SANDRO I JERSEY BOYS E CLINT di Gianni Caverni
SANDRO
Sandro era il più bello, capelli biondi lisci, occhi azzurri, alto. Si era a cavallo fra i '50 e i '60.
Sandro era il più bravo, giocava bene a pallacanestro (come si diceva allora), a calcio (ma ci giocava poco), correva più forte di tutti noi, in piscina lo presero subito nella squadra perché andava forte a stile libero, a rana, a dorso, e imparò subito a nuotare a farfalla.
Sandro non era il più bravo a scuola, anzi. Ma d'altronde io dovrei proprio stare zitto su questo argomento.
Sandro è del '46 e per un po' di tempo ho pensato che era meglio essere nati nel '46 piuttosto che nel '47 come me.
Forse ero più alto io ma mi sembrava più alto lui.
A ripensarci ora (ma quanti anni è che non ci ho più pensato?!) Sandro era anche un po' coglione, in svariati campi, ma allora era tanto, troppo meglio di me; e poi un po' coglione in fondo lo ero anche io.
Jasper Johns - Flag
Lui aveva il mito dell'America: tutto ciò che era americano era bello e giusto, e tutto ciò che era bello e giusto non poteva essere che americano. Arrivavano allora i primi jeans, Dogies, Lee, Wrangler e i Levi's che allora si chiamavano (anche ora credo ma non lo si dice più da secoli) Levi's Strauss. Ma quelli che ci piacevano di più erano i Lee che nelle tasche di dietro avevano la cucitura decorativa ad onda. Poi c'erano i Rifle che non erano male ma ci si immaginò da subito che erano italiani e quindi di serie B. Ma se ne dovevano importare ancora pochi se capitava spesso che dopo la prima lavata diventavano mestamente di una tonalità marronicchia che faceva schifo: erano quelli non originali (oggi si direbbe taroccati), insomma non erano americani.
Non ho mai visto Sandro con indosso dei jeans che non fossero quelli originali: io per esempio dopo alcune fregature andavo a comprarli ai barroccini di San Lorenzo munito di un fazzoletto bianco di stoffa, nel segreto del "camerino di prova" che era fatto da tende di stoffa militare, estraevo guardingo il fazzoletto, lo umettavo abbondantemente di saliva e lo strusciavo vigorosamente sulla stoffa: se il fazzoletto si tingeva di quel bell'azzurro tipico dei jeans i pantaloni erano originali e si potevano comprare.
Sandro aveva un'eleganza innata fatta di dinoccolatezza e naturalità, qualsiasi cosa si mettesse addosso sembrava un capo di sartoria, sartoria americana of course. Mi resi conto abbastanza presto che sua madre aveva capito il trucco e gli comprava cose anche normali e gliele dava dicendogli che le aveva trovate in un negozio che aveva solo cose che venivano dall'America e lui era contento.
Eravamo amici ma non proprio amici amici, un po' perché averlo come amico era un po' pesante che le ragazzine guardavano solo lui, e poi perché se ne stava anche bene per conto suo fra i suoi sport e i suoi vestiti americani.
Poi ci siamo persi di vista, sapevo che lavorava come commesso (ma credo infine come direttore) nel più noto, allora, negozio di scarpe di Firenze e ricordo di aver pensato che il suo fascino non si doveva essere intaccato se sua madre, allora amica di famiglia, raccontò una volta che diverse signore, clienti del negozio, aspettavano per farsi servire proprio da lui che non poteva non osservare mentre era in ginocchio per agevolare la prova che pur indossando le gonne le ricche dame si scordavano spesso di indossare le mutandine.
Una volta Sandro che, inutile a dirsi, aveva un certo successo con le turiste, ovviamente americane, mi disse che una di loro, una volta rientrata negli USA gli aveva spedito in dono un disco a 45 giri che là aveva molto successo e che "qua non si trova", naturalmente.
Era un pezzo delizioso, era Sherry, dei Four Seasons.
JERSEY BOYS
Tutto questo per spiegare perché scrivo una recensione dell'ultimo film di Clint Eastwood senza averlo visto (fenomeno questo non poi così raro che tutto non si può sempre vedere e che gli uffici stampa forniscono così tanti materiali che ci si può cavare alla grande). Si intitola "Jersey Boys", è tratto dall'omonimo musical di Marshall Brickman e Rick Elice e sceneggiato da John Logan che nel 2006 ha vinto al Tony Award, l'oscar del teatro.
"Scordiamoci, insomma, la grandiosità di “Bird”, primo biopic musicale di Eastwood, che diresse nel 1988, e che gli offriva però un materiale molto più forte. “Jersey Boys” è un incanto totale per ricostruzione, numeri musicali e recitazione, un po’ meno come sviluppo narrativo" scrive Marco Giusti su Dagospia. Ma il suo pezzo per la velenosa web-rivista di Roberto D' Agostino inizia così: "Chi è cresciuto tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 con “Sherry”, “Cry For Me”, “Big Girls Dont’t Cry”, “What a Night”, con la voce in falsetto di Frankie Valli e i coretti dei Four Seasons, non può non commuoversi davanti a “Jersey Boys”, diretto e prodotto da Clint Eastwood alla tenera età di 83 anni". Ecco, che vuoi cercare motivi oggettivi, che ti metti a fare a cercare il pelo nell'uovo o il pagliaio intorno all'ago: ci sei cresciuto in quegli anni? Si? Goditi il film. Non ci sei cresciuto? Peggio per te ma guarda il film e impara qualcosa dei tuoi genitori (o nonni).
"Noo, ma anche questa?!" diceva sorpresa un'interprete del film (non ricordo chi) man mano che sentiva le canzoni dei Four Seasons, ecco questa sarà una vera sorpresa per chi non è cresciuto in quegli anni.
La storia è quella vera di Frankie Valli (interpretato da John Lloyd Young) e di Bob Gaudio (Erich Berger), Nick Massi (Michael Lomenda) e Tommy DeVito (Vincent Piazza, l'unico che non è lo stesso interprete del musical), i Four Seasons, con tanto di serio disagio dei giovani italoamericani di strada e border line con la criminalità, con tanto di padrini mafiosi (il grande Cristopher Walken), di liti, violenze, stronzate e tutto il brodo di cultura dei giovani in bilico di quegli anni (e non solo di quelli).
CLINT
Clint è Clint: "Tiva al cuove Vamon, casca in tevva e si vivizza", così raccontava la scena clou di "Per un pugno di dollari" un amico fornito di comica evve moscia alla ragazzina che poi diventerà la mia prima moglie.
Clint, sì quello che in un aneddoto abusato riceve questo complimento da Sergio Leone: Mi piace Clint Eastwood perché è un attore che ha solo due espressioni: una con il cappello e una senza cappello. Quello che ha fatto "Bird", "Million dollar Baby", "Al centro del mirino", "Gli spietati", "Mystic River", "Gran Torino" e tanti altri film.
Per quanto mi riguarda gli perdono molto volentieri la chiacchierata a Tampa con la sedia vuota di Obama per appoggiare la candidatura alla Casa Bianca di Mitt Romney. E poi è un libertario, è a favore della concessione di tutti i diritti compreso quello del matrimonio ai gay.
E' Clint, e lui sa bene come tivave al cuove!
Ciao, ho trovato il tuo post cercando "jeans dogies".
RispondiEliminaEra la marca di jeans che ho comprato da adolescente (sono del '60) nei negozietti di roba usata militare e americana che c'erano allora nel quartiere del porto della mia città, Cagliari. Erano simili al Levi's ma di un denim più leggero e un prezzo ancora più leggero. Quanto mi piacerebbe rivederli o saperne di più! Ho cercato sul web in lungo e in largo ma ho trovato solo la tua pagina. Tu ne hai più avuto notizia? Grazie comunque per il tuo accenno.
Massimo