25/07/13

TUTTE PAZZE PER ZOMBIE di Gaia Rau



C’è stato un momento in cui il lunedì ha smesso di essere il più crudele dei giorni. E’ stato il momento in cui The Walking Dead è entrata nella mia vita. Da allora, il mio lunedì sera si svolge secondo un rituale predefinito, e inattaccabile: pizza da asporto, morettone da 66, e zombie. Già, perché The Walking Dead è una serie sugli zombie. Anzi, LA serie sugli zombie. E’ americana (la produce la AMC), l’ha partorita un regista come Frank Darabont (quello de “Il miglio verde” o “Le ali della libertà”), anche se poi ci sono stati vari avvicendamenti alla sceneggiatura e alla produzione, ed è tratta da un’omonima serie a fumetti, scritta da Robert Kirkman, che per i nerd di tutto il mondo è una specie di divinità. Come avrete già capito gli episodi escono (anzi uscivano, visto che la terza stagione è finita e la quarta inizierà solo a ottobre, sigh) il lunedì sera: o meglio, la domenica sera negli States e l’indomani in Italia, su Sky. Noi che Sky non ce l’abbiamo, e che comunque guardare i telefilm non doppiati fa più figo, aspettiamo il lunedì per guardare la versione originale sottotitolata (perché fighi sì, anglofoni mica tanto) in streaming, sul pc, in religiosa osservanza del rituale di cui sopra. 

Il bello è che chi scrive non può assolutamente definirsi una cultrice della materia “zombie”. Generalizzando, ma non troppo, potrei dire che sono una di quelle ragazze cresciute a pane e Sex and the City, che come sento pronunciare la parola “fantascienza” avverto la palpebra in caduta libera e che, fino a non troppo tempo fa, credevo che “Romero” fosse una marca di calzature spagnola (ok, crocifiggetemi pure, adesso). Poi, è successo che è quello che all’epoca era il mio compagno, e che oggi è mio marito (sarà per questo che l’ho sposato?) ha insistito così tanto, ma talmente tanto, che mi son detta “massì, dai, vediamo cosa hanno di tanto speciale questi morti camminanti”, più che altro con l’intenzione di rinfacciarglielo ogni volta che, in futuro, si fosse rifiutato di accompagnarmi al cinema a vedere l’ultimo Almodòvar o l’ennesimo lacrimevole drammone in costume. Ed è così che gli zombie sono entrati a far parte della mia vita. E non ne sono più usciti. 

C’è da dire che la stessa cosa è successa in contemporanea a un’infinità di amiche e colleghe. Roba che il martedì, su Facebook e davanti alla macchinetta del caffè, è diventato tutto un “ma dai, non posso crederci che Shane sia TORNATO”, “ma secondo te Sofia la ritrovano?” e anche un po’ “mmmmh, sexy però quel Governatore, se solo non fosse così crudele”. Sarà che The Walking Dead, a parte che è girato benissimo, che ha una fotografia splendida, una colonna sonora da urlo, e degli attori fighissimi, è strutturato come un vero romanzo popolare. Ci sono i buoni buoni (gli sfigati), i buoni (i paladini della giustizia, che però ogni tanto si incazzano), i combattuti, i cattivi che lo sono diventati perché non avevano scelta, i cattivi e basta. E poi ci sono gli zombie che sono, sì, fastidiosetti, ma sono soprattutto una cornice, un elemento di disturbo, un fattore x che è subentrato a un certo punto, ha falcidiato la popolazione mondiale e ha lasciato un piccolo gruppetto di umani a domandarsi “E ora?”.  E in questo gruppetto ci sono quelli che dicono “Ok, basta con le smancerie, l’unico modo per sopravvivere è farci venire gli attributi e applicare la legge del più forte” e quelli che invece dicono “Umani siamo, umani resteremo, la democrazia prima di tutto” e fanno di tutto per salvaguardare morale e sentimenti (e questo fa molto americano ma, non so come dire, loro lo fanno sembrare DAVVERO credibile).

Ma la cosa bella è che ci sono anche tutte quelle dinamiche che non è che siccome sei a rischio costante di essere sbranato vivo diventano meno importanti: ci sono amori, tradimenti, scazzi genitori/figli, amicizie rovinate, donne incinte e persino coppie che decidono di scambiarsi gli anelli di fidanzamento (dopo averli recuperati in maniera, ehm, non proprio ortodossa). Ci sono storie che fanno piangere, anzi singhiozzare, come quella di Sofia (che non ve la racconto, altrimenti che gusto c’è?). E ci sono dei personaggi fantastici come Shane, che è un maledetto vero, Michonne, che gira con la katana e un paio di amichetti al guinzaglio, o Daryl che.....eeeeeeeeeeeeh (sospiro). Ah, poi sì, c’è anche una buona dose di splatter, ma è un dettaglio, giuro. 

Devo confessare che, ingenuamente, ho provato a ripetere l’esperimento con altri prodotti della sottocultura zombie, fino al punto di farmi trascinare al cinema a vedere il terribile World War Z (in sala noi due, e un esercito di adolescenti). Niente da fare, l’alchimia funziona solo con The Walking Dead. Per il resto, gli zombie sono e rimangono una serie di mostri stupidi, puzzolenti, rantolanti e decisamente poco interessanti.

 



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