31/03/14

QUANDO C'ERA BERLINGUER di Gianni Caverni

Noi si gridava "Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung!" Loro "Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer!" E un po' me ne vergogno, chè noi s'era rivoluzionari e loro riformisti.

 

Il film (docufilm non ce la faccio proprio) di Walter Veltroni su Enrico Berlinguer va visto, va visto per un monte di motivi: e il primo è per vedere chi viene al cinema a vederlo. Chi si aspetta che l'età media degli spettatori sia piuttosto alta non ha sbagliato di molto, certo ci sono piacevoli eccezioni, ma in linea di massima ci sono tanti capini bianchi in coda per entrare. Eravamo lì, all'Astra 2, a Firenze, dalle 21 e 45 di domenica 29 marzo perché allo spettacolo delle 22,30 c'era Veltroni che presentava il film e i posti, nel cinema di Piazza Beccaria, non sono numerati e chi arrivava prima prendeva i posti migliori.

 

Ora mi viene anche in mente che noi si faceva anche Bee bee Berlinguer alle manifestazioni, e alle nostre riunioni nelle sedi puzzolenti di fumo il Compromesso storico era una parolaccia.

 

 

Un altro motivo per andarlo a vedere, il film, è per gustarsi lo sconcerto che ci procura sentire ragazzi delle scuole superiori o dell'università non saper rispondere alla domanda di chi fosse Berlinguer: un cantante, un mafioso, un dittatore, uno di destra estrema? E insomma noi che non capiamo bene (per niente) cosa sia un virus che ci massacra il pc se non altro chi sia stato Berlinguer lo sappiamo bene.

 

Poi anche perché fa piacere rivedere Pasolini che si aggira fra le dune di una spiaggia.

 

Poi anche perché è una festa dell'anima (ammettiamolo) vederlo sorridere quando risponde ad un giornalista che gli chiede cos'è che dicono di lui che gli fa più male e lui risponde "che sono triste, perché non è vero".

 

Perché ci sono le scene dei funerali, scene impressionanti, con una folla pazzesca, le lacrime della gente comune e dei militanti. E quel giovane a torso nudo aggrappato all'inferriata di una finestra per vedere meglio e far vedere meglio al feretro il suo convinto pugno chiuso. E le immagini delle riunioni dei registi con Lizzani, Citto Maselli, Rosi fra gli altri per preparare le riprese dei funerali.

 

Ma il motivo principale secondo me è che molto si sta a seguire la morte di Berlinguer, il suo discorso a Padova, faticoso, estenuato, con lo sguardo preoccupato di chi gli sta attorno sul palco, e si sentono le voci preoccupate che gli urlano "Basta basta" di chi era in grado di vedere e capire che si stava consumando un dramma non solo umano ma politico, non stava morendo un uomo soltanto, stava morendo un paese, o almeno un tipo di paese, un sentire comune, una civiltà. A chi seduto accanto a me che mi chiedeva se moriva sul palco ho risposto di sì, perché me lo ricordavo proprio bene nella mia tv in bianco e nero che Berlinguer si accasciava mentre parlava al microfono. E invece no. Eppure ci avrei giurato, me lo ricordavo come fosse ora! Veltroni ha detto che la morte di Berlinguer è stato l'undici settembre della sinistra e ognuno di noi non si è mai dimenticato dov'era l'undici settembre. Non so che pensare, che devo aver fatto della mia memoria per ricordarmi la sua morte in diretta? Che deve aver fatto questo paese per arrivare a far dire oggi a dei ragazzi innocenti che Berlinguer era un cantante, un mafioso, un dittatore, uno di destra estrema?

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