Sette finestre, s'una grande parete beige: io fumo, ce le ho davanti perché sto fuori
affacciata, a mezzanotte e otto.
Questo appartamento unto non merita neanche di essere odiato: e poi puzza, di
qualche cosa che forse una volta era bello: una volta, forse, meritava di essere amato
oppure odiato.
Di là qualcuno, con l'accento forte del Brasile, sta parlando ancora e non è stanco.
Mentre disegno l’uvaspina dei ricordi, sulle rughe nere del divano che so guardare con
la memoria, alle mie spalle, faccio pari e patta con l' animale meccanico che è qui nella
mia pancia.
Placare la fame dei nervi significa convincere lo spirito che il suo appetito non esiste per
davvero. Ricordargli che il corpo ha già mangiato a sufficienza: e l'anima glielo spiega
con la pazienza perifrastica delle maestrine e la cortesia operosa dei garzoni.
Ma perché io prendo e dimentico? E perché salvo le carte, ma non tutte – mettendole
via - delle cioccolate che ingollo? Perché prendo e dimentico?
Domani butterò un paio di scarpe brutte. Scarpe brutte che ho comprato poco convinta
e che poi ho conservato. Inciamperò il terzo giorno, come un disattento Cristo scemo. E
i rimorsi verranno come Guardie Svizzere imbarazzate e in ritardo, le Guardie Svizzere
della Papessa dalle Scarpe Brutte. Ma fin lì non sarà certo un affare che mi riguarda: mi
alzo ancora, per ora. Questo conta.
Mi alzo per salvare la mia merda, il mio buongusto - ma non tutto - come le carte della
cioccolata.
Uno dei miei animali preferiti è il Pesce Pietra.
È velenosissimo e irregolare nelle forme e nel colore. Va avanti dritto per la sua strada e
non devi rompergli i coglioni.
E’ un capolavoro della natura, un angelo sterminatore del gran blu.
Lui non è cattivo. E’ semplicemente il Pesce Pietra. E il suo modo di abitare le profondità
marine è procedere lento, mimetico, risolvendo in maniera elementare l’inconveniente
numero uno nella vita d'un qualunque essere vivente: incappare in qualsiasi altro
essere vivente. Trak, lui sputa veleno. Così. Mica per cattiveria. Solo perché lui è il Pesce
Pietra.
Chissà se anche lui conserva qualcosa, magari in qualche tana, in qualche suo
misterioso rifugio, e in modo maniacale quel qualcosa lo accumula e immagazzina,
come faccio io, con le carte della cioccolata. Forse nasconde e custodisce i resti delle
sue vittime, quelle a cui sputa il veleno.
Lui ha i suoi piccoli pescetti, come io i miei
quadratini neri, a volte anche bianchi, o marrone più chiaro: è passione robotica
comunque, sangue invisibile, un istinto primordiale ch'è diventato proverbiale, oramai
soltanto ridicolo, decaduto com'è dai tomi d'Etologia all'angoletto "Curiosità" della
Settimana Enigmistica, dove anch'io del resto, ho potuto apprendere della sua
esistenza: l'esistenza del Pesce Pietra.
E quanta gente, in egual modo, legge le notizie sull'ingordigia patinata dei bulimici,
dentro i forum coi cuori neri e rosa, nelle rubriche dei giornali per animali col cuore
molle che vuole commuoversi.
Anche la mia ossessione è decaduta. Poi è deceduta, e sopra c'è la lapide: "curiosità da
rivista".
Sono certa che tra me e il Pesce Pietra la cosa sarebbe reciproca, ci sarebbe intesa.
Anche io gli piacerei. Forse mi grazierebbe, e non mi sputerebbe il suo veleno, se mi
incontrasse. E poi Lui, come me, detesterebbe questo appartamento unto: le tazze della
colazione, di chissà quante colazioni fa, che nessuno se ne cura, nessuno ha il coraggio
anche solo di toccarle o di esaminarle da vicino.
L'odore di Hashish sin dalla prima mattina ed il perfetto contrappunto sonoro: una voce
metallica da padrone di casa senza mai barba fatta, che rincara di Tavor, Depakin, con
tutti quegli effetti collaterali, dati dalla mescolanza e dall'esagerazione. Un'orchestra
costante di polvere e fumo, mostri in carne ed ossa, nei corridoi di questa casa. Una
cosa che inizia la mattina presto e la sera tardi fa fatica a chetarsi.
Scordo, prendo. Ma ora le mie dita scorrono, dentro al Dizionario Enciclopedico
Universale: l'ho adocchiato s'un mobilino cadente nell'anticamera del salone, mentre
stavo andando nella mia stanza, a scartare una cioccolata, forse la numero mille e
cento.
Ma da ora niente più tavolette fondenti o al latte o pralinate: ora è diventato il
giorno in cui salverò il Pesce Pietra, dallo scherno, ch'è peggio dell'oblio, che la giustizia
sommaria della "Settimana Enigmistica" gli aveva riservato. E questo Dizionario
Enciclopedico è un paracadute demodé e fatiscente, con cui mi sto per lanciare dentro
un cielo verticale di descrizioni sconosciute.
E scorro, piena di gioia nuova le pagine ingiallite, trovando anche più di quel che
speravo: c'è una sua bella foto grossa a colori, c'è una figura affascinante e minacciosa.
Ci sono tante informazioni interessanti sul conto del Pesce Pietra: un ordito che
intimidirà per sempre tutte le curiosità di tutte le settimane enigmistiche della storia.
Mi cerco un'altra casa, ho deciso. Ma finché sto qui, in questi giorni, mi guardo un po' di quelle
parole che non avevo mai
avuto il tempo, e la voglia, in questi anni, di sapere che cosa diavolo significassero.
Le immagini sono state scelte ed elaborate da Sara Rados
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