manca la prospettiva, sei troppo drogato di adrenalina. Tutto è molto colorato. Il calcio si impossessa di te. Mentalmente e fisicamente. Io ho lasciato nel '97. Non ho guardato più partite, ho staccato, messo distanza. Ho solo sbirciato un po' il mio Manchester United e il Barcellona. Mi sono disintossicato, ho dovuto. E sì, mi sono anche depresso. È inevitabile. Ti manca un modo di esprimerti. Il tuo modo, fino a quando non ne trovi un altro".
La sua seconda vita è ricca: 28 tra film e documentari.
"Sì, ma ho studiato, mi sono messo in discussione. Mi sono chiesto: ce la posso fare? Merito della mia nuova moglie Rachida, che ho incontrato sul set nel 2002, che mi ha diretto e con cui lavoro. Lei mi ha destrutturato, ha svelato le mie fragilità, ognuno di noi ha dubbi e paure, dei mostri interni con cui fare i conti. Lei è il torero che svela qualità e difetti del toro".
Però la sua immagine più famosa è quell'entrata killer.
"Non m'interessa essere un pagliaccio in mani altrui. Farmi dire cosa è bene e cosa è cattivo. Non accetto morali, né finire catalogato. Io sono stato anche quel gesto, non lo sconfesso. Non c'è un Cantona cattivo e uno buono. C'è un Cantona che ha attraversato la vita, che ha fatto esperienza e che non vuole essere ridotto a un francobollo".
Passa per un rivoltoso.
"Non ho nessun problema a parlare contro le banche, contro il conformismo, contro l'omofobia, ma può essere un problema mondiale chi ti sposi? Sì parlo molto, se serve. Non mi piacciono le dittature. La mia famiglia viene dalla Spagna, da Martorell. Sono scappati in Francia dopo la disfatta repubblicana nella guerra civile Mio padre è sardo. Mi piacciono le contaminazioni, le radici diverse. Sono cresciuto guardando Cruyff. Avevo otto anni. Non l'ho mai dimenticato. Quello che ha fatto per il Barcellona è incredibile. Ha creato una scuola, una mentalità. Nel 2010 ho sentito parlare di Spagna mondiale. Ma va là, l'ha vinto la Catalogna, l'ossatura della nazionale era quella. L'anno scorso di Germania, vero, ma con dentro turchi e polacchi, ghanesi, albanesi, tunisini. Adoro questo frullato, perché non lascia indietro nessuno".
Lo sport che integra non è una favola.
"Ma a volte diventa troppo favolistico. Raymond Kopa, primo Pallone d'Oro francese, era polacco, veniva da una famiglia di minatori, doveva esserlo anche lui, ma con il pallone si è ribellato. Platini è di origine italiane, Luis Fernandez spagnole. Solo che hanno la pelle bianca e sono meno visibili. Questa cosa che in nazionale devi cantare l'inno mi fa arrabbiare. Più vieni da fuori e più devi alzare la voce. Per dimostrare cosa? Kopa non lo cantava, nemmeno Platini, tanto meno io. Il padre di Zidane è venuto in un barcone a lavorare in fabbrica dall'Algeria per mandare i soldi a casa, per sopravvivere. Siamo tutti francesi, con radici diverse, ma dover dimostrare il nostro attaccamento alla patria è mostruoso. In campo si vince e si perde insieme, non per le origini. È la strumentalizzazione politica, sono le fobie, l'uso della paura dell'altro che avvelena la nostra società. Un calciatore non potrà mai essere terrorista".
In Francia c'è polemica sul doping finanziario del Psg.
"Io non ne faccio. Sono soldi privati, dello sceicco del Qatar. Se iniziamo a chiedere i certificati di democrazia ai soldi chi si salva? Non gli Stati Uniti e la loro politica estera, ne vogliamo parlare? Si può solo discutere su come vengono impiegati. Il calcio inglese ha un'immagine strepitosa ovunque, ma ai mondiali va male dal '66. La globalizzazione è bella, ma se nei ruoli chiavi della squadra hai sempre e solo stranieri, poi in nazionale fai fatica".
Lei ha fatto fatica a denudarsi sul set?
"Eravamo in pochi. Il regista ha chiesto discrezione. Il film si chiamava "Gli incontri dopo mezzanotte". È andato anche a Cannes. Io avevo il ruolo dello stallone. L'ho detto: non voglio limitarmi, ma sperimentare, rischiare. I ruoli buoni, convenzionali non fanno per me".
Nel film dice di avere un tesoro nelle mutande.
"Sì, recito in slip. Parlo delle mie dimensioni. È un'opera d'arte. Non un porno, anche se l'hanno etichettato così. De Sade, Buñuel. L'atmosfera è quella. Certe forme d'amore sono molto espressive".
Béatrice Dalle che la frusta in una gabbia?
"Ripeto. È amore a due, a tre. C'è anche il figlio di Delon. Il porno è più banale. Qui trattasi di sublimazione artistica. E io ai sensi mi sono sempre abbandonato. Per questo ho detto che Pastore è meglio di Ronaldo e di Messi. Chiaro che loro sono fenomeni. Ma io nei passaggi che fa Pastore, per come è capace di uscire dalla difesa, di creare un corridoio, ci vedo arte pura".
"Ma a volte diventa troppo favolistico. Raymond Kopa, primo Pallone d'Oro francese, era polacco, veniva da una famiglia di minatori, doveva esserlo anche lui, ma con il pallone si è ribellato. Platini è di origine italiane, Luis Fernandez spagnole. Solo che hanno la pelle bianca e sono meno visibili. Questa cosa che in nazionale devi cantare l'inno mi fa arrabbiare. Più vieni da fuori e più devi alzare la voce. Per dimostrare cosa? Kopa non lo cantava, nemmeno Platini, tanto meno io. Il padre di Zidane è venuto in un barcone a lavorare in fabbrica dall'Algeria per mandare i soldi a casa, per sopravvivere. Siamo tutti francesi, con radici diverse, ma dover dimostrare il nostro attaccamento alla patria è mostruoso. In campo si vince e si perde insieme, non per le origini. È la strumentalizzazione politica, sono le fobie, l'uso della paura dell'altro che avvelena la nostra società. Un calciatore non potrà mai essere terrorista".
In Francia c'è polemica sul doping finanziario del Psg.
"Io non ne faccio. Sono soldi privati, dello sceicco del Qatar. Se iniziamo a chiedere i certificati di democrazia ai soldi chi si salva? Non gli Stati Uniti e la loro politica estera, ne vogliamo parlare? Si può solo discutere su come vengono impiegati. Il calcio inglese ha un'immagine strepitosa ovunque, ma ai mondiali va male dal '66. La globalizzazione è bella, ma se nei ruoli chiavi della squadra hai sempre e solo stranieri, poi in nazionale fai fatica".
Lei ha fatto fatica a denudarsi sul set?
"Eravamo in pochi. Il regista ha chiesto discrezione. Il film si chiamava "Gli incontri dopo mezzanotte". È andato anche a Cannes. Io avevo il ruolo dello stallone. L'ho detto: non voglio limitarmi, ma sperimentare, rischiare. I ruoli buoni, convenzionali non fanno per me".
Nel film dice di avere un tesoro nelle mutande.
"Sì, recito in slip. Parlo delle mie dimensioni. È un'opera d'arte. Non un porno, anche se l'hanno etichettato così. De Sade, Buñuel. L'atmosfera è quella. Certe forme d'amore sono molto espressive".
Béatrice Dalle che la frusta in una gabbia?
"Ripeto. È amore a due, a tre. C'è anche il figlio di Delon. Il porno è più banale. Qui trattasi di sublimazione artistica. E io ai sensi mi sono sempre abbandonato. Per questo ho detto che Pastore è meglio di Ronaldo e di Messi. Chiaro che loro sono fenomeni. Ma io nei passaggi che fa Pastore, per come è capace di uscire dalla difesa, di creare un corridoio, ci vedo arte pura".
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