29/12/15

SIENI E LA COMMEDIA

Non c'è niente da fare, né stasera, né domani potrete probabilmente entrare nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio per vedere "Divina Commedia_Ballo 1265", a meno che non abbiate già prenotato il vostro posto. Peccato perché è uno spettacolo bellissimo, ideato e coreografato da Virgilio Sieni e voluto dal Comune di Firenze e dal Ministero dei Beni Culturali, che non sarebbe proprio il caso di perdersi. Per fortuna c'è mamma RAI che con uno straordinario impegno di mezzi e cameramen ha filmato tutto. Lo presenterà il 30 dicembre alle 21,15 su RAI 5 e in replica il 1° gennaio alle 15, 50 e il 2 gennaio alle 7,25.
Giusto più o meno in 500 eravamo lunedì 28, ieri: poco meno di 350 spettatori disposti sulle sedie che incorniciavano il gigantesco pavimento o, dietro, in piedi, e poco più di 150 fra ballerini professionisti e donne, uomini, bambini, cittadini di Firenze, che hanno da tempo provato il monumentale ballo nello spazio altrettanto gigantesco del Tepidario Roster del Giardino dell'Orticoltura.

Poche parole per sintetizzare il ciclopico lavoro coordinato e pensato da Sieni, ormai un'autorità internazionale nel campo della danza contemporanea, che vive, lavora a Firenze dando così lustro alla nostra città: uno spettacolo intenso, emozionante, coinvolgente, bellissimo.

E' come sempre l'Inferno la parte della Commedia dell'Alighieri a suggerire maggiore patos e magnifica è la dissennata bolgia di corpi che si spostano da una parte all'altra del Salone bene rappresentando la condanna delle anime perdute ad un agire senza senso e senza speranza in una continua irrisolta ricerca di un contatto fisico incapace di relazioni vere e tantomeno rassicuranti.
Il Purgatorio vive del tentativo, il più delle volte abortito ma non poi del tutto inutile, di costruire simulacri di case primordiali attraverso lunghe canne, teli industriali o di cellofan, scatole di plastica, borse, coperte, cartoni, nelle quali collaborare e ritrovarsi principiando a dare un senso al proprio dolore, alla propria estraneità e diversità. Qui ci sembra possano trovare in una evidente metafora le poche speranze possibili, guardando al mondo contemporaneo, dei reietti, degli abbandonati, degli sradicati, degli odiati.

Il Paradiso è raggiungimento di un ordine, di una simmetria, di una graduale uscita dal caos, dell'affermarsi operativo di un disegno superiore che trasforma le anime in singole unità inserite in un amalgama decisamente sensato, in onde progressive nelle quali ognuno trova posto e pace.
Inutile negare che è l'Inferno la parte del lavoro di Sieni e dei 150 ballerini più riuscita, e non è certo colpa loro: anche il giullare d'Italia, Benigni, è risultato più a suo agio con le anime dannate.
Ci piace sottolineare il grande valore artistico, morale e democratico del lavoro di Virgilio Sieni e della sua Accademia sull'Arte del Gesto che ci ha abituato a splendide presenze di persone comuni che il coreografo e maestro sa sempre appassionare. Mi piace qui sottolineare l'ottima presenza di un grave disabile motorio che come anima in pena cerca di seguire a quattro zampe sul pavimento gli andamenti degli altri portando, soprattutto nell'Inferno, un plusvalore di sofferenza, e la splendida dignità di una signora non vedente, coraggiosa nell'affidarsi senza paura alla guida solerte eppure celata il più possibile e discreta di una delle ballerine professioniste.
Insomma viva la RAI per chi non possa assistere di persona all'evento.

28/12/15

TUTTI I CONCERTI DEL 31

Io, se non faccio qualcos'altro, lo so che farò la notte del 31.

Prima andrò in Piazza Pitti che alle 20,30 dovrebbe cominciare Francesco Ricci, giovane cantautore fiorentino, già voce degli Interno 32, che presenterà tre brani inediti di matrice pop/rock.
Con lui sul palco una formazione acustica con pianoforte, tromba e percussioni.

Alle 21,15 toccherà agli Street Clerks che "tornano nella loro
Firenze, con un bagaglio zeppo di storie e un album, “Fuori”, intriso di atmosfere pop e new folk", come da comunicato stampa.

Mi dispiacerà perdermi Irene Grandi, in programma alle 22,30, e Mannarino, "stornellatore moderno e cantautore metropolitano - che - compone musiche di confine, eclettiche e contaminate, ispirate ai suoni e ai volti di una via Casilina globalizzata dove Gabriella Ferri passeggia con Manu Chao e Domenico Modugno va a braccetto con Cesaria Evora", alle 24,15.

Mi dispiacerà ma me ne farò una ragione abbastanza facilmente perché per le 22,30 in sella alla mia vetusta Atala, avrò raggiunto bel bello Piazza San Lorenzo per non perdermi il concerto di colei che con ironia si definisce "l'incontro fra Nina Simone e Janis Joplin". 

Il comunicato stampa recita: "Cantautrice e interprete britannica, stella della musica internazionale, Sarah Jane Morris si muove fra rock, blues, jazz e soul con una voce che arriva a toccare l'estensione di quattro ottave. Impossibile non ricordare il suo esordio con Annie Lennox, il duetto con Jimmy Somerville nel brano “Don't Leave Me This Way”, il tributo a Robert Wyatt con Annie Whitehead e gli undici album pubblicati come solista, tra cui il best-seller eponimo. In carriera anche collaborazioni con artisti italiani, tra cui la vocalist fiorentina Simona Bencini, con cui duettò in memorabile Sanremo di qualche anno addietro". Impossibile non ricordare, aggiungo io, il bellissimo suo concerto di qualche anno fa nel cortile del Bargello, a Firenze. 
"Si chiude sulle note di Benny Goodman, CountBasie e della tradizione swing degli anni ’30 e ’40 il capodanno in musica di piazza San Lorenzo. A salire sul palco non può essere che lo Swing 10tet capitanato da Nico Gori, clarinettista jazz di caratura internazionale, una vita sospesa tra Italia e Danimarca, svariati riconoscimenti in bacheca e vent’anni di musica insieme al gotha del jazz.

E' Piazza Santissima Annunziata il luogo del Gospel: alle 22 tocca allo One Voice Gospel Singers ed alle 23 al Cleveland Gospel Singers. Ma prima sarà ricordato con un video Riccardo Marasco.

Ormai Piazza della Signoria durante l'ultimo dell'anno per usucapione è di proprietà del maestro Giuseppe Lanzetta che dirige l’Orchestra Accademica Sinfonica della Chernivtsi Philharmonic Society (Ucraina) in un programma che tocca dal “Nabucco” di Giuseppe Verdi al “Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini. E poi Bizet, Brahms e ovviamente Strauss. Arie celebri di opere, valzer e polke della tradizione viennese si susseguono nella piazza per tradizione sede dell'appuntamento di fine anno dedicato alla classica.

Anche quest’anno, Scandicci sarà la quinta piazza del Capodanno
Fiorentino con un'impronta più politica: oltre agli artisti, i protagonisti saranno i rifugiati e richiedenti asilo, impegnati a fianco dei volontari della Croce Rossa nel progetto "Cittadini del mondo". A scaldare il pubblico di Piazza della Resistenza, dalle 22, sono i ritmi brasiliani dei Forró Miór. 
Alle 23 sarà la volta dei testi impegnati e del combat-folk dei Modena City Ramblers, da oltre vent’anni sinonimo di fratellanza, una voce schietta che regala emozioni e divertimento. Il Tracce Clandestine Tour prende il nome dall’ultimo album ed è un concentrato di perle rare del loro repertorio. Brani proposti dal vivo durante anni di concerti, ma che non erano mai finiti su cd. E che nell’occasione vanno ad aggiungersi al capisaldi di sempre. 

Il costo dell’evento fiorentino è di 300 mila euro, interamente coperto da sponsor. Tra questi, i main sponsor Acea e Gruppo Hera, presente quest’anno per la prima volta.
Il Capodanno è stato presentato, oggi 28 dicembre, dal sindaco Dario Nardella e dal sindaco di Scandicci Sandro Fallani. Nardella, il linea con Renzi, emanava ottimismo da tutti i pori, vabbè. 

Ah, ha fatto appello affinché non si facciano i botti.
Erano presenti anche Grandi, Mannarino, Street Clerks e Francesco Ricci. 

11/12/15

MARTIN CREED A BASE

BASE, progetti per l'arte,lo spazio no profit di via San Niccolò (18r, a Firenze) gestito da un collettivo di artisti, presenta, dal 12 Dicembre al 6 Febbraio, la mostra di Martin Creed  concepita appositamente per quello spazio. 
Il vernissage diversamente dal consueto avverrà in una data a sorpresa decisa dall’artista che sarà presente e che intende così spostare l'attenzione sulla fruizione dell'opera più che sull'evento connesso alla sua presentazione. 
Il progetto di Martin Creed è animato da differenti opere che fanno percepire lo spazio fisico allo stesso tempo espanso, compresso, dilatato e pieno. Questo avviene grazie all’equilibrio degli interventi “Work No. 920” del 2008 (wall painting), “Work No. 672, FRIEND” del 2007 (neon), “Work No. 2199” del 2015 (painting), “Work No. 1597, Laura” del 2013 (painting), “Work No. 2097” del 2014 (painting) e “Work No. 921” del 2008 (wall painting). Le opere si distribuiscono nei due spazi, da sinistra a destra, come a “perimetrare” per evidenziare, ma anche per rarefare i confini fisici della scatola architettonica in cui si manifestano.

Le forme geometriche o astratte, come gli environment o le installazioni, sono sempre per Martin Creed non il fine bensì il mezzo per creare un dialogo con il contesto. Questo approccio è portato alle estreme conseguenze del progetto a BASE dalla presenza della scultura “Work No. 1638” del 2013 a forma di ziggurat di 5 longarine di ferro di misura decrescente poste una sopra l’altra. La scultura, ingombrando il centro dello spazio, destabilizza la possibilità di una visione contemplativa delle singole opere, costringendo lo spettatore a vivere quel luogo come un landscape composto da vari rumori di fondo. Inoltre, la scelta di non far coincidere l'inaugurazione con il giorno dell’apertura della mostra, è il modo da parte dell'artista di creare un tempo di attesa e far riflettere in maniera delicata sulla relazione che esiste oggi tra l'opera e l'evento, connesso alla sua presentazione nel mondo dei media, quello sociale e del sistema dell'arte.

Come scrive Lorenzo Bruni nel suo libro “Museum, Gallery and other story” pubblicato nel 2011: “Le sue opere, formalmente differenti tra loro, hanno tutte in comune il voler creare uno strappo nella percezione del quotidiano, non per astrarre lo spettatore da esso, ma per dargli una nuova concretezza. (…)”.
Tra le mostre personali: Fondazione Nicola Trussardi, Milano, 2006; the Duveen Commission, Tate Britain, London, 2008; “Work No. 409”, Royal Festival Hall, London, 2010; “Ballet Work No. 1020”, Traverse Theatre, Edinburgh, 2010; “Down Over Up”, Fruitmarket Gallery, Edinburgh and Things at The Common Guild in Glasgow, 2010; the Nasher Sculpture Center in Dallas, 2011; MARCO in Vigo, Spain, 2011; “A yearlong residency”, MCA in Chicago, 2012; “What's the point of it?”, Hayward Gallery, London, 2014. Tra le molte mostre collettive internazionali a cui ha partecipato sono da segnalare: P.S.1 and MoMA, New York, 1996; The British School at Rome, Roma, 1997; ViaNuova, Firenze, 2005; 4. Berlin Biennial for Contemporary Art, Berlin, 2006; Kunsthalle Bern, Bern, 2008; MoMA Museum of Modern Art, New York, 2009; 54. Biennale di Venezia, Venezia, 2011.

45 ANNI di Omero Sala (da Film TV)

Nella loro “dimora” immersa nel verde della campagna inglese, Kate e Geoff (Charlotte Rampling e Tom Corteney) si preparano a festeggiare i 45 anni di matrimonio.
Il loro è un tranquillo rapporto consolidatosi col tempo in una routine fatta di intese silenziose, di affettuosa pazienza, di quiete complicità indulgenti, di amorevoli attenzioni reciproche. Le giornate scorrono rilassate, fra passeggiate nei campi (col cane Max libero da guinzagli), rimpatriate con ex-colleghi, thè con amiche o mogli di amici, rari shopping in città.

Charlotte Rampling
45 anni (2015): Charlotte Rampling


In una di queste giornate contrassegnate dal più sereno trantran, Geoff riceve dalla lontana Svizzera una lettera: decifrandola con fatica (è scritta in tedesco), viene a sapere che su un ghiacciaio alpino è affiorato il corpo ibernato di Katya, la sua prima fidanzata, precipitata in un crepaccio durante una loro escursione nei lontani anni ’60.
Geoff rimane inebetito dalla notizia e non riesce a nascondere la costernazione: a Kate che lo interroga comprensiva e partecipe, sussurra l’angoscia che lo assale nell’immaginare il corpo di Katya ventenne, restituito inalterato dai ghiacci, mentre il suo è deperito e appare malconcio e decadente, ingrigito e stanco, irrimediabilmente fragile e svigorito.
Kate, con la sapienza psicologica che ha acquisito nella lunga dimestichezza con le nevrosi coniugali, prova a confortare il suo smarrito Geoff, cercando di superare l’inevitabile stizza che l’assale nello scoprire questo ignoto amore giovanile del suo uomo. Ma quando vede che i suoi tentativi non hanno effetto e si accorge che Geoff si abbandona senza ritegno all’avvilimento e alla depressione, la stizza diventa risentimento. Il risentimento diventa poi incontenibile irritazione quando Geoff comincia a incupirsi, a chiudersi in sé, ad evitarla, a rimuginare memorie, cercare reliquie del passato, annegare dentro inconfessate nostalgie ripescando antiche foto e sfogliando preistorici quaderni di viaggio.
Kate percepisce di aver dedicato l’intera vita a questo rapporto ma di essere stata “seconda” e secondaria (e forse si accorge anche di quanto sia assonante il suo nome, Kate, con quello della scomparsa/riapparsa Katya). Per capire meglio, per valutare l’ingombro e la consistenza di questo antico amore (e forse per riconsiderare da queste nuove prospettive il reale senso di tutta la sua vita, più che per trovare modi ormai inutili per aiutare il povero Geoff), Kate inizia una sua riservata indagine: rovista fra i ricordi del marito, spalanca bauli sigillati da mezzo secolo, apre lettere, sfoglia diari, legge biglietti, esamina souvenir, studia fotografie e diapositive. Ogni dettaglio che emerge dal passato allunga un’ombra sul presente, ogni cimelio offre un’informazione, ogni informazione apre un’incrinatura. (La scena paradigmatica del film è quella che inquadra Kate che proietta le vecchie diapositive negli angusti spazi del solaio di casa: la metà sinistra del quadro è occupata dalla figura della Rampling seduta, ben illuminata, perfettamente a fuoco con le sue rughe e il suo sgomento; l’altra metà del quadro è occupata dal telo su cui si intravvedono in trasparenza le immagini sbiadite di Katya).
  
Tom Courtenay, Charlotte Rampling
45 anni (2015): Tom Courtenay, Charlotte Rampling

Geoff affonda nella consapevolezza di aver consumato la vita seppellendo e congelando le effervescenze della giovinezza; ed è avvilito dal declino più che dal sospetto di essersi rassegnato a un rapporto di ripiego.
Kate vede sgretolarsi davanti agli occhi – incredula, rabbiosa – le ordinarie sicurezze pazientemente organizzate nel corso della sua vita. E improvvisamente tutto per lei perde senso (quando deve indicare le musiche che faranno da sfondo alla festa del 45° anniversario del suo matrimonio – i picchi emotivi degli anni migliori, la colonna sonora della sua vita sentimentale – detta i titoli come se stesse facendo un’ordinazione al garzone del salumiere).
Entrambi inoltre titillano rammarichi per una vita che avrebbe potuto essere e non è stata. (Ma chi, facendo i consuntivi, non si ritrova a nutrire nostalgie “per un bacio mai dato”, per la giovinezza lontana, per i luoghi lasciati e ora irriconoscibili, per progetti mai realizzati? Si sa: i sogni svaniti sono sempre più fulgidi della realtà inappagante che viviamo).

I due provano a voltare pagina, a ritrovare il quieto tepore di una vita; e cercano le occasioni rivelatesi magiche nel passato: una musica, un ballo, la complicità data dalla consuetudine, l’intimità. Ma l’ingombrante convitata di ghiaccio non aiuta certo a dissolvere le loro angosce: lui vede ovunque intorno a sé i segnali del finale di partita; lei viene assalita dalla inaspettata consapevolezza di essere stata premurosa compagna di viaggio di un estraneo; in ambedue affiora il sospetto di essersi sorrisi coltivando pensieri diversi, di aver consumato l’intera vita condividendo tutto fuorché il fulcro profondo della affettività.
Il groviglio emotivo in cui annegano non è del tutto decifrabile. Si manifestano più evidenti i loro rapporti asimmetrici: Geoff diventa ancora più assecondante e insicuro (ma nello stesso tempo è snervato da questa sua debolezza); Kate appare più determinata e funzionale (che comincia a dubitare della sua efficacia terapeutica). Riemerge forse per tutti e due il rammarico sempre taciuto per la mancanza di figli (che pareva superato ma ricompare quando Kate scopre che Katya era incinta al momento dell’incidente). Prende significato la loro disattenzione nei confronti della costruzione della memoria familiare (non conservano foto della loro esistenza comune); perde invece significato la consuetudine alla parola (mentre si ingigantiscono i silenzi, più eloquenti di mille parole).
Il commosso discorso di Geoff alla festa di anniversario sembra risolvere tutto: è sincero, ma forse ormai inefficace. E non sappiamo se le lacrime che appaiono sul viso immobile di Kate siano di commozione (per la riappacificazione) o di disperazione (per la assolutamente incancellabile disillusione). Tutti siamo consapevoli che il rimosso pesa e il non detto assorda; che i fantasmi sono indissolubili; e che le ferite dell’anima non si rimarginano.

Tom Courtenay, Charlotte Rampling
45 anni (2015): Tom Courtenay, Charlotte Rampling

Dei protagonisti, premiati a Berlino con l’Orso d’oro per l’interpretazione, ho apprezzato i movimenti, i gesti e gli sguardi (l’apice del film è per me il primo piano della Rampling a letto, con gli occhi sbarrati nel buio).
Della regia è rilevante la scelta della lentezza, della sottrazione, della compressione emotiva che si determina nei silenzi.

Ho controllato il testo di “Smoke gets in your eyes", il brano dei Platters che ricorre nel film e lo conclude: nella seconda strofa dice “quando il tuo cuore è acceso, devi renderti conto che hai del fumo negli occhi”; e alla fine ribadisce che anche “quando la fiamma d’amore si spegne, tu hai del fumo negli occhi”.

La citazione di Kierkegaard è marginale ma non casuale.
Bergmann e Haneche non sono citati.

10/12/15

MUTATIS MUTANDIS di Miss Lovely Holmes

“E che è? Le mutande di Bridget Jones?”: è stato un amico, di quelli di cui ci si può fidare, a fulminarmi con queste poche, terribili parole, un giorno che stavamo facendo acquisti insieme in una nota catena di biancheria intima. 

Ecco, è stato illuminante. Perché mi sono accorta che indossare biancheria triste, quella che grida al mondo “tanto non ci deve vedere nessuno”, quella che mortifica non solo i sensi ma soprattutto lo spirito, che mette le mani avanti e tarpa le ali all’avventura, è uno dei torti più gravi che una donna può fare alla propria sensualità. Attenzione: non dico che si deve andare in giro bardate come un catalogo di lingerie. Ma tra la mutanda ascellare rosa sbiadito e un paio di slip di cotone ben tagliati e di un colore accattivante c’è come dal giorno alla notte. In mezzo c’è il nostro ego sessuale e questo, cari miei, vale anche per i maschietti. 

Il cassetto della biancheria è un buon termometro dell’umore: quando son felice trabocca di pizzi e colori vivaci, declinati in pezzi mooolto piccoli e aggraziati. È un invito al gioco, alla gioia degli occhi e a quella del cuore, un incoraggiamento ai sensi e una civetteria mai obbligatoria ma così seducente, prima di tutto per noi stesse. C’è chi preferisce il classico ma sempre sexy nero. 

C’è chi non sopporta gli abbinamenti perfetti, i “completini”, per capirci. C’è chi stravede per il cotone (e vi giuro che un paio di mutandine di cotone bianco che lampeggiano da sotto una coloratissima gonna estiva possono affascinare anche i tombeur des femmes più incalliti!), chi è in fissa con i tessuti bio e chi non riesce a rinunciare allo scivolare sensuale della seta. 
Certe culottes sanno essere molto evocative, ma sono sempre di più le donne che indossano ormai quotidianamente solo perizoma o brasiliano, felici di non dover tenere sotto controllo il segno degli slip sotto i pantaloni attillati e abbastanza comode da potersene impipare di tutto il resto. 

La regola generale comunque suggerisce di puntare ad un abbinamento accettabile tra reggiseno e mutandine (niente di trascendentale, ma se si riesce ad evitare il bianco/nero pare carino), slip di dimensioni ragionevoli, top che non possano essere tranquillamente adibiti a fionda, capi complessivamente privi 
di buchi, fili tirati, elastici bolliti da troppi lavaggi. 

Occhio signori: questo vale anche per voi! Lo slip che arriva all’ombelico ammazza anche il più selvaggio degli ormoni femminili, per non parlare di quelle strane mutande grigiastre, stinte dalle centrifughe a 60°, che alcuni si ostinano a portare. 

Non sono ammessi neanche boxer strizzapalle, disegnini ottocenteschi, orsetti, scritte “spiritose”. Per carità. E per quanto la vostra compagnia di letto possa adorare il prezioso contenuto della vostra biancheria, abbiatevi il riguardo di presentare la mercanzia con la grazia che amate nei partner: dare per scontato è un errore grave, come pensare di poter derogare da un minimo di buon gusto. 

E insomma, certe doti valgon bene una mutanda decente. 
Oggi, grazie alla sempre più ampia presenza di catene che vendono biancheria a buon prezzo, ci si può sbizzarrire e garantirsi un ricambio stagionale che scongiuri la mutanda che fa i pallini, i colori indefiniti tra il grigio e il topo, l’effetto fisarmonica. Non ci sono più scuse. Lo slip della prima volta, quello che indossavate quando vi siete laureate, il boxer di quando avete fatto quel gol bellissimo a calcetto: per loro c’è posto nella scatola dei ricordi, tra le memorie preziose e un po’ sbiadite. O anche tra le pagine di un vecchio dizionario di latino, come si faceva una volta coi fiori secchi. 

Uscite e andate a comprarvi una sacchettata di mutandine nuove di zecca, a colori, nere, trasparenti, coi laccetti, di pizzo, di cotone, come vi pare insomma: in comune c’è il gusto di pensare di averle addosso. E che qualcuno possa vederle, toccarle e sfilarle: al più presto!