14/07/13


La “vera carne” del Canova nella casa di Michelangelo


Leopoldina Esterhazy Lichtenstein non aveva la costellazione di nei di Bruno Vespa né le pustole di un tardivo morbillo: quei puntini neri che coprono il suo ritratto in gesso sono i “punti di trasporto” necessari per la realizzazione di un marmo identico. E’ uno dei 4 gessi provenienti, come i 40 disegni e le 9 incisioni, dal Museo Civico di Bassano del Grappa e che compongono una preziosa, piccola mostra, negli spazi del piano terra del museo di Casa Buonarroti (www.casabuonarroti.it), dedicata a “Antonio Canova – La bellezza e la memoria”. Canova e tutto il neoclassicismo non hanno mai goduto di troppa ammirazione da queste parti, forse perché il Rinascimento, che ha plasmato anche troppo il gusto dei fiorentini, se si rifaceva alla cultura classica certamente ha sempre avuto in grande considerazione il realismo. Ma l’autore di Amore e Psiche ha spesso cercato la bellezza ideale nel corpo femminile come dimostra la Venere Italica il cui straordinario gesso, che bene mostra comunque la capacità dell’autore di tradurre la scultura classica in un immagine “di vera carne”, è esposto nella prima sala della mostra. Non così però nel ritratto di Leopoldina Esterhazy Lichtenstein, ultimo dei quattro ritratti a grandezza naturale di figure femminili sedute, che allo scultore fu commissionato da Nicola II Esterhazy, ricchissimo magnate ungherese che volle una buona somiglianza al soggetto. Un modello in gesso e tutta una serie di disegni e bozzetti preparatori rimanda al non lontano monumento funebre di Vittorio Alfieri che il Canova realizzò per la Basilica di Santa Croce.

 
Testa di Leopoldina Estherhasy Lichtenstein 


Venere Italica

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