"Di un sentimento diviso tra vanità delle nostre azioni, nostalgia
per ciò che è stato (che da umani abbiamo amato) e non è più, e - forse - qualche bagliore di futuro,
come sempre non ancora
riconoscibile nel momento in cui avviene, di queste atmosfere è
fatta la mostra".
Così conclude il suo intervento Fabio Cavallucci, il direttore, nel presentare "La fine del mondo", la mostra che dopo 3 anni di chiusura totale e 6 di lavori in corso, restituisce a Prato e non solo il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci.
Se la forma è anche sostanza il nuovo Museo, che così evidentemente ricorda un'enorme navicella spaziale, si è attrezzato per affrontare, magari fuggendo, le "catastrofi" che verranno e che certo ci suggerisce "lo stato di incertezza, la condizione di sospensione, l’incapacità
di comprendere i grandi cambiamenti presenti, che ci fa pensare che una situazione che
abbiamo conosciuto finora sia ormai giunta al termine".
Lo scetticismo che, chi più chi meno, si è annidato in noi mentre vedevamo ogni tanto lo stato dei lavori durante questi lunghi 3 anni ha lasciato il posto a uno stato euforico generato dalla sicura efficacia anche di messaggio che il progetto di Maurice Nio contiene.
Quella "Fine del mondo" perfettamente rappresentata dal devastante, e scenografico, impatto "frontale" (head on) dei 99 lupi del cinese Cai Guo-Qiang in corsa forsennata, sembra in vitale contrasto con la bella curiosità che ha spinto i moltissimi visitatori a mettersi in paziente, e lunghissima, coda per entrare nell'astronave domenica scorsa in occasione dell'inaugurazione.
Sessantanove artisti, un centinaio di opere esposte, un fittissimo calendario di attività didattiche per interessati di ogni età, tantissimi eventi collegati alle numerose mostre sparse per il territorio toscano, un orario di apertura dalle 11 alle 23. Insomma un rilancio alla grande.
La "Fine del mondo" si sviluppa circolarmente ed è un continuo lasciarsi sorprendere, non nego che per qualcuno sarà un lasciarsi perplimere, ma lo sappiamo quanto ostica possa essere l'arte contemporanea per il pubblico meno avvezzo. Certo mi pare che intorno al contemporaneo dalle nostre parti, ultimamente, si stia sviluppando una salutare e nuova curiosità e lo dimostrano anche solo le feroci polemiche che hanno attraversato ed attraversano le mostre fiorentine di Fabre e di Ai Weiwei.
Sono così tante le opere che scandiscono la "Fine del mondo" che non posso che segnalare adesso solo alcune delle più monumentali: dai crolli ("Break Throughh") inquietanti e severi dello svizzero Thomas Hirschhorn
all'installazione calpestabile "De
cómo la tierra se quiere parecer al cielo" del cubano Carlos Garaicoa,
Fino al 19 marzo 2017, dal martedì alla domenica, dalle 11,00 alle 23. WWW.CENTROPECCI.IT
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