13/04/16

SA DI POCHINO L'UNIVERSALE

Una sorta di "La meglio gioventù" di San Frediano, di Firenze. Io proprio non riesco a immaginare che effetto possa fare vedere "L'Universale" a Altopascio, figurarsi a Busto Arsizio. 

Ho l'impressione che sia un film irrimediabilmente fiorentino non solo per la storia ma anche per il suo bacino d'utenza ("Macchè bacini e bacini, buttagnene 'n culo!" mi griderebbe qualcuno fra gli applausi e le risate del pubblico).

Il mito, la leggenda: abburracciugagnene, la vespa, il fumo, il tifo da curva fiesole nei film politici e nelle prese di giro della cassiera, la musica, le rane tirate fra il pubblico e via e via. 
"Io non ero nata eppure abburracciugagnene lo conoscevo" mi dice e allora mi sforzo di sembrare intelligente e uomo di mondo e butto là che l'Universale era un luogo vero, era in San Frediano, che ci si andava anche per vedere chi c'era (e io c'ero di molto spesso): "ora si esce meno di casa e l'Universale al massimo è Face Book" sentenzio. 

Ma magari invece di casa si esce di più e son solo io che mi fa fatica. Fra anteprime per la stampa e l'anteprima del 12 aprile al Teatro Verdi non vorrei che il pubblico potenziale de "L'Universale" si fosse già esaurito.

Occhei la meglio gioventù di noialtri, occhei il copiavirzì e il copiabertoluccigiuseppe, occhei la nostalgia che non ci si sputa sopra, ma il film è davvero pochino. Eppure Francesco Turbanti ( Tommaso, classe '88, interprete già de "I primi della lista") è bravo, come bravi sono Matilda Luz (Alice), l'attrice italo americana del '92 protagonista dell'ultimo film di Muccinogabriele, e Robin Mugnaini (Marcello), classe 87, che ha lavorato con Virzì in "Tutti i santi giorni". 

Eccoli i nostri Jules e Jim (e Catherine) ai quali sono state cucite addosso storie per dare "spessore" narrativo alla sceneggiatura, che corrono e giocano di film ai giardini mentre diventano adulti. 

Uno, Tommaso, si incarica di fare l'ingenuo, l'osservatore più che il protagonista, cinico il giusto ma innamorato, il più equilibrato. Lei, Alice, percorre la strada della comune, dell'amore libero, con l'inevitabile esperienza della droga, del tentativo di disintossicarsi e il tragicamente vero, eppure qui suona un po' banalotto, capolinea della morte per overdose. Marcello che doveva fare in quegli anni se non la lotta armata? Insomma non manca nulla! Ma ha il sapore più di un campionario che di un racconto ispirato.

Ottime le prove attoriali di Claudio Bigagli, Paolo Hendel, Vauro Senesi, Anna Meacci. 

Merita di essere sottolineata l'interpretazione di un Maurizio Lombardi, primo re della battuta dalle poltroncine di legno dell'Universale, e padre di Alice: attore sempre più sicuro, convincente e maturo.

La Bandabardò musica il tutto con efficace personalità. 
E allora? Dove hanno sbagliato Franco Micali, il regista, e gli altri autori della sceneggiatura Cosimo Calamini e Heidrun Schledf (Palma d'oro a Cannes con Moretti)? 
Forse l'errore è che un mito, meglio una intera mitologia, una leggenda li si può raccontare solo se si resta nel vago, se si alimenta ancora di più la stessa mitologia, magari se si usa il "sentito dire" e non se si fa una cronologia. 

Quando leggo che i fatti narrati nella pellicola "incarnano i sogni, le illusioni e le sconfitte di una generazione" ho un subitaneo moto di rifiuto, come quando mi viene proposto di bere un bicchiere di vino "genuino, che qui c'è solo uva e nessuna porcheria". Insomma bevitelo te il vino "Genuino"! Il film però va visto, fosse solo per poterne parlare, a ragion veduta, come di una delusione.
Da oggi allo Stensen, in viale Don Minzoni 25, e allo Spazio Alfieri, via dell'Ulivo 8.

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