30/05/16

ELEONORA TOLU, UN ATTIMO PRIMA DI COMINCIARE, A FIESOLE


Uno stecchino da denti, qualche aculeo di istrice, una pinza, un metro, un mozzicone di lapis 2B, un coltello Opinel, forbici, pennarelli, un paio di occhiali da presbite, un diapason e un monte di altre cose.

Su quel tavolo c'è il mondo, il mondo di chi fa con le mani, non solo con le mani ma certamente anche con le mani.
E su tutto un bel silenzio.
E' lo stesso silenzio al quale Eleonora Tolu ci aveva introdotti già un anno fa con le immagini di “Dal martedì alla domenica” con le quali aveva partecipato alla seconda edizione di “Mi espongo”. Ma stavolta non si tratta del silenzio di un luogo “sacro” come la Galleria degli Uffizi. Eppure anche il silenzio che intride le fotografie di “Un attimo prima di cominciare” racconta di una qualche altra sacralità. Quella dell'artista e dell'artigiano che si sta per mettere a lavorare e si guarda intorno, accarezza con lo sguardo gli oggetti e gli utensili che conosce così bene, che sa come prendere e come usare e che sanno rassicurarlo.

E' quel disordine bello a fare da protagonista; Eleonora sa catturarlo, spiegarlo, abbracciarlo, in ultima analisi condividerlo perché sa bene che è indispensabile.
La luce che filtra da una finestra e sfiora la polvere posata sul vecchio mobile da lavoro, che fruga rispettosamente nel cassetto semiaperto, è quella radente del sole del mattino che entra con molto tatto in quel momento così delicato che è il cominciare il lavoro consueto.

Saranno almeno cento i pennelli appesi in quella teoria addossata al muro, di tutte le forme e grandezze, piatti, rotondi, con quel gioco di sfumature color crema dei manici di legno e delle setole e le tenui macchie di ruggine e di pigmenti. Sotto i barattoli di vetro, forse ex sottaceti, e i bicchierini di plastica coperti col domopac chiuso da un elastichino.

Volendo definire il fil rouge del fotografare di Eleonora Tolu non potrei che usare la parola “rispetto”.

Gianni Caverni

Direttore artistico di “Un attimo prima”

28/05/16

"LA PAZZA GIOIA", BOTTA E RISPOSTA CON LIETO FINE di M. e Gianni Caverni


SCRIVE M. SU FB IL 26 MAGGIO

La nutella di Virzì
So già che sarò impopolare ma a me "La pazza gioia" di Virzì non ha fatto per niente impazzire. E la ragione per cui lo dico è che questo ultimo film ha il difetto di fondo di quasi tutti gli altri suoi film: è così vero da essere finto.
Mi spiego. I film di Virzì non sono fatti per raccontare una storia o innescare una riflessione ma per far piangere, far provare allo spettatore emozioni elementari e violente. La via attraverso cui il regista cerca di ottenere questo effetto sono i temi, che sono sempre troppo facili. In questo caso, la forza del legame tra una madre e figlio, la malattia mentale, l'amicizia, la disumanità della burocrazia. Tuttavia, non ancora non abbastanza sicuro di far piangere, Virzì spinge quel tema all'estremo, lo inzuppa nel pathos, nel dramma, nell'esasperazione da non lasciare più scelta: chi non piangerebbe davanti a una mamma a cui viene impedito di abbracciare il suo bambino?
Il problema è che in questo modo il sentimento, nelle sue mani, diventa sentimentalismo, il dramma melodramma, la semplicità semplicismo. Dal momento che tanta tristezza va alternata con un sorriso, Virzì cerca anche qualche effetto comico ma l'ombra di grossolanitá che sempre incombe sui sui film svilisce quel sorriso e lo tramuta in caricatura. Come una caricatura, in fondo, è titolo, con l'allusione ai momenti di gioia di chi è pazzo.
Nel film ci sono, è vero, alcune battute carine, qualche bella trovata narrativa, la regia è inteligente ma non sono mai riuscito a togliermi il fastidioso dubbio che tutto fosse poco sincero e piuttosto paraculetto. La citazione di Thelma&Louise riassume bene il resto: è troppo esplicita, troppo scoperta, troppo telefonata per non essere un espediente retorico.
Se Virzì fosse un cuoco, io me lo immagino dedito a fare dolci solo a base di nutella: sarebbero dolcissimi, piacerebbero a tutti, tutti li comprerebbero nonostante il loro sapore sia, di fondo, dozzinale e finto.

MIO COMMENTO AL POST DI M. IL 27 MAGGIO
Ad essere sincero aspettavo che lo dicesse qualcuno dei miei amici, insomma era nell'aria, non poteva mancare. Hai vinto tu, sei arrivato per primo, ma non so se congratularmi con te visto che a me il film di virzì é piaciuto anche più che molto e che invece nelle tue parole ho trovato una qualche sensazione di "falso", inteso come un bisogno di uscire dal coro (e convengo con te che il coro é spesso un po' sospetto). Bisogno che in questo caso leggo come una debolezza, un indulgere ad un certo narcisismo. 
Martino, io "la pazza gioia" l'ho visto il primo giorno di uscita, ma ho aspettato a scriverne anche sul mio blog. Perché? Perché anche io non amo i cori, ecco. Ma, sono vecchio e magari finisco per diventare un po' saggio anche io. Ebbene: capita che i cori possano anche avere ragione, non é frequente ma puó capitare e questo mi sembra proprio il caso e mi ci infilo volentieri. Per me questo é un film bellissimo e sanamente controtendenza rispetto al renzismo imperante ma questo é un argomento complicato e la chiudo qui, almeno per ora. 
Scusa M. per queste parole franche ma ti voglio troppo bene per non essere sincero.
Ps: riuscire a far fare così bene a Valeria Bruni Tedeshi una parte così lontana dai suoi consueti cliché non deve essere stato un affare da poco. Fosse solo per questo Virzì for ever!

M. ANCORA IL 27
Caro Gianni Caverni,
Il tuo commento mi sorprende non poco. Se non ho capito male se a uno non piacciono i film che sono piaciuti a te deve essere zittito con allusioni personali molto poco eleganti e poco affettuose. Altrettanto sorprendente è la conc
ezione delle opinioni minoritarie: sono solo strumentali e servono, se non ho capito male, a distinguersi. Il paragone è esagerato, lo so, ma sulla base del tuo ragionamento gente come Mandela era mossa solo dal narcisismo. 
Ti posso assicurare che non c'è niente in me di più lontano, appunto, dall'indulgenza narcisistica. Se non l'hai capito, significa che mi conosci poco. Anche perché uno che fa quello che fa il coro con il segno opposto, è un anticonformista apparente e non è libero, dal momento che orienta i propri comportamenti in base ai comportamenti altrui. In altre parole, è un cretino.
Io non avevo nessun secondo fine quando ho osato esprimere questa opinione. Ho trascritto quello che il film mi ha suscitato con l'intenzione di confrontarlo con tutte le altre persone che l'avevano visto. Tutto qui. Non c'erano specchi di mezzo ma solo curiosità per le opinioni altrui - e quel "so di non essere popolare" intendeva essere un modo per scusarmi se qualcuno avesse trovato le mie parole fastidiose. 
È vero, sono più giovane di te, e tu avrai di certo più esperienza della vita. Dì sicuro, però, ho imparato che quando non si è d'accordo con qualcuno, è meglio rispondere attenendosi al merito e mai scendere sul piano personale mescolando il carattere e, cosa ancora più scorretta, il piano professionale. Ho anche imparato che se c'è qualcosa che mi infastidisce, io uso il telefono e non la bacheca di Facebook. E questo perché non ho bisogno di spettatori. Mi sentirei un narciso, a farlo




STRALCI DI MESSAGGI PRIVATI SEGUENTI

Caro M., trovo gli equivoci piuttosto divertenti da un po' di tempo in qua. Mi scuso se ti ho offeso e capisco anche che essere stato sincero non rende ció che dico più accettabile. Voglio solo aggiungere (...) che indulgere ad un po' di narcisismo non lo considero che un peccato veniale al quale certo non sfuggo, Basta che la misura sia sotto controllo. Spero di non aver troppo incrinato la nostra amicizia (...) Comunque ti abbraccio sinceramente

Ma no, non mi hai offeso. Una volta che ho finito di scrivere mi sono messo a riflettere su come questo strumento ci renda intolleranti e irritabili.

Magari quando capiti a firenze vediamoci, dai!

Ok, volentieri. Si va a rivedere La pazza gioia!!!

Hahaha, ok, aggiudicato!

23/05/16

ERCOLE MURGIA, UN ATTIMO PRIMA

Dal 23 al 29 maggio, Ristorante India (chiuso il martedì), 
via Gramsci 43A, Fiesole.


inaugurazione lunedì 23 maggio alle 19,30


Sfreccia la vettura sul ponte nuovo sull'Arno. Fra la fermata “Paolo Uccello” e quella “Cascine”, sotto un cielo in modalità “un attimo prima” dell'arrivo della notte. Una figura sta passeggiando col cane mentre un'altra procede vicina alla ringhiera metallica. Questo in una delle immagini scelte da Ercole Murgia per il concorso ed esposte per la settimana dal 23 al 29 maggio.

In un'altra, speculare alla prima, il serpente meccanico corre sui binari ma sul passaggio ciclopedonale accanto l'unica figura umana visibile è quella stilizzata dipinta sul pavimento. Nel cielo terso staziona un bel quarto di luna crescente, l'inizio del mese lunare. Scattate a posa lunga queste foto evidenziano con assoluta precisione le cose ferme, piccole, quelle alle quali in realtà non facciamo di solito molto caso: frammenti di foglie perdute da quei rami spogli degli alberi che vediamo sullo sfondo e che ci dicono che le fotografie sono state scattate d'inverno.

Lo specchietto retrovisore di una bicicletta posteggiata accanto al marciapiede che corre accanto a Palazzo Strozzi riflette l'insegna di Bulgari dall'altra parte della strada; un bel cielo incerto fra sereno e coperto e fra giorno e notte, quando da poco si sono accese le luci della città, di quella parte di Firenze unanimemente indicata come il “salotto buono”.

Quelle persone ordinate in file nello spazio affascinantissimo del Calidario Roster sono ferme un attimo prima di muoversi seguendo le indicazioni di Virgilio Sieni durante le prove di “Divina Commedia_Ballo 1265”.

E poi viali alberati d'autunno, le scale del Palazzo Guinigi di Lucca, quel bacio protetto dalle volte di un bel porticato.
Ercole ha scovato un orologio a muro, estremamente suggestivo, esausto, sfinito, col quadrante quasi del tutto cancellato dal tempo, dalla caduta dell'intonaco. Le dodici, le una, le otto e le nove sono sparite completamente. 

Può essere un caso che manchino proprio le ore dedicate ai pasti? Manca il nutrimento. Sarò pessimista, o solo vecchio, ma mi viene in mente “Eve of Disctruction” di Barry McGuire. Ma era il 1965.

Gianni Caverni
Direttore artistico di “Un attimo prima”

16/05/16

A FIESOLE LARA E UN PAESAGGIO DEVASTATO

Dal 16 al 22 maggio, Ristorante India (chiuso il martedì), 
via Gramsci 43A, Fiesole.


inaugurazione lunedì 16 maggio alle 19,30


Si chiama Lucie. Abita a Basilea, è la compagna del nonno ottantasettenne di Lara Conama Mumenthaler, la giovane fotografa che questa settimana espone per “Un attimo prima”. Un attimo prima e un attimo dopo di un tragico vuoto che si rinnova ogni giorno.

Lara ha scattato queste foto un mese fa, nella loro casa, ma nel frattempo suo nonno e Lucie si sono dovuti separare temporaneamente perché lui ha subito un'operazione al cuore e non è in grado di accudirla.

Erano stati fidanzati da ragazzi, molti anni fa, poi si erano persi. Ognuno è andato per la sua strada che li ha portati entrambi a sposarsi e ad avere una bella famiglia numerosa: Lucie cinque figli, il nonno 4.

Si ritrovano dopo molti anni, vedovi tutti e due e decidono di condividere il resto dei loro giorni.
Bello no? Una bella storia.

Lei, Lucie, questa storia non la sa più. Lucie è uscita dalla sua vita, ha l'Alzheimer. Dentro ha un paesaggio devastato.

Lara l'ha fotografata con infinito rispetto, e non è facile.
Non è facile entrare in tanta distruzione in punta di piedi eppure con la consapevolezza di affrontare una questione tanto dolorosa quanto purtroppo esatta, senza sfumature. Soprattutto senza negare la realtà nel tentativo di non farla esistere, o almeno di non farla esistere del tutto, di conservare chissà dove almeno un po' di speranza.

Lara è capace, e non è da tutti, di fare un reportage, sereno ed affettuoso, sulla malattia.
La casa, ordinata con cura, non è mai una gabbia nella quale Lucie è prigioniera. La sua prigione, la sua gabbia sta dentro di lei. 

La casa è uno scudo, una protezione, come lo sono le molte attenzioni del nonno, quel bel mazzo di tulipani al centro del tavolo, il gioco al quale nonostante tutto Lucie si dedica, l'Engadiner Post che legge, o almeno ci prova, con serena pazienza, quella tazza di tè, quella luce chiara e discreta, quelle tende candide.

Gianni Caverni

Direttore artistico di “Un attimo prima”




13/05/16

JAN FABRE: SPIRITUAL GUARDS

"VIVA L'ARTE VIVA L'ARTE VIVA L'ARTE VIVA L'ARTE", così Jan Fabre ci ha salvato da morte certa dopo una conferenza stampa convocata per le 13 e iniziata alle 13,30! Hanno parlato nell'ordine il sindaco Dario Nardella, Sergio Risaliti, direttore artistico della faccenda, le curatrici della grande mostra dedicata all'artista belga che si snoda fra il Forte Belvedere, Piazza Signoria e Palazzo Vecchio Joanna De Vos e Melania Rossi che mosse da furente sadismo hanno creduto bene di parlare ognuna due volte. 

Stirati da un vento feroce a quel punto abbiamo visto molti degli astanti vacillare in piedi sulle pietre della grande terrazza che, al primo piano della palazzina, affaccia su un panorama che ben conosciamo per la bellezza straordinaria. Anche gli astanti seduti sulle sedie di plexiglas (quorum ego) cominciavano a preoccuparsi della loro salute. A quel punto, annunciata da una vergognosa stonatura dei due suonatori di chiarine (possibile che il protocollo non debba tener conto del ridicolo?!) vestiti, col reggitore del gonfalone cittadino, come dei cretini, si è svolta la consegna da parte del Sindaco delle chiavi della città al povero Fabre, l'unico in grado di capire che la situazione si stava facendo drammatica e che a quel punto si è inventato forse l'intervento più breve della storia, 4 secondi netti. Gloria eterna a Jan Fabre fosse solo per questo! 14 mezze pizzette e un paio di bottiglioni di Coca Cola poco hanno potuto e solo i più atletici ne hanno goduto, si fa per dire.

I bronzi fantasiosi e luccicanti dell'artista fiammingo popolano i diversi piani di pietra, di ghiaia e d'erba del Forte Belvedere, e le sale dei due piani della palazzina dove, alle pareti numerosi schermi rimandano una scelta delle sue più famose performance degli ultimi 40 anni. Merita certamente una particolare attenzione il video che ripropone l'ultima performance di Fabre, quella che ha realizzato pochi giorni fa in Piazza Signoria strisciando come un verme (bloccato com'era da diversi giri di robusto nastro adesivo per essere, come un verme appunto, privo di braccia e gambe) fra i suoi "Misuratore di nuvole" e "Searching Utopia" (il "tartarugone") e i più antichi Biancone, David, Giambologna eccetera. Il verme, se fosse necessaria una spiegazione, è metafora dell'umiltà e della fertilità.

Ma a proposito di insetti è lo scarabeo, lo stercoraro, l'animale che Fabre ha preso da sempre come simbolo della condizione umana. 

Animale sacro, fornito di una robusta armatura, è eletto dall'artista belga come tramite fra la terra e il cielo, fra la pesantezza della condizione umana e la leggerezza della spiritualità. Se in Palazzo Vecchio migliaia e migliaia di gusci veri di scarabei, dai colori cangianti e preziosi, compongono, fra l'altro, il grande mappamondo delle stesse misure di quello originale fiorentino, al Forte Belvedere sette scarabei, sui quali si alzano croci, rami, bastoni sacri ecc, vigilano sulla città dagli altrettanti bastioni: sono gli "Spiritual Gards" di bronzo al silicio, le guardie spirituali che hanno dato il titolo a tutta la manifestazione espositiva.

La passione di Fabre per gli esoscheletri si traduce presto in quella per le armature indossate con impaccio da lui stesso nell'impersonificare l'eroico, ma sconfitto, cavaliere medievale, in più di una delle sue coreografie/performance (e video) e in quel cimitero di lucidissimi pezzi di armature disseminati sul piano posteriore della palazzina come resti di un'atroce campo di battaglia.

Ma noi non siamo esoscheletri, siamo fragili. Il nostro scheletro è interno, ci sostiene. E fra tante corazze giace, non meno preziosa e lucida ma certamente più sinuosa ed elegante, proprio davanti al video della performance del verme, la nostra colonna vertebrale, smontata e sistemata come i pezzi di una macchina.

Più prossimo al panorama della città "L'uomo che porta la croce", niente a che fare con la passione di Gesù, quest'uomo sostiene con una sola mano quasi danzando e con estrema leggerezza una croce. 

Più indietro, sulla grande terrazza del primo piano "L'uomo che dirige le stelle" vestito con una tuta da lavoro e con una sottile bacchetta nella mano destra. 

"L'uomo che da il fuoco" si copre dal vento con un ampio cappotto messo anche sulla testa per accendere la fiamma del suo zippo e un meccanismo a tempo fa davvero appiccare la fiamma all'accendino.

Interessante, misterioso ed in qualche modo evocativo "L'uomo che scrive sull'acqua", il complesso scultoreo fatto da sette vasche da bagno (i giorni della settimana? i sette peccati capitali?) piene d'acqua collocate l'una accanto all'altra. 

Immerso nella seconda un uomo, vestito, che con l'indice a pochi millimetri dalla superficie liquida tenta l'impresa, affascinante perché impossibile, di scrivere sull'acqua.

Nei due grandi bastioni estremi di fronte alla città la serie di autoritratti, i busti dalle cui teste escono corna monumentali, unicorni, orecchie d'asino, protuberanze animali. Due di questi autoritratti, e le relative cere, furono donati quattro anni fa alla galleria degli autoritratti e adesso sono visibili alla fine del Corridoio Vasariano.

E' comunque interessante notare che tutte le sculture che rappresentano figure umane hanno il volto di Jan Fabre stesso. Lui dice che il volto è sempre il suo o quello di suo zio ma crediamo che sia un burlone. O che suo zio fosse suo fratello gemello.
Durante tutta la durata della mostra (fino al 2 ottobre) l'ingresso al Forte Belvedere sarà gratuito.
La Galleria Il Ponte, che a Fabre ha dedicato "Kight the Night" alla fine dell'anno scorso (vedi) ripropone alcune opere di quella mostra per tutta la durata della manifestazione.



12/05/16

MAMMA (?) ROMA di Domenico Coviello

Tempus fugit, avrebbero detto i padri di Roma, e ormai, fra una ventina di giorni, l’Urbe va al voto. Le cronache dei quotidiani aprono sui problemi della città.

Tre su tutti: ci sono troppi topi; la monnezza non si sa come smaltirla, dato che la discarica di Malagrotta è come la Terra dei Fuochi; l’Atac sta messa male: assenteismo e tangenti.
Insomma: sò casini… Ma la Città Eterna, viva e vegeta da quasi tremila anni, nun se fa mancà gnente: 12 candidati sindaco come gli apostoli del Cristo, 28 liste zeppe di aspiranti consiglieri in Campidoglio e nei singoli municipi cittadini. In tutto duemila persone che danno l’assalto ar
gruzzoletto. Ora o mai più per i prossimi 5 anni.
Insomma: sò sordi… E allora daje coi manifesti a tutto muro, nella metro e sui bus. 
Come per Giorgia Meloni, secondo cui “Ogni cittadino conta. Questa è Roma”…mmmhhhhh…masticazzi! 

Non è più consolante il Giachetti, il quale sostiene che con lui “Roma torna Roma”: ci è o ci fa?

Quasi meglio Marchini che imposta il suo slogan sulla libertà (sai che novità): “Liberi nel dire no agli abusivi”. Diceva anche “Liberi dai partiti” ma dopo l’esplicito appoggio di Berlusconi e Forza Italia è diventato maestro di arrampicata sugli specchi concavi: “Beh…siamo liberi e a noi si sono uniti altri liberi…”. Sìvvabbé.

Di sangue e saliva parla CasaPound, che scomoda “Il (sacro) sangue dei Padri” e “la (sporca) saliva dei politici”. Qualcosa di meno liquido e schiumoso?

Niente da fare. Allora, in fin dei conti, meglio affidarsi a “Iorio Sindaco”. Lo sfidante del Movimento Sociale Italiano (ma non era stato sciolto oltre 20 anni fa?) chiama i romani a fermare “l’invasione aliena”. Maddeghé?
Dell’Isis, naturalmente. E allora vai col manifesto più bello (?) in assoluto!

Una grande foto dei tagliagole con la bandiera nera e sotto la scritta: 
“ROMA NON SARA’ MAI VOSTRA”. Ce penza Iorioooooo!!!!!!!!!!

09/05/16

PAREIDOLIA DI FULVIO PETRI A FIESOLE di Gianni Caverni

Dal 9 al 15 maggio, Ristorante India (chiuso il martedì), 
via Gramsci 43A, Fiesole.

inaugurazione lunedì 9 maggio alle 19,30

FULVIO PETRI: UN ATTIMO PRIMA

Più di tre anni fa fui felice di presentare “PAREIDOLIA”, la prima mostra che Fulvio Petri fece a Scandicci. In occasione di “Un attimo prima” l'artista ripresenta lo stesso argomento, ovvero una collezione, aggiornata, di “figure” trovate dopo essere state realizzate dal caso. Certamente a pieno titolo questi scatti rientrano nel tema di “Un attimo prima” perché sarà stato sufficiente un colpo di vento o alcune gocce di pioggia per trasformarle e rendere irriconoscibili.

Non posso far altro quindi che riproporre le stesse mia parole di allora:
Pareidolia?
Su la testa? Se si tratta di una questione di dignità siamo d’accordo. Ma giù la testa (...) può voler dire, come nel caso delle foto di Fulvio Petri, cercare, e trovare, piccoli tesori che sono lì sotto il nostro naso ma che buona parte di voi, come me del resto, non vedete, vediamo, quasi mai. Fazzoletti di carta sfiniti, rughe dell’asfalto, foglie morte, sacchetti buoni solo per il cassonetto dell’indifferenziata, pozzanghere, insomma tutto un campionario di oggetti dispersi e abbandonati prendono vita per diventare cantanti, madonne, contrabbassisti, bambini, felini, creature demoniache. Erano già lì queste creature, ma solo attraverso lo sguardo di Fulvio si sono manifestati. (...) L’esempio più semplice e scarno ci viene dalla LumacaFoglia: una foglia appunto, di quale pianta non sappiamo, di quelle che se ne vedono a migliaia per terra, ha il gambo sollevato che quindi proietta un’ombra in terra, il gambo e la sua ombra diventano le due tipiche antenne della lumaca, tutto qui. Si ma solo Fulvio se ne è accorto, solo lui ha svelato il trucco, ha aperto la cassaforte di una realtà reale ed immaginaria nello stesso momento. Una creatura degli abissi marini si rivela essere invece solo la parte anteriore di auto, lì sotto gli occhi di tutti ed invece segretamente a disposizione di chi sa vedere e non si accontenta mai di guardare solamente (...) 

“Il caso è il solo sovrano legittimo dell'universo” afferma Honoré De Balzac, e le fotografie di Fulvio Petri ne sono una conferma schiacciante perché il caso era lì, era pronto, bastava solo riconoscerne l’importanza e parallelamente la superiorità. 

Già (…) vi sento avanzare il dubbio che magari, anche solo con un piede, abbia spostato qualcosa, anche di poco, per far apparire una “Pietà”, povera ma michelangiolesca, da un fazzoletto di carta inzuppato d’acqua sull’asfalto. 

Non è così, tutto quello che vedete e che vi sta divertendo molto, è stato solo scoperto da questo geniale esploratore di continenti infinitesimali ma ricchissimi. 

“La pareidolia è l'illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale” spiega Wikipedia, a chi come me, non ne sapeva nulla. Non si finisce mai di imparare; e non si finisce mai di stupirsi e divertirsi davanti a queste foto”.
Gianni Caverni

direttore artistico di “Un attimo prima”