25/08/13

POST SCRIPTUM: L’Angiolieri secondo Domenico Coviello

A me mi garba la donna, la taverna e il dado. Anche ora, che son morto da settecento anni. Sennò non facevo il poeta. Mi dissero irriverente, dissacrante e antistilnovista.


Diobono…quei pallosi del dolce stil novo. Col Dante si fece amicizia. Poi si ruppe. Ma come si fa, io dico (e ancora mi ci sbattezzo), a scrivere e cantare di donna angelicata, Beatrice e il Paradiso, bellezza interiore e sogni di sublimazione. Ma allora ‘un s’è capito nulla!
 
Le donne son come la mi’ moglie, pettegola, gelosa e invidiosa. O come la mia amante, la Becchina, meschinella. Ma quando mi gettava addosso le sue occhiate fiammeggianti perdevo il lume della ragione, l’afferravo e la sdraiavo. E qui mi fermo. Dicevo…sì, ecco…insomma ciò che mi sarebbe garbato essere in realtà, se Iddio avesse voluto, era diventare come il fuoco. Tant’è che quella poesia vi garba anche a voi ancora oggi.

E quindi lo ripeto, o posteri bischeracci!: s’i’ fosse foco arderei’ il ondo /  s’i’ fosse vento lo tempestarei / s’i’ fosse acqua i’ l’annegherei… / s’i’ fosse ‘mperator sa’ che farei? A tutti mozzerei lo capo a tondo.  Ma soprattutto si fosse Cecco com'i' sono e fui / torrei le donne giovani e leggiadre / le zoppe e vecchie lasserei altrui.
E seunn’è  politicali corretto, pazienza. E son Cecco io!









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