22/03/16

DA FILMTV: AVE CESARE di Omero Sala


La recensione

di omero sala

Dei fratelli Coen non mi perderei nemmeno un assemblaggio casuale degli scarti dei montaggi.
Assisto quindi alla proiezione di Ave Cesare con una certa smania, immaginando di pregustare quegli loro disorientanti colpi bassi che arrivano di solito a ondate crescenti, a spiazzarti e a superare ogni volta le aspettative.


locandina



E invece mi si snoda davanti una storia senza coup de théâtre che, sulle prime, faccio fatica a decifrare; e anche il modo di raccontarla mi un poco mi sconcerta.
Poi cominciano ad arrivarmi i guizzi di genialità che riconosco, buttati lì con nonchalance; e mi pare di intuire il senso sbalorditivo dell’incoerenza con cui i diabolici fratelli ballonzolano da una scena all’altra, con salti di luogo e scarti di tempo, mischiando sequenze reali (si fa per dire) a spezzoni di film d’epoca magistralmente ricostruiti. La storia sconclusionata prende gradualmente spessore ed emerge in tutta chiarezza che il tema portante è un mosaico di temi accennati, la coesione è data dalla frammentarietà, il collante è la confusione.
Lo sconcerto iniziale è comprensibile: i fratelli Coen, qui, non soddisfanno alle attese dei loro fan. InAve Cesare non ci sono gli impagabili imbroglioncelli arruffoni o i matti sadici dalla imprevedibile ferocia che imperversano in Blood Simple, in Lady Killer o in Fargo (e dilagano nella omonima seria TV); e nemmeno troviamo i disorientamenti geografico-esistenziali del balordo Ulysses di Fratello dove sei? o dello spaesato e triste musicista di A proposito di Davis.; o il sadismo psicopatico del massacratore di Non è un paese per vecchi; o il nichilismo di Ed Crane ne L’uomo che non c’era; o la malinconica stanchezza di chi cerca l’impossibile giustizia ne Il Grinta; o la indifesa atarassia del professore Larry in A serious man.
Troviamo però, una cosa che – a ben pensare – accomuna tutti questi film così disparati, un elemento che potremmo definire l’ossessivo file rouge che lega TUTTI i film Joel ed Ethan: e cioè l’assoluta convinzione che le magnifiche sorti e progressive degli uomini (dell’universo) sono ineluttabilmente governate dal CAOS, qui strampalato, altre volte comico, spesso tragico, sempre beffardo.
Anzi, la perfidia dei fratelli Coen, lo dico per amor di paradosso, tocca proprio qui il suo apice, in questo film sconclusionato, nel quale ritorna l’angosciante tema del caos innestato, a contrasto, su una commedia che scivola via inconsistente, ironica e formalmente superficiale, ambientata com’è nella confusione (caotica) che regna negli studi di una major hollywoodiana, la Capitol Pictures.


Josh Brolin, Tilda Swinton
Ave, Cesare! (2016): Josh Brolin, Tilda Swinton


Ad impersonare l’impotenza dell’uomo di fronte al suo destino qui c’è il povero coscienzioso manager, che di nome fa Eddie Mannix(lo stesso Josh Brolin diNon è un paese per vecchi e de IlGrinta): un uomo probo, profondamente legato al suo lavoro ma confusamente sommerso da sensi di colpa e di inadeguatezza, tentato di mollare il rutilante mondo del cinema per guadagnare meglio lavorando meno e avere più tempo di stare con la famiglia; un uomo assorbito dal lavoro (e messo alla prova come il povero e indifeso Larry Gropnik in A serous man) che vive il suo dramma interiore scisso com’è fra un suo senso della giustizia e il degrado etico che lo circonda; un uomo angustiato dalla necessità di arginare il caos, appunto, e di contenere la disinvoltura ambigua dei suoi interlocutori senza lasciarsi contaminare più del necessario.
Il suo lavoro è complicato e le fatiche sono improbe: deve proteggere le sue star da due scatenate gemelle giornaliste di gossip a caccia di scandali (impersonate da Tilda Swinton); deve frenare una sguaiata e amorale, e folgorante, Scarlett Johansson, diva nuotatrice in coreografie acquatiche alla Ester Williams; deve accertarsi che l’argomento trattato da un costosissimo film in produzione (un peplum-evangelico sulla vita di Gesù) sia teologicamente corretto e politica(l)mente accettabile (se non altro per schivare le costose denunce e i rovinosi boicottaggi delle potenti e contrapposte confessioni religiose diffuse in America); deve imporre una star del western ad un regista sofisticato che non riesce a cavare dal bovino cowboy una battuta men che decente per una sua storia romantica;  deve arrabattarsi a portare avanti le riprese del suddetto film evangelico in assenza del protagonista, un rintronato Clooney rapito da una stravagante banda di sceneggiatori comunisti, capeggiata da un ballerino di tiptap e guidata da Marcuse, intenzionati a rifarsi dall’ostracismo maccartista.



Channing Tatum
Ave, Cesare! (2016): Channing Tatum



In un film come questo, fatto da due appassionati della storia del cinema (con Tarantino è una bella gara!), non potevano essere evitate notazioni nostalgiche e riferimenti dotti (il citazionismo cinefilo è un’altra cifra connotativa dei Coen che amiamo): il film è farcito di citazioni e pare un irriverente sberleffo, ma è un affettuosissimo omaggio, al cinema degli anni ’50, ai produttori, agli attori, alle comparse, alla folla di lavoratori invisibili degli studi di posa. Impagabili, le riprese degli stabilimenti della Capitol (esterni, interni, set e studi di montaggio, con la scena della montatrice Francis McDormand che quasi si impicca alla moviola); preziosissimi e accurati gli spezzoni magistralmente ricostruiti e inseriti nel film (con rievocazioni dei generi in voga negli anni Cinquanta, dal colossal storico-religioso al musical, dai film acquatici alla commedia, al western).  
La causticità coeniana non manca, ma è amorevole e non riesce a nascondere l’affetto per quel cinema che era così spudoratamente lontano dalla realtà ma così vicino ai sogni della gente comune da porsi come potentissimo mezzo di riscatto per i poveri cristi oppressi senza remissione dalla vita quotidiana. (Ed il pensiero va a La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen, altro grande omaggio al cinema come evasione; e le riflessioni si potrebbero allargare al fragile rapporto fra finzione e realtà, fra cinema e matacinema, altro tema ricorrente nell’opera di Ethan e Joel che qui scorrazzano impuniti da un set all’altro e dai set alla vita in una inquietante confusione da brodo primordiale).

Nella conclusione però, almeno su un punto, non è il caos a prevalere. Qui, in questo filmetto, il pessimismo cosmico dei Coen s’incrina.
Il frastornato Mannix decide (sì, DECIDE) di restare nel trambusto delle finzioni cinematografiche (che pure lo sfiancano) piuttosto che sistemarsi a servire la Lockheed, emergente e potentissima azienda aeronautica: consapevole che il cinema è il salvagente contro la deriva esistenziale, mentre la Lockheed prepara l’avvento dell’Armageddon.
E noi stiamo con Mannix e coi fratelli Coen, pur sapendo che il cinema non salva la vita.
E stiamo anche con quel rintronato di Clooney, il centurione convertito, che nella roboante intemerata finale, sul Golgota, sotto la croce, si impappina perché gli scappa di mente la parola “fede”.



George Clooney
Ave, Cesare! (2016): George Clooney

21/03/16

BONFITTO IN MOSTRA PER "UN ATTIMO PRIMA"

Dal 21 al 27 marzo, Ristorante India, via Gramsci 43A, Fiesole.
inaugurazione lunedì 21 alle 19,30

DAMIANO BONFITTO
UN ATTIMO PRIMA DI VIVERE

Damiano è uno di quei fotografi che il tema lo prende davvero sul serio: ogni scatto che ha scelto è davvero un attimo prima e di cosa lo si capisce senza l'ombra del minimo dubbio.

L'attimo prima del tuffo, dell'apertura completa della porta del treno, dell'amore, sia quello che si fa in due che quello solitario, della telefonata tanto attesa, del buio dopo il soffio sulla candela accesa, del forte colpo sulla pallina da tennis, del volontario lasciare inerpicarsi in cielo di un palloncino candido come un fumetto non scritto, ossia come le parole non dette.

Mi piace segnalare nella foto della porta del treno che è lì bello pronto a scendete un tizio con un sacchetto in mano, mi piace chiedermi che cosa ci sarà dentro (una bottiglia per un invito a cena? Un regalo per un compleanno? Un mazzo di cavolo nero trovato in offertissima al mercato?). E la ragazza dietro? Sembra giovane, sarà senz'altro carina non solo per il viso che spunta sotto un casco da bicicletta.

Torna a casa? Raggiunge il luogo da cui ha deciso di partire per un'energica pedalata fra le nostre colline? Che bici avrà? Quelle da città con il cestino davanti, o una supertecnica per arrampicate su sconnessi sentieri nel bosco? Sarà sola? No. E invece sì, che non ha bisogno di nessuno lei.

Mi piacciono le foto così, lo ammetto. Che sono un frammento di un racconto del quale finisci volontariamente per essere l'autore, certo effimero ma divertito. O almeno incuriosito.

Sta per esplodere il colpo di pistola lo starter, se non mi sbaglio la quinta corsia è riservata ai favoriti (ma mica ne sono sicuro), bah! mettiamo che sia così: sotto quella cuffia nera e dietro gli occhialini il nuotatore tende tutti i muscoli pronto alla partenza che se è fatta bene è già metà corsa.
E' questione di un attimo, quasi sempre poi è questione di un attimo.

Un bianco e nero smagliante per raccontare con più forza proprio quel momento lì, quello esatto, quello che subito sparisce, quello a cui non fai caso e quello che ti violenta per sempre.
La fotografia è l'arte più simile alla realtà? Ma no davvero! Secondo me non c'è niente di più “astratto” di una fotografia perché la realtà è fatta di tempo e la foto invece non ha tempo, in tutti i sensi: non ha tempo perché lo scansa, lo annulla, lo svuota e perché in fondo non ha tempo da perdere col tempo. Se non quello da coordinare con l'apertura del diaframma.

Gianni Caverni
direttore artistico di Un attimo prima

19/03/16

ROBERTO PUPI A IMMAGINARIA

Uno sguardo incantato, anche.

Se è vero che ci sono, anche nel passato recente, molti artisti che per tutta la vita hanno fatto sempre lo stesso quadro (o scultura, o quello che è, comunque i nomi non li faccio!) Roberto Pupi non è proprio fra questi. Solo una cosa è la stessa: si tratta di fotografie. Confesso che sono stato colto da una bella emozione, e forte, quando mi ha mostrato in anteprima le opere che aveva intenzione di esporre in occasione di “Controrilievi”. Quella natura “ordinata”, autocompiaciuta, ieratica che appare nella serie Twenty Green Natural Variations “appoggiata” su 20 identici tronchi di piramide di 15 cm per 15 certo evoca una volontà di osservazione rispettosa e di intervento responsabile.  

L'eleganza che caratterizza le foto/sculture di Roberto non suggerisce uno sguardo distaccato ed estetizzante ma invece la consapevolezza dell'artista che guarda e fa guardare le piante, i fiori, il cielo l'uomo attraverso lo stupore, ma non solo. 
Quel leggerissimo gioco di tagli, di emergenze e profondità, tipico dei Controrilievi che danno il titolo alla mostra, confermano lo sguardo incantato eppure anche l'esigenza di un intervento dialettico capace di trasformare ed arricchire la bellezza, senza nascondersi.

Gianni Caverni

Inaugurazione sabato 19 marzo alle 17,30. Via Guelfa 22 Firenze

16/03/16

I PRETI, I SANTI E LE SUORE, NON CERTO I GAY! di Fulvio Petri

Vorrei scrivere un messaggio rivolto soprattutto a quegli estremisti cattolici che si sentono tanto minacciati dal cosiddetto “gender” e dall'apertura verso nuove tipologie di famiglia, nonché al riconoscimento di altre “varianti” comportamentali e di pensiero che non si rifanno alla loro limitata idea di “stile di vita”.
Anzitutto, questo tanto decantato “annullamento” delle barriere tra maschio e femmina. Forse molti se ne stupiranno, ma nessuno tiene di più alla linea binaria “maschio/femmina” quanto noi del popolo lgbt, almeno per come la vedo io e molti altri che conosco: dubito che un gay vorrebbe eliminare la maschilità, dato che i propri sogni erotici più forti si basano proprio sul testosterone, aldilà anche del proprio aspetto personale o modo di porsi al mondo. 

Come pure dubito che alle lesbiche facciano schifo le tette, e che il femminismo miri anche ad annullare sé stesso. Alcuni trans poi, fanno una fatica immane nel volersi trasformare nel genere opposto, talvolta anche con risultati estetici piuttosto estremizzati, rappresentando essi stessi, per paradosso, proprio la massima differenziazione tra i sessi, cercando di ridurre il più possibile ogni tipo di “ambiguità”. Alcuni di loro, (ribadisco, alcuni) proprio per un raggiungimento del genere voluto cercano di evidenziare anche gli stereotipi più arcaici e paradossalmente “sessisti” (trucco fortissimo, tacchi, silicone estremo e bamboleggiamenti tipici vamp nei MTF; ipermachismo alfa e battagliero fortemente caratterizzato invece per i FTM). 

E anche le infinite sfumature nei transgender (chi non si riconosce nei cliché attribuiti a un genere, pur non desiderando cambiare sesso chirurgicamente), si basano semplicemente sulle differenti “dosi” tra queste due polarità sessuali, scardinando in superficie il loro apparire estetico tradizionale e comportamentale, ma senza negare né l'uno né l'altro. E comunque è raro il bilanciamento perfetto, c'è sempre una pendenza o appunto uno “sbilanciamento” da una parte, proprio per il fatto che l'androgino assoluto è la negazione stessa del desiderio. Se fossimo tutti ugualmente “bilanciati”, sparirebbe l'interesse nel rapportarsi con gli altri, saremmo tutti autosufficienti. Non saremmo attratti né dall'etero (che non esisterebbe più), ma nemmeno dall'omo, dato che in mancanza di un genere da opporre all'altro, sparirebbe ogni conflitto erotico “positivo”. In soldoni, senza la donna non esisterebbe il gay. 

Senza l'uomo non esisterebbe la lesbica, senza i generi non esisterebbero (qui, ovviamente) né transgender o trans.
Dubito quindi che un futuro mondo di umanoidi asessuati, piallati, mollicci, grigi e tutti uguali che si riproducono con macchinari (e magari si danno una specie di piacere con qualche elettrodo senza alzarsi dal divano), possa davvero essere auspicabile per il mondo lgbt. Forse ancora meno che negli sposatissimi “ sesso solo per procreazione”, che nel loro calcolo rigidissimo invece, già sembrano un po' anticipare orridi orizzonti futuri fatti di incubatrici esterne e umanoidi raggelati.

L'unica cosa da abbattere sono certe rigide barriere che definiscono i due sessi, non la loro esistenza. 

È sicuramente giusto, soprattutto da piccoli, non schematizzare troppo certi ruoli o cliché, e assecondare le esigenze di gioco di ogni bambino, per evitare stereotipi che ti guidino a future discriminazioni. E non c'è nulla di così rivoluzionario in questo, dato che il non imporre, implica una libertà di base che oggi dovrebbe essere data per scontata. E ai “generi” non accadrà comunque nulla di così pauroso, se a un bambino non piaceranno le pistole, anzi. Crescerà indirizzando le proprie energie in qualcos'altro, magari decisamente migliore. In realtà, lasciandoli liberi, i due generi si possono tingere di molti colori, soprattutto in campo psicologico, di sensibilità e manifestazione del sé. 

Ma nessuno di noi vuole che si annullino: negarli completamente sarebbe solo la morte dell'attrazione e del lato più dinamico del vivere. E questo alla fin fine, è quello che fanno (o provano a fare) i preti, i santi e le suore, non certo i gay, diciamolo.

14/03/16

ELISA BELLIERI A FIESOLE

Dal 14  al 20 marzo, Ristorante India, via Gramsci 43A, Fiesole.
inaugurazione lunedì 14 alle 19,30

UN ATTIMO PRIMA: TRA REALTA' E ASTRAZIONE


In questa mostra ho voluto esporre foto che raccontano momenti, attimi prima di raggiungere qualcosa di reale (l’attimo prima di entrare in acqua, di arrivare ad un traguardo, del tramonto e di salpare) e attimi prima di entrare nell’astrazione di oggetti concreti portando a valorizzare forme, colori, luci e trasparenze di oggetti che abbiamo sempre vicino a noi nella vita quotidiana e che difficilmente valorizziamo nelle loro caratteristiche e peculiarità”.


Cominciare con le parole dell'autore/autrice è un classicone per un vecchio mestierante della parola come me ma certo questa volta ne vale proprio la pena: Elisa ci introduce con garbo e semplicità nei suoi mondi e ci da la chiave di lettura per apprezzare le immagini che ha scelto per questa occasione.

Ecco infatti la titubanza del cane (e del bambino) nell'approcciarsi all'acqua, i tramonti sul mare, la corsa lungo il fiume, la prua dell'imbarcazione che avanza ecc.
L'acqua è fortemente presente nelle immagini “realistiche” di Elisa.

L'acqua ha centomila differenti valori simbolici ed è presente in vari rituali di purificazione e/o iniziazione, come le abluzioni, l'aspersione, la lustratio e il battesimo. Inutile dire quindi quanto possa significativo la presenza dell'acqua nelle immagini della Bellieri e quante interpretazioni se ne possano dare.

Guardare da vicino oggetti assolutamente quotidiani è l'altro canale di lavoro di Elisa che, svelandocelo, ci permette di riconoscere grosso modo di che oggetti si possa trattare ma soprattutto ci suggerisce un diverso modo di guardare ciò che ci circonda, certo non solo gli oggetti. 

Approfondire, avvicinarsi, scansare l'interpretazione facile e superficiale, quella che quasi sempre definisce l'uso degli oggetti, a favore di un'attenzione ai particolari, alle sfaccettature, alle differenze. 

Che poi si tratti di bicchieri, come penso siano almeno alcuni degli oggetti fotografati, non ha nessuna importanza. A parte che i bicchieri contengono liquidi, l'acqua anche. E dell'acqua si è parlato prima, e tutto ricomincia e finisce per riunirsi.


Gianni Caverni
direttore artistico di Un attimo prima


12/03/16

E' DAVVERO TUTTA COLPA DI FREUD, COMUNQUE!

Ohhh, andate tutti a quel paese, oggi ho visto in streaming Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese, e mi è piaciuto!
Ho visto giorni fa Perfetti sconosciuti e mi era piaciuto, tanto da lasciarmi la voglia di vedere il film precedente dello stesso regista. Perfetti sconosciuti è senz'altro un film con più spessore, quasi tragico. Parla dell'ipocrisia, della bugia e di come possano salvare la vita delle coppie come dei singoli. Parla di segreti e di come certi segreti debbano restare tali, sempre e comunque. 

Marco Giallini, in Perfetti è un chirurgo plastico, in Freud uno psicanalista, in qualche modo professioni simili, almeno in certe circostanze. Marco Giallini è bravissimo in tutti e due i film, ma non è una novità, già avevamo avuto occasione di apprezzarlo assai.

Insomma Freud è un film a lieto fine dove tutto si accomoda, le tre figlie del separato decisamente responsabile e capace di rinunciare alla donna che ama (senza conoscerla bene d'altronde) trovano (o ritrovano) l'amore o la propria indole, o la loro età. Giallini e figlie vivono in una bellissima casa con terrazza dalla vista mozzafiato sulle cupole romane. Della ex moglie, e madre, non si sa nulla, pazienza, meglio per l'efficacia del lieto fine.

Commedia? Leggera? Buonista? Ok, sì, e chi se ne frega! Sarà che invecchio male ma questa storia di buoni sentimenti mi è piaciuta. 

Il marito (Gassman) torna dalla moglie , la moglie (Gerini) perdona il marito, e via e via di questo passo. Troppo dolce? Sì sì, rischio di diabete davvero, ma tanto io prendo la Metformina (850 mg, ai pasti principali)!
Insomma mi sono divertito, miei cari. Ve lo consiglio, poi fate voi, come sempre.