27/10/16

L'ALLUVIONE A TEATRO

"Dall’onda veloce / giungi stremato / in santa croce / dante di marmo / poeta divino
mira sdegnato / l’immane casino / o fiorentini / m’avete esiliato / prendete la merda
che dio v’ha mandato". E' l'ubiquo Eugenio Giani, Presidente del Consiglio regionale, a citare gli ultimi versi del "L'alluvione" di Riccardo Marasco a conclusione del suo intervento alla presentazione alla stampa, nella sede RAI fiorentina, di "Sotto una gran piova d'acqua ..." il testo teatrale scritto da Sandro Bennucci, Marcello Mancini e Massimo Sandrelli. Il titolo, assai suggestivo, è preso dalla cronaca che Giovanni Villani fece dell'alluvione di Firenze del 1333, devastante come quella "nostra" del 1966.


L'Accademia degli Infuocati e la Fondazione Teatro della Toscana hanno messo in calendario la rappresentazione, in occasione del 50enario di quell'evento disastroso la sera del 4 novembre e il pomeriggio e la sera del 5 novembre prossimi al Teatro Niccolini di Firenze. Sul palco "La compagnia delle seggiole", si chiama così per le scarne scenografie con cui lavorano, spesso solo sedie appunto, darà voce ai tre protagonisti: Piero Bargellini, il sindaco che stava per essere sfiduciato dal Consiglio Comunale e che invece si caricò sulle spalle il peso della tragedia e la responsabilità della ricostruzione; Enrico Mattei, direttore de "La Nazione", allora l'unico quotidiano fiorentino, giornalista di razza capace di scuotere anche i palazzi del potere romano; un ragazzo di 16 anni che ancora non conosceva il concetto di calamità naturale. 

Tre personaggi che raccontano l'emergere dalle acque limacciose dell'Arno furente di una città capace di segnare anche con l'ironia l'incrollabile volontà di non soffermarsi a piangere ma di cercare da subito di reagire.


Ancora al Niccolini (11-13 e 15-16 novembre, alle 21) Marco Zannoni interpreta gli svariati personaggi di "Fincostassù" di Alberto Severi: una teoria di figure e vicende, tragiche, comiche e spesso tutt'e due, raccontano il diluvio come in diretta a distanza di mezzo secolo.


il 17 novembre, sempre al Niccolini, "Oltre gli argini" di Paola Presciuttini con Gionni Voltan che racconta ciò che la storia ha conservato dell'alluvione attraverso una serie di personaggi fra i quali l'Arno stesso.


Al Teatro studio Mila Pieralli di Scandicci il 22 e il 23 novembre è in programma "Il filo dell'acqua" di Franco Niccolini interpretato da Dimitri Frosali, Massimo Salvianti e Lucia Socci: un racconto in forma di poema, installazione e rito collettivo mescolando ricordi, testimonianze, lettere, la voce di Sergio Zavoli in RAI, i titoli dei giornali che non riuscirono ad arrivare nelle edicole della città devastata.

www.teatrodellatoscana.it

20/10/16

LA PREZIOSA ARTE DI SCOMPARIRE di Miss Holmes

Autunno uggioso, di sbalzi di temperatura, allerta meteo e riflessioni gravi. I meteopatici, tipo me, sopravvivono pensando alle decorazioni di Natale che segnano il recupero della luce sull’oscurità.  
È il periodo adatto per tornare a preparare dolci, perché accendere il forno ora è un piacere, invitare amici a cena, scegliere vini più corposi, giocare a scacchi, fare commenti acidi sulla politica, riparare la libreria che pencola minacciosamente, leggere di più e fare nuove conoscenze da tenersi vicine per scaldarsi nelle lunghe e buie sere novembrine.

L’ultima opzione è una delle più interessanti. Implica tutta una serie di azioni che contribuiscono al buonumore, al benessere psicofisico e anche al consolidamento del pil nazionale, visto che in fase di conquista la propensione alla spesa aumenta.
Però c’è un però. Anche piuttosto grosso, diciamo. Perché c’è il rischio di incappare in un più o meno grave errore di valutazione e idealizzare qualcuno che proprio ideale non è, obnubilate da necessità urgenti o romanticismi di ritorno.

Può capitare che quello che era sembrato un perfetto gentleman si sieda a tavola e si serva per primo dal piatto di portata, senza accennare a provvedere a voi; che l’entuasiasta che vi ha corteggiato spietatamente per convicervi ad uscire sparisca in bagno al momento di pagare il bloody mary; che il compagno di una sera esageri col turpiloquio, non si lavi tutti i giorni, sia un fanatico del dio Po o provi a mettervi le mani addosso dopo 5 minuti. Che il brillante speaker si riveli di una noia mortifera dopo solo mezzora vis à vis. 

Potete incappare anche nel tipo sposato che vuole a rimorchiare o nel matto autentico che si svela solo sul lungo periodo. Può capitare di tutto a svelare l’assoluta inadeguatezza della nuova conoscenza e ognuno ha la sua soglia di tolleranza. Il che ci porta al nocciolo della questione: una strategia per sfilarsi torna comoda a tutte. Da avere a portata di mano, telefono o semplicemente idea, quando una situazione dovesse farsi per motivi diversi insostenibile.
Sfilarsi, dicevamo. Con calma, dignità e classe, se possibile.
Intanto: scappare dalla finestra può essere divertente (l’ho fatto più di una volta, finendo poi sempre a casa di amiche a ridere a crepapelle) ed è senz’altro efficace, però non è elegantissimo. 

Anche dare numeri di telefono sbagliati risolve il problema alla radice ma è da maleducate. Detto questo, non sono metodi da trascurare quando la situazione sia tale da richiedere un intervento di emergenza (vedi pazzi, sposati, cafoni estremi).
Quando è possibile però è davvero interessante esercitare l’arte del dileguarsi con grazia, lasciandosi alle spalle un leggero profumo di irraggiungibile sensualità e rimpianto. 

Servono sangue freddo e creatività. Tutto sta nel padroneggiare la strategia dell’allungare i tempi: impiegare molto di più a rispondere a messaggi e whatsapp, diradare gli incontri. Un giorno avrete il dentista e puff, salta il caffè. Un’altra volta avrete la festa di compleanno di un’amica e zac, bisogna rimandare il cinema. Evitate guasti in casa per cui potrebbe offrirvi un aiuto che sarebbe imbarazzante rifiutare. Non datevi malate, non sia mai che siate incappate in un accuditivo pronto a raggiungervi con brodo e pannetti caldi. Piano piano disabituatelo alla vostra presenza e dopo un paio di settimane sferrate la botta finale spiegandogli che non ve la sentite più di uscire con lui. Potete essere sincere, senza troppo pathos, e spiegare che all’inizio vi era sembrata una cosa diversa e ora non vi trovate molto bene nella storia. Di solito è la strada migliore.
Oppure si può fare diversamente. Non è bello, è vero. Ma potete sparire davvero. Non rispondere più. Silenzio assoluto davanti a sms, whatsapp, messenger, facebook, email, telefonate. Potete cancellarlo dai social, dalla rubrica del cellulare, dalla galleria delle foto. Non è bello ma a volte capita. 

A volte capita di essere troppo stanche per dare tutte le spiegazioni necessarie e magari affrontare la delusione, la sofferenza, la rabbia o addirittura l’indifferenza di qualcuno. Capita di sentirsi svenire alla sola idea di fissare un appuntamento, sedersi davanti a un uomo e parlare parlare parlare. Perché qui perché là e no, non è colpa tua, tu non c’entri e blablabla. E giustificarsi. O magari anche dargli dello stronzo o spiegargli che non è proprio il massimo propinare ad una donna un’identità quasi totalmente fittizia. A volte capita pure di essere troppo pigre per tutto questo, anche per arrabbiarsi quanto servirebbe. Non va fatto troppo spesso, per carità. Ma quando ce vo’, ce vo’, diciamo.


[P.S. Tutti i metodi che ho descritto riguardano situazioni in cui vi siate comunque al sicuro. Se un uomo prova a farvi del male, se alza le mani o vuole costringervi a fare cose che non volete c’è un’unica cosa da fare: denunciare. In questura, nei centri antiviolenza: chiamando l’1522 o http://www.direcontrolaviolenza.it/i-centri-antiviolenza/].

18/10/16

RIAPRE IL PECCI = LA "FINE DEL MONDO"!

"Di un sentimento diviso tra vanità delle nostre azioni, nostalgia per ciò che è stato (che da umani abbiamo amato) e non è più, e - forse - qualche bagliore di futuro, come sempre non ancora

riconoscibile nel momento in cui avviene, di queste atmosfere è fatta la mostra". 

Così conclude il suo intervento Fabio Cavallucci, il direttore, nel presentare "La fine del mondo", la mostra che dopo 3 anni di chiusura totale e 6 di lavori in corso, restituisce a Prato e non solo il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci.

Se la forma è anche sostanza il nuovo Museo, che così evidentemente ricorda un'enorme navicella spaziale, si è attrezzato per affrontare, magari fuggendo, le "catastrofi" che verranno e che certo ci suggerisce "lo stato di incertezza, la condizione di sospensione, l’incapacità di comprendere i grandi cambiamenti presenti, che ci fa pensare che una situazione che abbiamo conosciuto finora sia ormai giunta al termine".
Lo scetticismo che, chi più chi meno, si è annidato in noi mentre vedevamo ogni tanto lo stato dei lavori durante questi lunghi 3 anni ha lasciato il posto a uno stato euforico generato dalla sicura efficacia anche di messaggio che il progetto di Maurice Nio contiene. 

Quella "Fine del mondo" perfettamente rappresentata dal devastante, e scenografico, impatto "frontale" (head on) dei 99 lupi del cinese Cai Guo-Qiang in corsa forsennata, sembra in vitale contrasto con la bella curiosità che ha spinto i moltissimi visitatori a mettersi in paziente, e lunghissima, coda per entrare nell'astronave domenica scorsa in occasione dell'inaugurazione.

Sessantanove artisti, un centinaio di opere esposte, un fittissimo calendario di attività didattiche per interessati di ogni età, tantissimi eventi collegati alle numerose mostre sparse per il territorio toscano, un orario di apertura dalle 11 alle 23. Insomma un rilancio alla grande.

La "Fine del mondo" si sviluppa circolarmente ed è un continuo lasciarsi sorprendere, non nego che per qualcuno sarà un lasciarsi perplimere, ma lo sappiamo quanto ostica possa essere l'arte contemporanea per il pubblico meno avvezzo. Certo mi pare che intorno al contemporaneo dalle nostre parti, ultimamente, si stia sviluppando una salutare e nuova curiosità e lo dimostrano anche solo le feroci polemiche che hanno attraversato ed attraversano le mostre fiorentine di Fabre e di Ai Weiwei. 

Sono così tante le opere che scandiscono la "Fine del mondo" che non posso che segnalare adesso solo alcune delle più monumentali: dai crolli ("Break Throughh") inquietanti e severi dello svizzero Thomas Hirschhorn
 all'installazione calpestabile "De cómo la tierra se quiere parecer al cielo" del cubano Carlos Garaicoa,
 dal minimuseo della storia del contemporaneo, che raccoglie Marcel Duchamp, Pablo Picasso, Umberto Boccioni e Lucio Fontana, al suggestivo percorso involutivo di "
Transarquitetonica" del brasiliano Henrique Oliveira, 
 dalla corsa disperata dei lupi di 
Cai Guo-Qiang allo straniante candore di Robert Kuśmirowski e della sua "Quarantine". 



Fino al 19 marzo 2017, dal martedì alla domenica, dalle 11,00 alle 23. WWW.CENTROPECCI.IT

12/10/16

MODALITà IN PAUSA di Miss Holmes

Fa freddo, un po’ a tradimento. Pioviccica, anche. E l’energia, almeno dalle mie parti, va scemando. Proprio in questi giorni, mentre cercavo qualche golf di lana nel tentativo di rimandare il temuto cambio degli armadi, mi veniva in mente che a volte bisogna lasciare che le cose accadano. Ma che altre volte invece bisogna anche avere il coraggio di permettere che NON accadano. E forse questa seconda opzione è la più complessa e difficile.

In campo sentimentale, conosco tante donne che da tempo si sono abituate ad andare a prendersi quello che desiderano. In modi diversi, come possono essere diversi i desideri che le animano nei multiformi e diversi momenti delle loro vite. Osservano, ascoltano, chiedono, escono, chiacchierano, intessono relazioni, fanno sesso, restano o vanno a seconda di quello che vogliono.
Questo è bene. A me per esempio piace. Ne escono fuori belle serate senza futuro o anche bellissime e lunghe storie. Quando va male, di solito ci scappa almeno una storiella divertente da raccontare.

Però ci sono anche altri momenti. Periodi della vita in cui la cosa che viene meglio è stare ferme. Monumenti alla pigrizia sentimentale, ci si aggira per bar, cinema e locali senza distogliere lo sguardo dal Negroni o dalla faccia perplessa delle amiche, senza fiutare prede. 

Questo stato può proseguire per qualche mese. Ed è l’occasione per sperimentare il brivido di lasciare che le cose non accadano. Carniere vuoto, cuore senza tumulti, mentre l’intellettuale stimolante, il libraio carino e il passante malizioso scivolano via senza mostrare le loro potenzialità.
C’è anche un’alternativa. Lasciare che siano loro, i maschi, a far accadere le cose. Sono buffi da guardare, quando gli si lascia campo libero: perché questo mito dell’uomo cacciatore secondo me è un po’ sopravvalutato. 

Insomma, può essere divertente lanciare uno sguardo a qualcuno che piace e vedere cosa fa. Non telefonare, ma rispondere se telefona. Non invitare, ma accettare se invita. A volte, anche andare a vedere com’è qualcuno che lì per lì non sembra proprio il tuo tipo. Cercare una sorpresa, percorrere strade diverse. Vedere se fuori dalla comfort zone c’è vita e c’è speranza. Tanto a sparire si fa sempre in tempo. A volte questi esperimenti non portano a nulla. Ma proprio nulla voglio dire: quello magari neanche si gira, non chiama, non invita. Ma se il contatto si stabilisce, può davvero valere la pena di lasciare il nostro uomo andare per conto suo e osservarlo mentre prova a far conquiste. Con il vantaggio che sarà piuttosto semplice capire in che direzione si muove.

Perché a volte a stare immobili si osserva meglio quello che succede intorno. E si può prendere una pausa, recuperare energia o semplicemente attraversare un periodo della vita in cui va così.
Per poi, quando come e se ci va, tornare ad allungare l’occhio e la mano, pronte a dire “voglio quello”, ad alzarci da tavola per prime, pagare il conto e più tardi sparire nel cuore della notte, rapide e silenziose, “con la scusa di raccogliere la legna per il camino”. Non importa che il camino lo abbiate davvero, per carità. Basta andar via veloci se non si vuol restare. E basta non essere crudeli, perché quello è davvero da cafone.


11/10/16

REPERTORIO DEI MATTI DELLA CITTA' DI LIVORNO (3)

Uno aveva l'abitudine di usare le mollette dello stesso colore dei panni da stendere. Mutande rosse mollette rosse, magliette verdi mollette verdi. Non vestiva di nero perché le mollette nere si trovavano male.
Repertorio dei matti della città di Livorno, a cura di Paolo Nori, Marcos y Marcos, 10 euro.

05/10/16

IL CASSETTO DELLA BIANCHERIA di Miss Holmes

Una volta, era parecchio tempo fa, un’amica mi ha spiegato che bisogna prestare molta cura al proprio cassetto della biancheria.
Lo stato dello stipetto in questione, mi disse serissima davanti ad un Negroni, è più o meno lo specchio del tuo ego sessuale.

Ovviamente, una volta a casa mi sentii obbligata ad un’ispezione accurata. Che se non ebbe risultati proprio sconfortanti certo non mi lasciò neanche del tutto soddisfatta.
Ma quello che più di tutto quella riflessione mi ha insegnato è che la biancheria, oltre ad essere un indispensabile elemento dell’abbigliamento, anche a tutela dell’igiene personale, può raccontare molto di noi. E dovrebbe essere scelta per noi, non solo per piacere agli uomini o alle donne con cui avremo a che fare nell’intimità.
Intanto, dagli altri non sappiamo mai cosa aspettarci: puoi giocare la carta della femme fatale in bustier di pizzo grigio e viene fuori che l’uomo in questione si eccita solo con le sloggi  bianche. 

Puoi puntare sul candore del sangallo e puff, quello si smoscia perché preferisce la seta nera. Arrivi al dunque ben equipaggiato in uno slip che evidenzia con discrezione le tue doti e la compagna di letto inorridisce perché è di quelle solo boxer.
Dopo un paio di queste esperienze, la mia decisione è stata più o meno: segui l’istinto e mettiti quello con cui ti senti a tuo agio.
Ed ecco che arriviamo al secondo capitolo della faccenda. Su cui bisogna essere molto onesti e non avere alcuna pietà.
Perché “quello con cui ti senti a tuo agio” non include ex mutande bianche diventate grigie, brasiliani già sexy ma con gli elastici ormai ridotti a fionde con cui dare la caccia ai fagiani per il risotto, reggiseni con il ferretto ondulato, slip bucati, oggetti non identificati di cui non si ricorda nemmeno più la data di acquisto.

Quando ho fatto il repulisti dal mio cassetto, seppure non fosse in condizioni tragiche, alla fine è rimasto molto poco. Perché per il proprio ego sessuale il livello “accettabile” non è accettabile. Bisogna puntare all’eccellenza. E siccome è sempre bene partire dai dettagli, un paio di mutande ammodo può essere un punto di partenza importante nella vita.

Detto questo, sbizzarritevi: avete mai pensato a come potrebbe essere diverso affrontare una riunione noiosissima con indosso una guepiere di pizzo color pavone? O andare dal commercialista in jeans e brasiliano di seta rosa?  Vi piacciono i coordinati? Accomodatevi! Li odiate perché vi danno la sensazione del “piatto pronto”? Inventate accostamenti. Immaginate la sensazione del pizzo e della seta e del cotone sulla pelle (un consiglio serio: non cedete mai alle lusinghe del sintetico, solo fibre naturali), soppesate comodità e fascino di lacci e laccetti. 
E i colori? È vero che ci vuole una scorta di nero/bianco/nude, ma quanta gioia possono dare il rosa o l’azzurro cielo? O il verde o il blu carico o il giallo addirittura e tutte le sfumature e le fantasie e i ricami? 

Potete comprare nelle grandi catene, risparmiare per i saldi, farvi fare un regalo speciale, custodire come un tesoro pezzi unici che forse non indosserete mai, ma che danno piacere agli occhi. Però divertitevi. E mantenete il segreto. Almeno finché non si presenterà qualcuno di abbastanza affascinante da farselo svelare. Che dovrà sudarsi la rivelazione. O forse no. Dipende da quanto vi piace.