04/03/15

VENIRE ALLA LUCE di Miss Holmes


Dicevamo pochi giorni fa dei vantaggi indiscutibili dello spegnere la luce.
A letto, s’intende.
Ma non bisogna dimenticare quanto eccitante possa essere invece accenderla, se si è abituati a nascondersi nel buio per pudore o timidezza.
So per certo che molte signore ancora preferiscono una più o meno blanda oscurità per le loro performance amatorie: sarà una tradizione, sarà riservatezza, sarà che qualcuna non è sicura dell’avvenenza delle proprie forme. Ma ve lo devo dire: ogni tanto sì, ma sempre al buio proprio non si può fare.


E allora clic! Accendete il lampadario, aprite le persiane, lasciate che la luce inondi l’alcova e sveli dettagli eccitanti permettendovi di osservare i corpi che si avvicinano, si toccano, si fondono e si amano.
La luce violenta di certi pomeriggi estivi al Sud, raggi di sole che entrano dalle finestre e investono caldi lenzuola, divani, tavoli di cucina, pavimenti, disegnando nel loro impetuoso calore i confini del luogo deputato all’amore, fosse solo per quella volta.


La luce rosata di una vecchia abat jour, che con grazia illumina solo una parte del letto, consentendo alla timidezza un rifugio a portata di mano.
La luce di un lampadario di cristallo, di quelli che si trovano nei saloni da ballo dei film, per andare a caccia di arcobaleni sulla pelle dell’amato.
Quella di una o di tante candele, che allungano le ombre e ridisegnano i corpi.


Ma anche quella penombra gentile, che si può creare aprendo solo un po’ gli scuri o appoggiando con garbo un vecchio foulard rosso sulla lampada accesa, che fa grazia a tutti, uomini e donne, di certi difettucci di cui si farebbe a meno volentieri, che però crucciano più noi che li portiamo che non l’amante che li ignorerà.


La luce apre il cammino alla vista e a letto guardare è importante. Vedrete il vostro corpo e quello di chi è accanto a voi. Vedrete linee morbide, vedrete la pelle che si fa più liscia, vedrete labbra che si aprono, capezzoli che si induriscono, sessi che si gonfiano: vedrete i corpi prepararsi al piacere e nel migliore dei casi a condividere il godimento. Vedrete dita che si intrecciano, bacini che si accostano, gambe che si avvolgono.
Poi, spero per voi, non vedrete più niente e non potrete fare a meno di concentrarvi su altro: ma fin qui ci sarete arrivati con gli occhi pieni della cosa più bella, almeno in quel momento.



Se incidentalmente poi fate sesso con una persona che amate e che vi ama, guardatele gli occhi e lasciate che guardi i vostri: ci sono sguardi che sono come fontane, vi rovesciano addosso desiderio e amore come acqua fresca nella canicola agostana. E niente di più si può chiedere al sesso, che quello sguardo e quel piacere che senza la luce proprio non si vedono. 

3 commenti:

  1. Sante parole. (Anche io lascio un chiarore quando vado su youporn)

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  2. Non sono d'accordo . Il linguaggio del corpo, ovvero comunicare senza parole tra persone, è il primo vocabolario amoroso . In esso confluiscono i cinque sensi e di questi, nell'amore , la vista è il meno fruibile . Eccitante assoluto per il cervello maschile la vista è marginale per il cervello femminile. L'amore si fa a occhi chiusi, si sa. Ci si bacia a occhi chiusi e i sensi dominanti nell'amore sessuale sono il tatto, il gusto, l'odorato. Quando il cervello perde lucidità la vista si annebbia e della luce ci si dimentica in quanto la messa a fuoco è l'ultimo dei nostri pensieri. La messa a fuoco è razionale, il sesso amoroso ricco di pathos è cieco. Il bisogno di luce credo sia necessario soprattutto per chi desidera un forte incentivo erotico d'avviamento,quando non sai a che agganciarti allora ( caro maschio ) la butti sul “voglio vedere “, luce piena su ammennicoli artificiosi in grado di regalare una performance di burlesque casereccio. Alcuni si eccitano vedendo film porno, altri immaginando altri volti, altri corpi... ah no, l’immaginario rientra nella fase cecità. Mi domando quindi, leggendo questo “illuminante” articolo, cosa accade quando un non vedente “viene” alla luce ( altrui )
    ^_^
    Maria Antonietta Serra

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