Inutile stare a cercare un attacco originale: la realtà e solo che a vederle tutte e tre lì, l'una accanto all'altra c'è da rimanere imbambolati.
Nella seconda sala del primo piano di Palazzo Strozzi si compie un miracolo. Quello di poter ammirare sulla parete di sinistra la Deposizione dalla croce del Rosso Fiorentino della Pinacoteca di Volterra, sulla parete centrale la Deposizione che il Pontormo realizzò per la cappella Capponi della chiesa di Santa Felicita, a Firenze, e, sulla parete di destra, il Cristo deposto che il Bronzino dipinse per la cappella di Eleonora da Toledo in Palazzo Vecchio. Mai è stato possibile realizzare il sogno di un confronto così affascinante e ravvicinato fra i tre capolavori dei tre grandi protagonisti del Manierismo fiorentino.
La Deposizione del Rosso era sempre rimasta a Volterra, prima nella chiesa di San Francesco, poi, dal 1788, nella cappella di San Carlo nella cattedrale e infine, dal 1905, nella Pinacoteca.
La visionaria Deposizione del Pontormo era sempre rimasta in Santa Felicita, nell'Oltrarno fiorentino e addirittura l'opera del Bronzino, fu donata quasi subito da Cosimo de' Medici a Nicolas Perrenot de Granvelle, segretario particolare dell'Imperatore Carlo V, originario di Besancon dove la grande pala è rimasta per 500 anni per uscirne solo per questa occasione.
Dal 21 settembre 2017 al 21 gennaio 2018 Palazzo Strozzi ospita Il Cinquecento a Firenze, una
straordinaria mostra dedicata all’arte del secondo Cinquecento a Firenze. Ultimo atto d’una trilogia di mostre
a Palazzo Strozzi a cura di Carlo Falciani e Antonio Natali, iniziata con Bronzino nel 2010 e Pontormo e
Rosso Fiorentino nel 2014, la rassegna celebra un’eccezionale epoca culturale e di estro intellettuale, in
un confronto serrato tra “maniera moderna” e controriforma, tra sacro e profano: una stagione unica per
la storia dell’arte, segnata dal concilio di Trento e dalla figura di Francesco I de’ Medici, uno dei più geniali
rappresentanti del mecenatismo di corte in Europa.
Lungo le sale di Palazzo Strozzi si trovano a dialogare, in un percorso cronologico e
tematico allo stesso tempo, opere sacre e profane dei grandi maestri del secolo come Michelangelo,
Pontormo e Rosso Fiorentino, ma anche di pittori quali Giorgio Vasari, Jacopo Zucchi, Giovanni
Stradano, Girolamo Macchietti, Mirabello Cavalori e Santi di Tito e scultori come Giambologna,
Bartolomeo Ammannati e Vincenzo Danti, solo per nominare alcuni di coloro che furono coinvolti nelle
imprese dello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vacchio, della Tribuna della Galleria degli Uffizi, e nella decorazione delle chiese fiorentine. Artisti capaci di
giocare su più registri espressivi – dall’ispirazione religiosa alle passioni comuni – mediando la propria
formazione, avvenuta sui grandi maestri d’inizio secolo, con le istanze di un mondo che affrontava un
complesso cambiamento verso l’età di Galileo Galilei, aperta a una nuova visione sia della natura sia
dell’espressione artistica di respiro europeo.
Fondamentale è stato il ruolo di Friends of
Florence che ha permesso il restauro di sei opere, a cominciare dalla Deposizione del Pontormo, insieme alla
cappella Capponi in Santa Felicita, per cui l'opera fu dipinta, per proseguire con straordinarie pale come
l’Immacolata Concezione del Bronzino, Cristo e l’adultera e la Visione san Fiacre di Alessandro Allori, e le
sculture del Dio fluviale di Michelangelo e del Crocifisso del Giambologna.
Nella prima sala sono accostati capolavori degli anni Venti del Cinquecento creati da artisti che furono i
maestri indiscussi di quelli operosi nella seconda metà del secolo: Michelangelo con la scultura del Dio
fluviale (1526-1527 circa) e Andrea del Sarto con la celebre Pietà di Luco (1523-1524).
Il percorso si muove poi per confronti: prima una sezione dedicata a temi sacri con gli artisti che lavorarono
ai nuovi altari riformati nelle chiese fiorentine, poi quella sui temi profani spesso legati alla personalità di
Francesco I. In entrambe le sezioni troviamo i medesimi artefici tra cui Giorgio Vasari, Mirabello
Cavalori, Girolamo Macchietti, Santi di Tito, Jacopo Coppi, Maso da San Friano, Giovan
Battista Naldini, Giambologna.
Nelle ultime due sale ci sono marmi e tavole d’altare di grande tenore qualitativo: opere eseguite
proprio allo scadere del Cinquecento o addirittura già sul primissimo avvio del Seicento, come la Visione di
san Tommaso d’Aquino della Chiesa di San Marco a Firenze di Santi di Tito (1593); I miracoli di san
Fiacre di Alessandro Allori da Santo Spirito (1596) e l’altorilievo di Pietro Bernini San Martino divide il
mantello col povero (1598 circa, Napoli, Museo di San Martino).
"Sono state fatte delle scelte - ha detto Antonio Natali durante la conferenza stampa - qui sono presenti solo opere belle, sembra una banalità ma si vuole dire che non necessariamente le opere storicamente importanti devono essere tutte belle e sono presenti nel catalogo" che i due curatori hanno voluto dedicare alla memoria di Carlo Del Bravo, recentemente scomparso, del quale sono stati allievi.